Caso Camfin, la risposta di Vittorio Malacalza non si è fatta attendere. Rispondendo ai cronisti a margine di un convegno a Lerici, il finanziere ligure ha detto: “I latini dicevano pacta servanda sunt: i patti vanno rispettati e io li ho rispettati per 50 anni. Tratto solo con chi rispetta i patti”. E ai cronisti che lo incalzavano sull’argomento l’imprenditore genovese ha proseguito: “Io non rispondo in merito a Pirelli ma aggiungo un’altra cosa: c’è chi capisce prima, chi capisce dopo e chi non capisce mai”.
Insomma la pace, caso mai vi sarà, sembra lontana. Con quali conseguenze?
a) Malacalza, forte di un 26,5 % circa in Camfin (partecipazione diretta e tramite Gpi), non ha una quota azionaria sufficiente a porre il veto ad eventuali operazioni straordinarie , per cui occorre almeno un terzo del capitale. Ma il socio fa ancora parte del patto di sindacato, che potrà essere denunciato solo a gennaio e che scadrà solo a luglio. In sostanza, la famiglia Malacalza ha un potere di veto rilevante.
b) Lo scontro muro contro muro non sembra però ragionevole,oltre che assai costoso per tutti. Malacalza non ha sulla carta i numeri per poter scalfire la maggioranza di blocco di cui Tronchetti dispone in Gpi (che tra l’altro ha già approvato a maggioranza l’aumento di capitale in discussione) e nella stessa Camfin. Una soluzione di compromesso, dunque, sembra nella logica delle cose.
c) Malacalza tiene a precisare che non tratterà con Tronchetti. Ma una volta effettuata l’Opa di Gpi su Camfin, gli interlocutori principali saranno Clessidra ed Investindustrial. La trattativa, insomma, si può almeno cominciare. Anche se la strada resta in salita. Al di là delle quote azionarie, alla testa della Bicocca nel prossimo futuro (con il pieno consenso degli investitori internazionali) c’è ancora Marco Tronchetti Provera. Una prospettiva indigesta per i Malacalza che continuano a chiedere azioni e non quattrini come dote per un divorzio che, comunque vada a finire, non sarà indolore per gli ex alleti.