«La prima cosa da dire di questa confusa gara tra i partiti per la conquista del ruolo di kingmaker nella corsa al Quirinale è che si sta sbagliando la sequenza: prima sarebbe necessario pensare a quale governo fare per concludere la legislatura e poi decidere il futuro presidente della Repubblica».
Carlo Calenda, leader di Azione, ha appena celebrato il congresso della sua formazione politica e può vantare 30mila iscritti, mille amministratori locali, 23 sindaci e una struttura capillare che copre vaste aree del Paese. In più, è stato appena siglato un patto federativo con +Europa, in modo da costituire il primo nucleo di una formazione liberale e progressista quale non si è mai vista in Italia, e che può conquistare una consistente fetta dell’elettorato, stanco dell’inconcludente populismo che purtroppo attraversa quasi tutti i partiti di destra e di sinistra.
La sceneggiata messa in atto dai partiti per la designazione del successore di Mattarella lo preoccupa molto.
«Mi sembra che i partiti stiano sottovalutando gravemente i rischi sia interni che internazionali che il paese dovrà fronteggiare nel corso di questo anno. La maggior parte dei politici pensa che il 2022 sarà un anno tranquillo, e che con i soldi che arriveranno dall’Europa si potrà far fronte ad ogni evenienza. Insomma, fa comodo a tutti scambiare il forte rimbalzo congiunturale dello scorso anno per una duratura ripresa. Ma non è così. Dall’esterno incombono grossi rischi geopolitici dovuti in primo luogo all’aggressività della Russia nei confronti dell’Ucraina. Se dovesse esplodere un conflitto armato, quali sarebbero le conseguenze per il prezzo del gas? Ma anche dal lato interno le prospettive non sono semplici. Per avere i soldi del Pnrr dovremo fare nei prossimi mesi varie riforme e soprattutto avviare le opere e quindi spendere i soldi che sono stati messi a disposizione. Ma questo è quello che finora non siamo mai riusciti a fare».
Quindi ci vorrebbe un governo forte, capace di imporre scelte politiche controverse e di gestire la burocrazia per accelerare i tempi della messa a terra dei tanti progetti che compongono il Pnrr.
«Per questo dico che occorre arrivare a un accordo per governare i prossimi quindici mesi fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023. Sappiamo che Draghi preferirebbe traslocare al Quirinale (lo ha fatto capire senza ambiguità). E allora il problema è quello di capire come sostituirlo e con quale assetto politico sarebbe necessario affrontare un anno che, ripeto, non sarà affatto semplice. Ma i partiti tacciono su tutte le questioni di merito. Noi abbiamo proposto, insieme a +Europa, un tavolo dei segretari dei partiti proprio per discutere non solo dell’assetto del governo non più presieduto da Mario Draghi, ma anche delle linee del programma, degli impegni per le riforme, delle modalità di gestione delle risorse europee e italiane. Ma per ora i partiti, compresi quelli che invocano un patto di legislatura, non sembrano disposti a parlarne veramente».
Chi potrebbe essere il successore di Draghi a Palazzo Chigi?
«Non voglio fare designazioni. Ho avuto modo di apprezzare la Cartabia non solo nell’attuale ministero. Penso che sia una persona capace e determinata, in grado di gestire i partiti in un anno complesso e con le elezioni alle porte. Certo, non è tempo di mettere su un governicchio elettorale, prigioniero delle logiche distributive dei partiti».
Tutta questa vicenda, dal Governo Draghi all’elezione del Capo dello Stato, sta mettendo in luce le drammatiche carenze dei partiti, che non hanno idee, e anche se le avessero, mancherebbero del necessario coraggio per enunciarle e attuarle. Ancora una volta rischiamo di perdere l’occasione dei fondi europei. L’Italia rischia di rimanere schiacciata dall’incapacità delle forze politiche di dotarsi di progetti lungimiranti e di avere la pazienza di gestirli.
«Ho detto spesso che il problema numero uno del nostro Paese è l’incapacità di spendere bene le risorse disponibili; oppure, quando si fanno le riforme (le ultime degne di questo nome sono quelle fatte dal governo Renzi), di implementarne la gestione, vedere come funzionano, magari fare piccole modifiche. Non si può ogni volta annunciare grandi riforme, farle passare in Parlamento con grande fatica, e poi abbandonarle non curandone l’esecuzione».
Ci vorrebbe quindi un riassetto del sistema politico. Invece sembra di capire che l’elezione del nuovo capo dello Stato non darà inizio a una nuova fase della politica italiana.
«La situazione è delicata, ma non dobbiamo essere pessimisti. Draghi è comunque una risorsa che dovremo utilizzare al meglio nell’interesse dell’intero Paese. Poi occorre prendere atto che il bipolarismo è degenerato ed ha fallito l’obiettivo della governabilità. Bisogna tornare a un sistema elettorale proporzionale, così da favorire il formarsi di coalizioni parlamentari di forze ragionevoli, tagliando gli estremisti che invece oggi dominano il nostro bipolarismo malato. Dobbiamo avere fiducia nella democrazia e puntare sulla mobilitazione della pubblica opinione, che sembra aver apprezzato la concretezza e l’assenza di retorica del Governo Draghi».
Calenda dimentica la Costituzione e la prassi e dice stupidate.Dato che il partito di maggioranza e M5S deve incaricare Conte che fa un Governo e poi va in parlamento a prendersi la fiducia e che cambia l’impostazione fossile di Confindustria del 600% di aumento gas che ci mette in ginocchio.