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Campari: il Fisco contesta la mancata tax exit e chiede 1,2 miliardi. Indaga anche la Procura

Imagoeconomica

Nei salotti buoni uno degli argomenti di conversazione più amato è il modo migliore per risparmiare sul fisco. Così è accaduto a Luca Garavoglia, presidente di Campari e John Elkan, Ad di Exor che già aveva in passato approfondito il tema della tax exit.

Così, come prima è accaduto a Exox, che controlla il gruppo Gedi, ora è il gruppo Campari a essere nel mirino del Fisco Italiano: risulta infatti che il pacchetto di controllo della storica casa milanese dello Spritz, fondata nel 1862 dal visionario imprenditore Gaspare Campari, sia stato trasferito dall’Italia al Lussemburgo nel 2018 attraverso un’operazione di fusione transfrontaliera senza pagare la exit tax. È questa la contestazione che il Fisco italiano ha rivolto alla Lagfin, la holding lussemburghese che controlla il 51,3% delle azioni e il 38,8% dei diritti di voto della olandese Davide Campari Milano NV. E’ ora la famiglia Garavaglia, dopo lunghe vicissitudini familiari, a controllare Lagfin che oltre al Campari, ha in portafoglio anche i marchi Aperol e Crodino. Lagfin è stata fondata nel 1995. I suoi proprietari erano schermati dalla Fiduciaire Générale de Luxembourg, la stessa che ha fondato la Jalfin e la Ldr, altre due società lussemburghesi che possedevano azioni della Lagfin e che si sono fuse con la cassaforte del gruppo Campari nel 2018.

L’Agenzia delle entrate tasse per 1,2 miliardi. Il fascicolo passa in Procura

Sulla base di una complessa indagine del Nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Milano, l’Agenzia delle Entrate ha chiesto alle società della famiglia Garavaglia il pagamento di 1,2 miliardi di euro di tasse. Inoltre il fascicolo è approdato in procura, sul tavolo del procuratore della Repubblica di Milano, Marcello Viola, che lo ha affidato ai sostituti procuratori Enrico Pavone e Bianca Baj Macari del III Dipartimento – Affari internazionali e reati economici transnazionali. Si ipotizzano i reati di omessa dichiarazione dei redditi e di omesso versamento delle imposte. Partendo da una base imponibile di circa 5 miliardi, Lagfin avrebbe sottratto all’erario oltre 1 miliardo di tasse, una cifra che rappresenta circa un decimo del valore di Borsa di tutta la Campari: ieri le azioni hanno perso l’1,08% o oggi un altro 2%.

La difesa di Campari

Di contro i Garavaglia contestano le conclusioni della Gdf e hanno avviato un’interlocuzione con il Fisco.
Campari Group precisa che “né Davide Campari Milano Nv né alcuna delle sue società controllate sono oggetto di indagine” e “non è di conseguenza previsto alcun impatto”. “Riteniamo e confidiamo che le nostre inoppugnabili ragioni” fanno sapere da Lagfin, “saranno riconosciute al più presto in tutte le sedi competenti”. L’indagine penale, come già avvenuto in casi simili, terrà conto di un’eventuale transazione col Fisco. Era già successo con Kering: nel 2019 era stato riscontrato un omesso versamento per 1,5 miliardi delle imposte della controllata Gucci, transate poi con una accordo tombale da 1,25 miliardi.

Le email con Elkann

Il caso Exor evidentemente aveva fatto scuola. Agli atti dell’indagine su Lagfin sono emerse alcune email scambiate tra il presidente del gruppo Campari e John Elkann, che non è indagato. Nei messaggi Garavoglia avrebbe chiesto all’esponente della famiglia Agnelli consigli e informazioni sui consulenti utilizzati da Exor per l’operazione di trasferimento ad Amsterdam. E in effetti la vicenda Campari ha molte analogie con la holding della famiglia Agnelli-Elkann che fu coinvolta in una controversia fiscale in cui l’Agenzia delle Entrate le aveva contestato il mancato versamento della exit tax quando la sede legale e quella fiscale della società furono trasferite in Olanda. La controversia si concluse nel febbraio 2022 con il pagamento di 746 milioni di euro al Fisco italiano. In occasione del trasferimento, Exor aveva almeno applicato la Pex (Partecipation exemption), il regime che consente di versare le imposte solo sul 5% delle plusvalenze derivanti da cessioni di asset. Lagfin invece, stando alle indagini delle Fiamme gialle, non avrebbe applicato neppure questa misura.

La madre della vicenda: la fusione di Lagfin con Alicros

L’operazione societaria alla base della contestazione fiscale è avvenuta nel 2018, quando la cassaforte lussemburghese Lagfin si è fusa e ha incorporato la società italiana Alicros, che è stata estinta. L’effetto della fusione per incorporazione della Alicros è visibile nel bilancio 2019 della Lagfin lussemburghese. Per effetto di un cambiamento dei metodi contabili, scrivono gli estensori del documento, il patrimonio della società era aumentato di quasi 1,1 miliardi di euro. Contemporaneamente è stata creata in Italia una stabile organizzazione di Lagfin (formalmente una succursale della holding lussemburghese), alla quale sono stati attribuiti gli asset della società italiana.

Le indagini della Guardia di Finanza avrebbero però appurato che le partecipazioni finanziarie erano gestite per lo più dal Lussemburgo e non dall’Italia, dove invece erano amministrati alcuni asset minori come gli immobili. Di qui la contestazione di aver trasferito le partecipazioni all’estero senza versare la exit tax.

All’epoca della fusione, Alicros controllava partecipazioni finanziarie per 1,14 miliardi di euro. La più importante era il 51% della Davide Campari Milano Spa (trasferita in Olanda nel 2020), il cui valore a bilancio era di poco superiore al miliardo di euro. C’erano poi la Lc Partners, una immobiliare del Missouri, negli Stati Uniti, e la 1403 2nd Avenue, una società con sede in Delaware costituita per un investimento immobiliare a New York. Oltre alla succursale italiana, che ha sede a Sesto San Giovanni, quartier generale della Campari, Lagfin ha costituito nel 2018 anche una succursale in Svizzera, a Paradiso, alla periferia di Lugano, che si occupa delle attività più finanziarie.

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