Molti leader dei partiti si affannano a dire che quello di oggi e domani è solo un voto amministrativo e che non avrà alcuna influenza sul Governo e sui poteri interni agli schieramenti politici. Ma il nervosismo di molti, sia a destra che a sinistra, dimostra che queste elezioni potrebbero invece essere una tappa fondamentale per avviare un riassetto del sistema dei partiti sulla spinta anche del metodo di governo inaugurato da Draghi, pragmatico ma molto determinato a raggiungere il risultato.
Al di là del polverone di chiacchiere e insulti che sono in una qualche misura il normale portato della campagna elettorale, si può ben valutare la vera posta in gioco: si tratta di capire se dai risultati uscirà confermato l’attuale bipolarismo destra-sinistra basato su due coalizioni sempre più sbilanciate verso le posizione più estreme, oppure se potrà cominciare un percorso capace di condurre verso la formazione di un più forte gruppo liberale-riformatore intorno al quale potrebbero raccogliersi le parti meno estremistiche dei due schieramenti di destra e di sinistra per dar vita a delle coalizioni di governo di tipo “grande coalizione“ alla tedesca. Si tratterebbe di tagliare le estreme, e cioè mantenere fuori dal Governo la destra della Meloni che non riesce più a nascondere le sue pulsioni sovraniste e fascistoidi, e a sinistra quella parte dei 5 Stelle che continua a proclamarsi anti-sistema e le varie sinistre-sinistre, esageratamente ecologiste e demagogiche.
I segnali che il vecchio bipolarismo sta franando sono numerosi. In primo luogo il PD sta attaccando più Calenda che gli avversari della destra. Il vero pericolo è ritenuto da Letta la tentazione di abbandonare la vecchia coalizione (che poi al momento nemmeno esiste) e spostarsi verso posizioni più chiaramente riformiste dove conta la necessità di rimettere in moto la crescita e dove la competitività è un valore da raggiungere. E infatti il segretario del PD non perde occasione per ricordare che il bipolarismo sta tornando (dopo la parentesi Draghi) e che gli elettori devono stare o di qua o di là. Guai votare formazioni centriste come quella di Calenda!
Nel raggruppamento di destra le fratture sono ancora più evidenti. La Lega sta ritrovando la propria base del Nord, fatta di imprenditori che esportano, che vogliono stare in Europa, che sono favorevoli ai vaccini e al green pass. Non a caso il presidente di Confindustria Bonomi, nel suo intervento all’assemblea della confederazione la settimana scorsa, ha criticato soprattutto la Lega riservando alla sinistra solo qualche timido rimprovero al ministro del Lavoro Orlando che non vara la riforma degli ammortizzatori sociali e le politiche attive che sono urgenti se si vuole ricollocare i lavoratori in uscita dai settori obsoleti verso quelli in pieno sviluppo.
Non è un caso, quindi che il ministro Giorgetti, abbia detto che se fosse romano voterebbe Calenda come sindaco, mentre molto esponenti di Forza Italia fanno capire che per il Campidoglio il candidato scelto dalla Meloni non è di loro gradimento e quindi è probabile che facciano il voto disgiunto. D’altra parte né a Berlusconi né a Salvini sembra dispiacere troppo una brusca battuta d’arresto della Meloni nella sua città a causa del candidato da lei scelto.
Per rigenerare il centro-destra non basta una sonora sconfitta nelle sei principali città dove si vota, come sostiene il direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, perché dati gli attuali rapporti di forza la destra estrema sarebbe comunque predominante. Se poi la sinistra vincesse in tutte le città capoluogo, questo consoliderebbe l’idea che il PD deve stringere i rapporti con i 5 Stelle che rimangono un gruppo fondamentalmente anti-sistema, statalista e confusamente pauperista. Si confermerebbe insomma l’attuale linea del partito ritenuta sociale, ma che in realtà sostiene solo il conservatorismo sindacale di Landini.
In sostanza è necessario prendere atto che le due coalizioni così come si sono venute configurando negli ultimi anni, sono incapaci di esprimere una visione unitaria al loro interno e soprattutto non rispondono all’interesse dell’Italia in questa fase storica, quando occorre gestire bene il post-COVID per consolidare la robusta ripresa in atto e farla durare il più a lungo possibile.
Per uscire da questo groviglio non c’è che una soluzione: votare dove possibile le formazioni liberal-democratiche. A Milano c’è una lista “Riformisti per Sala”, mentre a Roma c’è Calenda che con grande coraggio da oltre un anno sta girando la città per capirne tutti i problemi e immaginare, d’accordo con i cittadini, le migliori soluzioni senza i vincoli clientelari che finora hanno impedito sia alla destra che alla sinistra di dare a Roma un vero assetto da grande capitale europea di un paese che vuole ritrovare il suo posto nel mondo.
La vittoria di Calenda a Roma e una buona affermazione delle liste formate da tutte le sparse anime dei partiti liberal-democratici, farebbe probabilmente esplodere le contraddizioni all’interno dei due poli facendo prevalere le forze più moderate e governiate, faciliterebbe la permanenza di Draghi al Governo, e riaprirebbe la discussione sulla legge elettorale. Quella attuale, pur avendo solo un terzo di collegi uninominali, tiene in piedi queste coalizioni farlocche. Se si tornasse ad un proporzionale puro, con sbarramento come in Germania, con ogni probabilità il futuro Governo dopo il 2032, nascerebbe dalla convergenza delle formazioni più moderate, tagliando le ali estremiste che sarebbero confinate all’opposizione senza avere voce nelle politiche del Governo.
Al di là delle questioni ideologiche che possono anche far preferire un sistema bipolare all’inglese, bisogna essere consapevoli che in questo momento (e per il prossimo futuro) la cosa più conveniente da fare, se si vuole rimettere in moto il paese, è quello di raggruppare tutte le forze più riformiste in un Governo di coalizione che lasci gli estremisti all’opposizione. Naturalmente poi, per evitare il ritorno dei “vaffa” grillini, occorrerà governare bene, con equità e con risultati che siano ben visibili da tutti i cittadini. In definitiva se si è d’accordo con quanto sta facendo Draghi, allora bisogna augurarsi il successo di Calenda a Roma che a quegli ideali e a quel metodo di lavoro chiaramente si ispira.