La Brexit porta con sé evidenti rischi anche per la Borsa Italiana che da tempo è ormai nell’orbita del London Stock Exchange. Tanto che anche il presidente di Consob, Giuseppe Vegas, ha nei giorni scorsi sollevato la questione in una lettera al presidente dell’Lse Donald Brydon chiedendo che ogni iniziativa strategica di Londra sia definita in stretta cooperazione con l’autorità che vigila sui mercati italiani. A incidere sul futuro della nostra Borsa non sono però solo i problemi legati all’incognita normativa, con Londra che uscirà dall’Unione europea. Ma riguardano in modo più ampio le scelte strategiche di fondo che devono guidare lo sviluppo di Borsa Italiana, che fin qui non è riuscita a spiccare il volo e guadagnarsi un suo posto al sole. E che oggi, oltre alla Brexit, si trova a essere coinvolta in una possibile nuova fusione tra il London Stock Exchange e la Deutsche Boerse. In questo scenario proprio la Brexit può essere l’ultima opportunità per aggiustare in corsa quello che non è stato fatto bene ai tempi della fusione con il London Stock Exchange. Lo spiega a FIRSTonline Michele Calzolari, presidente di Assosim, che auspica da parte del Governo “uno sforzo eccezionale per non lasciarsela sfuggire”.
Dottor Calzolari, che cosa succede ora, con la Brexit, alla Borsa Italiana?
Il tema va affrontato con uno sguardo più ampio e riguarda in primo luogo l’analisi di cos’è oggi la Borsa Italiana che rappresenta sempre di meno l’economia reale. La componente delle banche pesa troppo e da troppo tempo. L’attenzione, anche mediatica, è chiaramente rivolta alle difficoltà del comparto ma il sistema finanziario sta guardando troppo poco all’economia reale. E il problema è noto: non siamo stati capaci di attrarre sul mercato i grandi nomi dell’imprenditoria italiana. In questo contesto Brexit può essere un problema ulteriore o, al contrario, addirittura un’opportunità.
In che senso?
Bisogna capire cosa succede con il merger tra la Borsa di Francoforte e Londra. Nessuno oggi può dire se effettivamente ci sarà, gli inglesi vogliono continuare ma vedremo se i tedeschi decidono di andare avanti. Certamente è una questione tra due società private, ma il fatto che Consob abbia sentito il bisogno di far presente che ci sono delle criticità è significativo.
Cosa può fare l’Italia?
Nell’accordo di fusione tra Lse e Borsa Italiana non è stata prevista la golden share. Quindi, salvo il commissariamento come ha suggerito Gianluca Garbi di Banca Sistema, non possiamo fare molto. Tra l’altro, se anche ci fosse stata la golden share, i margini di manovra sarebbero stati comunque ridotti. Anche la Borsa francese, che pur aveva la golden share, nell’intesa con i listini americani, alla fine non l’ha usata: è sempre difficile in questi casi dimostrare che è stato procurato un danno. Non credo tra l’altro che né il London Stock Exchange né la Deutsche Boerse vogliano danneggiare Borsa Italiana. La prospettiva però è diversa. Il punto è chiedersi se si sta facendo abbastanza per sviluppare la Borsa Italiana, indipendentemente che ci sia la fusione con Francoforte o meno.
E si sta facendo abbastanza?
Alcune cose come il programma Elite sono state fatte bene. Su altre però si può fare di più, come per l’Mts, qui quello che è stato fatto non basta. E’ necessario fare maggiore leva sulle nostre competenze di reddito fisso, dove siamo imbattibili, siamo stati i primi a lanciarlo e la Borsa Italiana ha tutte le chance per diventare leader in questo settore. Così come Londra, nella logica della specializzazione delle competenze, è leader sull’azionario e Francoforte sui derivati. Siamo tra l’altro in un momento favorevole per lo sviluppo degli strumenti di reddito fisso. Con la Capital Market Union, che si prefigge l’obbiettivo di sviluppare un’economia meno orientata alle banche e più agli strumenti di mercato, tra cui i bond e le cartolarizzazioni, ci sono grandi possibilità di sviluppo. Bisogna poi capire che la Borsa, per quanto società privata, è una entità che va oltre questo. E l’Italia dovrebbe chiedere la partecipazione alla governance della società.
In questo scenario come si inserisce la Brexit?
Le complicazioni più specifiche legate alla Brexit sono di tipo normativo. Ora le regole che su questo fronte regolano l’Inghilterra sono omogenee a quelle europee. E’ chiaro che non fra tre mesi, ma fra uno o due anni gli inglesi potrebbero scegliere di fare scelte diverse, con ripercussioni sulla concorrenza di mercato. Pensiamo alle regole sulle Ipo sul collocamento dei bond. Questo è un tema da valutare. Allo stesso tempo la Brexit accelera tutte le riflessioni fin qui fatte di tipo strategico, che si complicano ulteriormente con la prospettiva della fusione con Francoforte: su cosa fare per la parte di post trading, per le quotazioni, per la piattaforma informatica, dove mettere i server.
E’ d’accordo con l’ipotesi commissariamento avanzata da Gianluca Garbi?
Garbi ha ragione nel sostenere che il commissariamento è purtroppo l’unica via prevista dall’ordinamento, non essendo stata prevista nel contratto la golden share. Ovviamente auspichiamo che non si arrivi a tanto e che si possa trovare una soluzione condivisa, che tuteli gli stakeholders italiani magari intervenendo sulla governance della holding. In altre parole, credo che Brexit possa essere l’opportunità, l’ultima opportunità, di aggiustare in corsa quello che non è stato fatto bene ai tempi della fusione con il London Stock Exchange anche nel caso di una nuova fusione.
In che senso?
La Brexit rappresenta forse l’ultimo treno con cui recuperare parte degli errori del passato concentrandosi sulle domande fondamentali: su cosa possiamo puntare per avere un ruolo? perché non abbiamo investitori istituzionali? La volatilità a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi non è positiva per il mercato ma la stabilizzazione la possono dare solo gli investitori di lungo periodo, come i fondi pensione, che da noi hanno un peso purtroppo trascurabile! Inoltre, con la Brexit si aprono opportunità in termini di distribuzione di prodotti e di ricollocamento. Molte realtà che hanno sede a Londra si troveranno senza passaporto europeo per distribuire i loro prodotti finanziari a meno che non aprano un’altra sede locale in Europa.
Milano ha buone possibilità di essere appetibile?
Penso abbia sicuramente l’opportunità di giocarsi la partita. Il tema non riguarda le grandi banche ma i gestori di fondi che dovranno ricollocarsi. Lasciarli andare in Irlanda è un peccato. Per attirarli qui è però necessario creare un pacchetto accattivante, fiscale e normativo. Ma il loro arrivo a Milano porterebbe di certo dinamicità sul mercato. Basterebbe riportare in patria 50/100 manager senior italiani che sono emigrati a Londra. Anche questo è un aspetto legato al tema del rientro dei cervelli in fuga da non sottovalutare.
Su cosa deve puntare Milano?
Difficile che si ricollochino qui da noi i servizi di back office perché l’Italia costa troppo. Piuttosto penso a servizi a maggiore valore aggiunto come la parte legata alla distribuzione. Immagini quale impatto potrebbe avere sulle università, sul mondo dei professionisti, degli avvocati. Siamo di fronte a un’occasione unica. Il Governo deve fare uno sforzo eccezionale per non lasciarsela sfuggire. Anche perché stiamo parlando di posti di lavoro qualificati per i nostri giovani.