Torna l’America’s Cup con le Wordl Series in programma a Napoli dall’11 al 15 aprile. Rientra in gioco Luna Rossa, che insieme a Emirates Team New Zealand lancia la sfida al defender Oracle. Ma attenzione a quella vecchia volpe di Paul Cayard, al timone della svedese Artemis. Non possono non tornare alla memoria le sue leggendarie imprese con il Moro di Venezia.
Il baffo gentile e carismatico, ma anche il baffo astuto e dispettoso. Il baffo perdente, ma anche, a modo suo, nei cuori degli appassionati (soprattutto italiani), vincente. Il baffo impenetrabile e tenebroso, ma anche umano e comunicativo. Sicuramente, il baffo più famoso del mondo della vela. Vela intesa non solo come sport, ma come passione, come stile di vita, come sfida non solo verso gli altri ma prima di tutto verso se stessi e verso la natura. Che poi è la sua essenza: ci sono gli avversari, ci sono le gare, ci sono i trofei, ma c’è prima di tutto il mare e la passione del pubblico.
E’ il baffo di Paul Cayard, mitico skipper del Moro di Venezia in una delle più appassionanti edizioni dell’America’s Cup, quella del 92. Come non ricordarlo, proprio adesso che la città lagunare (nella prossima tappa delle Wordl Series, dopo l’appuntamento nel Golfo di Napoli) è stata scelta per organizzare per la prima volta nella sua storia una delle tappe della regata più famosa e prestigiosa del mondo. E proprio adesso che un’altra barca dalle mille emozioni e i mille ricordi, Luna Rossa, ha annunciato il suo clamoroso ritorno in America’s Cup. Patrizio Bertelli ha infatti varato da Palermo la quarta avventura di Prada, con un investimento da 40 milioni (non particolarmente importante) e un guanto di sfida proprio a Cayard, ora alla guida degli svedesi di Artemis: “Vogliamo arrivare a disputare la finale della Louis Vuitton Cup (la finale degli sfidanti) contro Emirates Team New Zealand, dunque il signor Paul Cayard si può accomodare”.
Paul Cayard, americano di San Francisco ma italiano di adozione, non si sarà di certo intimorito: lui ne sa una più del diavolo quanto a venti, poppe e boline. Per non parlare poi di guerre di nervi a distanza. Anche se, di trofei, effettivamente ne ha vinti pochi. Proprio con l’indimenticata imbarcazione di Raul Gardini aveva infatti perso quella finale, nelle acque di San Diego, non lontano da casa sua, contro i suoi connazionali di America 3.
Una finale però incredibilmente conquistata, contro il favoritissimo Team New Zealand. Quell’impresa, oltre a farlo entrare per sempre nei cuori dei tifosi italiani – che seguivano fino a tarda notte, incuranti del fuso orario, le sue gesta (segnando un record di ascolti per uno sport tradizionalmente di elite come la vela) -, racchiude la storia della vita e della carriera di Cayard: essere ricordato come un vincente, pur non avendo mai alzato il trofeo più ambito (ha perso anche le finali delle due successive edizioni, alla guida di equipaggi statunitensi).
Già, perchè il Moro di Venezia ha scritto una pagina di storia ancora più importante: è stata la prima imbarcazione non anglosassone a portarsi a casa il trofeo degli sfidanti (Louis Vuitton Cup) e a raggiungere la finalissima contro i detentori del titolo, poi persa 4-1 contro America Cube. Impresa poi eguagliata da Luna Rossa di Prada nel 2000 – che però perse la finale per 5-0 – e dagli svizzeri di Alinghi, che la Coppa l’hanno vinta (ma con un equipaggio 100% anglosassone). Dunque ad oggi, l’unico uomo a portare una barca non anglosassone a vincere una regata in finale è proprio il baffone californiano.
Era il 1992, e un giovanissimo Cayard, appena 29enne (ma con già una buona esperienza sulle spalle), veniva scelto da Raul Gardini per guidare una nuova barca, varata con il sostegno miliardario della sua Montedison: il Moro di Venezia.
A sorpresa, ma neanche troppo visti gli investimenti e la sapiente guida dello skipper venuto da San Francisco, l’imbarcazione tricolore raggiunge finale di LV Cup, dove andrà a sfidare i favoriti neozelandesi guidati da Rod Davis e da un giovanissimo Russell Coutts.
La finale è un capolavoro di Paul Cayard: tecnico, ma anche di astuzia. Come si diceva, il baffo più amato ma anche più impertinente. New Zealand vinse la prima regata per 1 minuto e 32 secondi; gli italiani vinsero la seconda per un solo secondo! Poi il team kiwi vinse tre gare di fila. Fu allora che Cayard, ad un solo punto dalla sconfitta, protestò l’equipaggio di NZL 20 per un uso scorretto del bompresso. Vinse la protesta e l’ultima vittoria kiwi fu annullata.
Il punteggio diventò quindi 3-1 a favore della Nuova Zelanda. Cayard protestò nuovamente l’uso improprio del bompresso a bordo della barca avversaria e questa volta la disputa vide il comitato Louis Vuitton Cup di opinione opposta a quello dell’America’s Cup. Per chiudere la questione, i kiwi decisero di abbandonare le manovre ritenute scorrette. Inoltre, non sapendo più come venirne a capo, sostituirono Rod Davis con Russell Coutts, il quale aveva timonato NZL-20 (con la chiglia tandem) soltanto tre volte. Una mossa azzardata, dettata dalla confusione: i kiwi persero contro Il Moro di Venezia che si aggiudicò la Louis Vuitton Cup 1992.
La finalissima fu poi persa, ma quella è un’altra storia: anche se “in America’s Cup non c’è secondo”, tutti ricordano perfettamente “Il Moro”, la barca rossa e il baffo del suo timoniere: che capolavoro!