Facile dire: “Cristiano Ronaldo e Messi non giocheranno mai in Italia”. Magari perchè i nostri club sono troppo indebitati, economicamente non più all’altezza delle grandi d’Europa, che invece con ingaggi annui (e netti) a sette zeri mettono in cassaforte i loro campionissimi. Relegando il nostro calcio a un ruolo sempre più marginale nel panorama continentale tra debiti, scandali, e crisi tecnica.
Ma è tutto oro quel che luccica? Assolutamente no. O meglio, sicuramente non in Spagna, Paese dove giocano i due calciatori considerati quasi unanimemente i migliori del mondo. Il portoghese Cristiano Ronaldo gioca nel Real Madrid di Mourinho (anche lui strapagato), mentre l’argentino Leo Messi veste la casacca blaugrana del Barcellona.
A che prezzi? Salatissimi: 10,5 milioni ogni 12 mesi per la “Pulga”, mentre Cr7 ne prende 13 e il suo allenatore 14,8. Il tutto esentasse, o quantomeno a tasse “abbuonate”, grazie a una particolare legge (ora sempre più contestata) del governo spagnolo. Ma la pacchia sta per finire: Real e Barça risultano infatti le società più indebitate, con rispettivamente 660 e 548 milioni di rosso, in un contesto generale in cui il calcio spagnolo “avanza” 5 miliardi di euro, di cui uno da dare proprio allo Stato per le tasse arretrate, tanto che il ministro dell’Educazione e dello Sport, José Ignacio Wert, ha appena firmato un accordo con la Liga in base al quale, dal prossimo campionato, il 35% dei diritti tv andrà a garanzia degli arretrati. Per la parte rimanente, invece, rimane l’atteggiamento accomodante dello Stato (“E’ diffusa la sensazione – ha ammesso lo stesso ministro – che il calcio abbia ricevuto un trattamento di favore”), che consente a Real, Barça e agli altri di mettersi in regola entro il 2020, cominciando a pagare solo dalla stagione 2014-2015.
E gli altri 4 miliardi? Favori delle banche, nella logica di un malato intreccio tra calcio, politica e finanza, con gli affari calcistici a fare da spot alle campagne elettorali finanziate dalle casse di risparmio locali. Ecco perchè, dopo il caso Bankia che ha scoperchiato il vaso di Pandora, la pacchia si avvia alla conclusione. Nel pool di Bankia (che appena nazionalizzata ha “scoperto” un buco da 19 miliardi) ci sono dieci istituti, dai più grandi e solidi come Bbva e Santander, agli indebitati e claudicanti Cam e Caja Madrid. Proprio da questo ultimo istituto Florentino Perez, patron dei blancos, ottenne 76,5 milioni per comprare Cristiano Ronaldo e Kaka (90 e 67 milioni) nel 2009. Ottimo il tasso d’interesse: 1,5%, più dell’Euribor. Nella stessa estate il Valencia evitò il fallimento grazie a un maxi prestito di Bancaja. Entrambe le banche vennero poi fuse in Bankia per salvarle dall’esplosione della bolla immobiliare.
Per non parlare del Barcellona, che ha nuovamente battuto cassa di recente per farsi finanziare il mercato del dopo Guardiola, ma le banche, di fronte alla prospettiva di dover chiedere decine di miliardi all’Europa per tenere in piedi il sistema finanziario, hanno avuto – almeno adesso – il buon senso di rispondere picche (i tifosi milanisti possono dunque tirare un sospiro di sollievo per Thiago Silva). Già, perchè mentre allora fu lo Stato spagnolo a mettere i 4 miliardi necessari, adesso che i soldi sono finiti tocca all’Europa intervenire. E dunque a noi, colmo dei colmi, “pagare” i lautissimi stipendi di giocatori che, ci viene detto con un certo (ma, a questo punto, ingiustificato) atteggiamento di superiorità, non vedremo mai giocare in Italia.
Un’altra soluzione però ci sarebbe: per andare in pari (senza neppure cominciare a restituire i debiti) bisognerebbe liquidare i calciatori di un terzo della Liga oppure il Real Madrid dovrebbe dimezzare in tronco il monte stipendi ai suoi campioni. I soldi alle banche dovremmo darli ugualmente, ma allora sì che Ronaldo e co. potrebbero venire a giocare anche in Italia.