Per una volta lo possiamo dire senza esagerare: il calcio italiano è nella bufera. Il maltempo, che sta creando grossi disagi a tutto il Paese, si è riversato anche sulla nostra serie A, che per l’ennesima volta ha mostrato al mondo le proprie carenze. Sotto accusa ci sono gli stadi, inadeguati a sopportare le intemperie del maltempo, ma anche i calendari, intasati e schiavi delle televisioni oltre ogni limite. In questa tempesta di neve e di polemiche, stiamo assistendo ad un vero e proprio passaggio d’epoca: le tribune sono diventate più importanti dei campi da gioco.
Il GOS (Gruppo Operativo Sicurezza) ha rinviato diverse partite (su tutte quella di Parma) per l’impraticabilità degli spalti. In tutto questo però non è chiaro il pensiero dei calciatori: com’è giocare con la neve? FIRSTonline lo ha chiesto a tre grandi ex del passato, che hanno vissuto l’epoca in cui si giocava sempre e comunque. Michelangelo Rampulla (portiere dal 1979 al 2002, una vita nella Juventus), Massimo Brambati (in attività dal 1985 al 1999, difensore di Torino e Bari) ed Evaristo Beccalossi (indimenticato fantasista dell’Inter) ci raccontano il loro punto di vista sul calcio e sulla neve.
“Per un portiere la neve è un disastro, – racconta Michelangelo Rampulla – Il pallone rimbalza in modo diverso, le traiettorie vengono falsate completamente. Ho giocato sia con il nevischio che con la neve già attaccata al terreno, in entrambi i casi avevo grossi problemi. Ricordo ancora una partita di Champions League in Romania (6/12/1995, Steaua Bucarest – Juventus 0 – 0 n.d.r.), ogni volta che arrivava un tiro rasoterra erano guai. Il peggio però si verifica con i campi ghiacciati: non hai la possibilità di concentrarti, devi solo pensare a stare in piedi. Certe volte ho dovuto giocare con le scarpe da calcetto o addirittura senza tacchetti, simili a quelle da tennis. Era l’unico modo per stare in piedi”.
Dello stesso avviso anche Evaristo Beccalossi, esponente importante della categoria dei fantasisti: “Giocare con la neve per me era un disastro. Ricordo ancora un Brescia – Juventus, con in campo tra gli altri un grande come Michel Platini. Eravamo proprio noi giocatori più tecnici ad avere più difficoltà: non sapevi mai quale traiettoria potesse prendere la palla, una volta schizzava a velocità supersonica e un minuto dopo ti si fermava sotto il piede. Inutile nasconderlo, lo spettacolo ne esce penalizzato, perché dribbling e passaggi diventano molto difficili”.
Tutti d’accordo allora? No, perché se portieri e attaccanti la pensano in un modo, non è così per i difensori: “Io con la neve mi sono sempre trovato molto bene, perché mi piaceva il gioco veloce, mentre il ghiaccio era molto più pericoloso – racconta Massimo Brambati – In generale credo che un difensore tragga sempre un vantaggio da questi campi rispetto ad altri giocatori. La realtà è che oggi è cambiato tutto, le partite vengono sospese per preservare gli spettatori ancor prima che i calciatori. Ai miei tempi si giocava e basta, e penso che anche ai tifosi non dispiacesse. Ricordo ancora un derby Torino – Juventus del 31 dicembre 1988: durante il riscaldamento la curva Maratona riempì di palle di neve i giocatori bianconeri. Povero Laudrup, fu costretto a scappare negli spogliatoi…”.
Altri tempi e altro calcio. Quando gli spettatori erano meno coccolati e i giocatori più “normali”, ma tutti si divertivano di più.