Il calcio va verso lo stop. Il fronte del no, in questa girandola di sensazioni che cambia di continuo, sembra aver nuovamente preso il sopravvento, con buona pace di quei presidenti (Lotito su tutti) che spingono per ripartire a tutti i costi. Merito, o colpa a seconda dei punti di vista, della Francia, che con la decisione di martedì di sospendere il calcio fino a settembre (mettendo fine, di fatto, alla Ligue 1), ha dato un precedente piuttosto significativo.
“La scelta dei francesi può spingere anche l’Italia e altri paesi europei a fare lo stesso – ha confermato il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora – Sarei pazzo a demonizzare la Serie A che porta soldi a tutto il sistema sportivo, ma se la ripresa non sarà in sicurezza saremo costretti a fermarla. C’è anche un problema tamponi, non sono certo ce ne siano a sufficienza: penso che i vertici del calcio dovrebbero iniziare a pensare a un piano B…”.
Parole che certificano, se ancora ce ne fosse bisogno, tutte le perplessità del Governo sulla ripresa del campionato, anche perché seguite, qualche ora dopo, da quelle ancor più pesanti di Pierpaolo Sileri.
“Al momento mi sembra inverosimile che si possa riprendere a giocare a calcio – ha affermato il viceministro della Salute. – Non stiamo parlando di tennis o di Formula 1, ma di uno sport di contatto, con un rischio contagio che mi fa preoccupare per la salute degli atleti”.
A testimonianza di quanto la situazione sia preoccupante c’è anche la situazione di Paulo Dybala: l’attaccante argentino della Juventus, a 39 giorni dalla rilevazione del contagio, non risulta ancora negativo al coronavirus. Tuttavia, a quanto pare, il quarto tampone ha segnalato una carica virale molto bassa e il ragazzo si è pienamente ripreso, tornando anche ad allenarsi in casa.
In ogni caso, la sensazione è che il precedente francese abbia fatto scuola e non solo in Italia. Anche la Uefa infatti, seppur in attesa delle decisioni (cruciali a questo punto) di Inghilterra, Germania e Spagna, comincia a considerare l’ipotesi di cancellare la dead line del 3 agosto, ad oggi limite massimo per presentare le classifiche definitive. L’idea iniziale (campionati a luglio e coppe europee ad agosto) resta in vigore, ma costringe tutte le leghe che non riuscissero a rispettare i tempi ad alzare bandiera bianca, con conseguenze davvero pesanti.
Il Psg per esempio ha già conteggiato una perdita di almeno 200 milioni ed è evidente che l’Uefa, in caso di scenario simile anche per altre federazioni top, non potrebbe restare insensibile. Se però Inghilterra, Germania e Spagna dovessero riprendere a giocare, come dicono di voler fare da settimane, ecco che il problema tornerebbe a essere soprattutto italiano: la Ligue 1 francese, Psg a parte, ha un indotto complessivo decisamente inferiore alla Serie A. Che dunque spera di avere il fatidico via libera tra qualche giorno, per riprendere ad allenarsi il 18 maggio e provare a giocare a metà giugno, in tempo per rispettare le direttive di Nyon.
In caso contrario però (e a questo punto è bene pensarci) ecco che scatterebbe il piano B, sempre che i club riescano a stilarne uno. La paura di Gravina, piuttosto fondata a dire il vero, è di passare un’estate in mezzo alle scartoffie dei vari ricorsi, figli di tutti coloro si sentissero defraudati dalla cristallizzazione delle classifiche. La soluzione migliore, in quel caso, sembrerebbe essere una A con 22 squadre, in modo da non far retrocedere nessuno e promuovere invece Benevento e Crotone.
Stesso copione anche in Serie B, che a quel punto crescerebbe a 24, con gli arrivi di Monza, Vicenza e Reggina dalla C, più una da far salire con un criterio al momento sconosciuto. Resterebbe comunque il rischio di altri ricorsi, ma soprattutto la perdita di almeno 450 milioni (Sky e DAZN, evidentemente, vorrebbero lo sconto per un campionato dimezzato) e di un numero imprecisato di club.
Già, perché se è vero che il calcio produce un indotto di 5 miliardi l’anno (1,5 finiscono nelle casse dello Stato), lo è anche che, in molti casi, spende più di quanto incassa. Molte società si affidano al giochino delle plusvalenze per sistemare i bilanci (e la cosa alla Fifa non piace): figuriamoci se potrebbero sopravvivere alla decurtazione dei diritti tv.
Certo, ci sarebbe anche un piano C, ovvero uno slittamento di campionati e coppe a settembre, con rivisitazione generale del calendario 2020/21, a quel punto compresso in sei/sette mesi. Uno scenario poco gradito all’Uefa ma forse necessario: perché la sopravvivenza del calcio, a questo punto, è anche e soprattutto un affare suo…