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Calenda e Renzi, 3 consigli non richiesti: fondate il Partito Riformista Italiano e non considerate il Pd perduto

Imagoeconomica

Vorrei dare a Carlo Calenda e Matteo Renzi tre consigli non richiesti.
Primo consiglio: sciogliete ogni indugio e fondate un Partito. Un partito vero: con un nome, un programma e un gruppo dirigente. Con uno Statuto e regole chiare per il suo funzionamento e finanziamento. Per cortesia, non chiamatelo “Italia in azione”. Chiamatelo semplicemente “Partito Riformista Italiano”, perché è questo quello che deve essere: la casa comune di tutti i riformisti di ispirazione socialista, liberale , cattolica o radicale. Col termine “riformista” nel logo non si indicherebbe solo un metodo di governo ma si segnerebbe anche un confine: a destra, verso i sovranisti e, a sinistra, verso i populisti.
Secondo consiglio: cercate di cambiare lo schema del gioco politico italiano. Il nostro sistema politico ed istituzionale vive ormai da più un decennio una crisi profonda che è rimediabile solo con adeguate riforme istituzionali, che però nessuno è mai riuscito a fare. In conseguenza di ciò le istituzioni e i partiti hanno via via perso la capacità di rappresentare il paese (l’assenteismo supera ormai il 50%) e anche quella di governarlo. La rapida ascesa, seguita da crolli repentini di tutti i partiti (con la sola eccezione, almeno sino ad ora, di FdI) è una indicazione inequivocabile di questa crisi. Stando cosi le cose non ha molto senso parlare di sinistra, destra o centro. Ha forse più senso parlare di aree politiche; un area democratica, riformista e progressista e un area moderata e conservatrice con ai lati i due estremi dei populisti e dei sovranisti. Il Partito Riformista dovrebbe collocarsi in modo inequivocabile nell’area democratica impegnandosi per unirla e darle voce politica.
Terzo consiglio: non dare il PD per perduto. Soprattutto adesso. Il PD è un partito di sinistra potenzialmente riformista. Lo è stato di più in certi momenti (con Veltroni e Renzi) e di meno in altri (con Bersani e Zingaretti), mentre con Martina, Franceschini e Letta non è stato nulla. Ma, nel complesso, a prevalere alla fine, almeno sino ad ora, è sempre stato lo spirito di servizio verso il paese (chiamato ingiustamente governismo). Il Pd è però un partito al quale manca un solido ed autorevole gruppo dirigente e, soprattutto, è un partito la cui vita interna, ad onta del suo nome, è tutt’altro che democratica. Restano un mistero le modalità di selezione dei quadri e quelle della formazione dei gruppi dirigenti. Cosi come sono a dir poco confuse e manipolabili le norme che regolano la vita delle assemblee e, soprattutto, dei congressi (l’ultimo, quello appena concluso, è un esempio supremo di imbecillità politica e rappresenta il suicidio in diretta di un partito e dei suoi dirigenti ). Non ci si deve perciò stupire se, in un simile contesto, è stato possibile ad una outsider, che sino ad ieri non era iscritta al Pd, anzi lo detestava, e che non ne condivide la cultura, diventarne segretaria. Semplicemente il Pd, in questo momento, non dispone degli anticorpi politici e culturali necessari per impedire che un simile evento possa accadere.

L’elezione di Elly Schlein chiude la partita col riformismo? Assolutamente No.

Assolutamente no. Anzi, per certi versi la apre. Sino ad ora Schlein non ha detto praticamente nulla di preciso. Essendo, come Landini, un po’ logorroica parla a mitraglia e questo le consente di non dire nulla di preciso sui temi dei quali sta parlando, E’ praticamente impossibile segnare con un si o con un no le sue risposte su temi cruciali quali la guerra in Ucraina, i superbonus, l’energia, le politiche industriali, il fisco ,etc.. Ha parlato molto dei diritti e dei bisogni, ma non ha mai affrontato il problema di come creare la ricchezza necessaria per soddisfarli. Spetta innanzitutto ai riformisti del PD incalzare su questi temi il nuovo gruppo dirigente e costringerlo ad assumere posizioni chiare sulle questioni che sono all’ordine del giorno del paese.
Al Pd non serve una unità di facciata, e perseguirla sarebbe un errore. Serve invece un confronto aperto sulle questioni di merito. Solo cosi si potrà capire se il Pd della Schlein intende mantenere la linea riformista o se invece intende agevolare una deriva populista. In ogni caso quello che conta è che fra le forze riformiste interne al Pd e quelle esterne resti vivo il confronto e che non venga mai meno la ricerca dell’unità.
Gianfranco Borghini

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