Il 13 novembre scorso, tra le troppe cose successe quella notte, esplodeva una bomba a pochi metri dallo Stade de France. Nei giorni successivi in tv ripassavano le immagini della partita tra Francia e Germania. Ad un immagine consueta (un giropalla interlocutorio sulla trequarti difensiva dei bleus, in quelle che i telecronisti senz’altro da dire definiscono “fasi di studio”) si univa un suono nuovo, simile a quello dei petardi che a volte esplodono allo stadio, però profondamente diverso. L’insieme, rivisto fino alla nausea, diventava uno dei tanti ritratti della distorsione, del perturbante che fa il suo ingresso nel consueto, stravolgendolo.
Nei giorni successivi sembrava che l’ombra lunga di quella notte dovesse allungarsi fino agli Europei di calcio, ma forse questo tempo è troppo liquido per una permanenza che non sia quella del ricordo. Gli eventi si susseguono e le immagini si sovrappongono e si va avanti fino a tornare al consueto, al giropalla intercolutorio delle nostre vite.
E quindi sono passati sette mesi e gli Europei stanno per iniziare. Ad aprire le danze sarà la Francia, proprio a Saint Denis, contro la Romania il dieci di giugno.
Una data che, qui da noi, sembra non interessare quasi a nessuno. La febbre di un popolo ammalato di calcio sembra essersi placata, guarita dallo sgradevole antibiotico (parlare di vaccini, di questi tempi, è esercizio troppo scomodo) di una Nazionale che non lascia sognare.
Nonostante la difesa d’acciaio targata Juve, pesano le defezioni di un centrocampo privato dagli infortuni dei suoi due interpreti migliori (Verratti e Marchisio), ma pesa soprattutto, nell’immaginario del tifoso italiano, l’assenza della figura magica del Salvatore della Patria, l’uomo di fantasia o il bomber capace di far fiorire una piccola Amazzonia dalla tradizionali secche del nostro calcio offensivo.
Roberto Baggio è un ricordo, così come Del Piero (anche se mai particolarmente risolutivo in azzurro), mentre Totti e Pirlo camminano a passo lento lungo il viale del Tramonto. Cassano e Balotelli, i due figlioli prodighi ai quali avevamo deciso di credere per un domani migliore, sono alle prese con un oggi nebuloso, così come il perenne infortunato Giuseppe Rossi, per cui il rimpianto è ormai diventato abitudine.
Anche il vociare per le convocazioni di Conte sembra non essere riuscito a levarsi, rimanendo al livello di rumore di fondo, il ronzio di un frigorifero in una stanza vuota. Per avere qualcosa da dire ci si è dovuti aggrappare alla polemicuccia sulla numero 10, simbolo della magia che ci assolva dei nostri peccati, poggiata sulle spalle larghe, ma poco raffinate di Thiago Motta che, nonostante sia un titolare inamovibile in una delle squadre più forti d’Europa, paga agli occhi dell’opinione pubblica il peccato originale della sua oriundità e quello della finale/massacro del 2012, quando, stirandosi dopo cinque minuti dal suo ingresso in campo, aprì definitivamente le porte ai buoi che fremevano per scappare.
Ci affacciamo agli Europei senza troppe speranze, in quello stato d’abbandono che a volte è stato il preludio di quelle grandi imprese che, dopo le bruciature degli ultimi mondiali, non osiamo più immaginare, anche se la struttura della competizione, con 16 squadre su ventiquattro destinate a passare i gironi, ci autorizza a sorridere.
Dovremo vedercela fin da subito con la nouvelle Vague belga che, divenuta mainstream nel giro di una stagione, rischia di essere già considerata un po’ vintage, con il suo Hazard sfiatato. Nel caso dovessimo andare avanti, l’improbabile strada per la vittoria sarà lastricata dal circolo chiuso delle solite note: la Germania leggermente appassita, ma sempre fortissima e la Francia che si fa avanti in acqua tre, con le rising stars Griezmann e Pogba, ma senza Benzema, escluso per la storiaccia del sextape di Valbuena.
La Spagna bicampione in carica e dominatrice del mondo a livello di club, intanto, cercherà di rinfocolare il suo ciclo vincente dopo l’orrendo mondiale brasiliano, mentre Portogallo e Svezia, a livelli diversi, rimangono le compagnie di giro in cui si esibiscono, senza grosse speranze, i due solisti più decisivi della competizione, ormai stanchi dei loro troppi monologhi.
Nella competizione allargata a 24 squadre c’è spazio anche per la piccola Islanda che si affaccia al calcio che conta, e per il derby tra Galles e Inghilterra, e quello tra l’Albania e la Svizzera gonfia di albanesi e kosovari, con i fratelli Xhaka che si scontreranno dalle due parti della barricata.
Ci sarà tutto questo e ci sarà il ricordo vivo di quella notte di 9 mesi fa, che è in tutta Parigi e nella Senna che esonda, e ci sarà il calcio consueto di ogni estate, nella speranza che ci sia solo quello.