Priorità: è questa, all’osso, la sintesi che emerge dell’analisi proposta dal professor Gilardoni il 20 giugno u.s. con l’Osservatorio su “I costi del non fare”. Priorità che il Paese deve sapersi dare e che – purtroppo – ancora non sa o non vuole darsi. Assumendosi, con ciò, rischi importanti. Perché la crescita e lo sviluppo socio-economico di un Paese non sono fenomeni meteorologici da aspettare fatalisticamente; sono legati a fattori strutturanti fondamentali. La crisi che sta attraversando l’Italia è soprattutto di competitività e di innovazione. Non solo chi ha il debito più elevato risulta maggiormente esposto nel panorama globale, ma anche chi sperimenta la crescita economica più bassa. E l’Italia ha un trend di crescita modesto, pur nell’ambito della modesta area euro. D’accordo, abbiamo i conti a posto, ma adesso bisogna pensare alla ripresa. Le tecnologie della società dell’informazione hanno, in questo senso, un potenziale enorme. L’Osservatorio correttamente lo evidenzia e colloca le infrastrutture per le comunicazioni elettroniche al primo posto fra gli investimenti con il più alto ritorno economico e sociale. L’Agcom lo va dicendo da tempo, da quando sembrava che il sottoscritto predicasse nel deserto. La Commissione europea, attraverso l’agenda digitale, ha ora identificato le linee di intervento che gli Stati membri devono sviluppare per realizzare un mercato digitale europeo alimentato da reti internet ultraveloci e da applicazioni interoperabili. Da perdere, se non si investirà, ci sarà tantissimo e si allargherà il gap con il resto del mondo sviluppato, ma anche con economie meno avanzate che sono davanti all’Europa – e all’Italia – in aree cruciali come l’innovazione e la ricerca. Al giorno d’oggi nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui ne abbiamo assoluto bisogno. Soprattutto per le generazioni future. Gli investimenti nelle nuove infrastrutture per le comunicazioni elettroniche garantiscono infatti esternalità positive (spillover), che si irradiano su tutto il sistema economico e produttivo, accrescendo la produttività del lavoro, l’occupazione ed il prodotto interno, riducendo i costi delle transazioni di mercato, e rendendo possibile (enabling technologies) l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo. L’effetto positivo si manifesta sia sul versante dei risparmi di spesa che su quello della produttività e della concorrenza internazionale. Almeno 1 punto di PIL per ogni 10% di diffusione della banda larga (fonte: banca Mondiale) e circa 30 miliardi all’anno, a regime per l’Italia, di risparmi grazie a telelavoro, e-commerce, e-learning, e-government, e-health, mobile payment, e-paper, gestione energetica intelligente (fonte: Confindustria). Al di là del dato puntuale conta l’ordine di grandezza dei valori. E considerato l’enorme ammontare, ad esempio, della spesa sanitaria nel nostro Paese, si tratta di un’indicazione cruciale. In Italia, per contro, non si investe ancora abbastanza nelle autostrade informatiche delle nuove comunicazioni che sono il fertilizzante principale di quell’economia della conoscenza che si attesta come nuovo paradigma di modello capitalistico partecipato. La consapevolezza del potenziale socio-economico è ancora marginale, il che relega le nuove tecnologie a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece essere la chiave di volta della rivoluzione digitale che può dare una spallata a un sistema imballato, cambiando radicalmente i paradigmi dell’economia e della società. Può sembrare un paradosso, eppure di tutti gli investimenti che l’Osservatorio riporta nell’esemplificativa tabella di sintesi, le reti in fibra di nuova generazione per la banda ultra larga sono quelle che maggiormente rischiano di non essere realizzate nei tempi appropriati. Non solo “se” ma anche il “quando” assume infatti una valenza strategica. Il tempo è un fattore determinante che non possiamo permetterci di sprecare; per realizzare una rete in fibra ottica ci vogliono dai quattro agli otto anni. Nella fase di espansione l’immobilismo può portare al ristagno; in fase recessiva può portare al declino. Ma è attuabile un intervento così costoso in tempi di crisi? Innanzi tutto l’investimento richiesto è meno ingente di molti altri, inseriti nella stessa tabella, la cui realizzazione tuttavia non viene mai messa in discussione. In ogni caso, proprio in questo periodo di crisi, la maggior parte delle economie, più o meno avanzate, ritengono prioritari gli investimenti nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione proprio per i benefici netti attivabili. Le prospettive, ormai attuali, dell’internet “delle cose” segneranno un ulteriore salto di qualità nel consumo di byte. Da qualche device per persona (telefonino, tablet) a un rivelatore incorporato in ogni oggetto – dalle etichette ai sensori di controllo medici o ambientali – che, grazie ai modelli di computazione nella nuvola, potrà fornire dati ad applicazioni in grado di dare segnali e risposte su tutto. Tutto ciò implica non solo volumi di traffico esponenzialmente crescenti ma anche esigenze di velocità, qualità e affidabilità senza precedenti e postula, quindi, una disponibilità di banda su una scala mal confrontabile con il fabbisogno di ieri. Non possiamo incorrere nel paradosso di avere sistemi intelligenti ma non avere una rete che li interconnetta e ne diffonda sistematicamente l’utilità. Il tema dello sviluppo delle reti è dunque la cornice imprescindibile in cui inquadrare tutti i tasselli del puzzle e promuovere la sostenibilità dell’ecosistema digitale. La scarsa alfabetizzazione degli italiani costituisce indubbiamente una remora per la realizzazione delle reti in fibra (le ultime rilevazioni a livello comunitario sono ancora impietose). Ma non bisogna lasciarsi paralizzare da tale dato, comunque in evoluzione, e, soprattutto, questo non deve rappresentare un ostacolo strumentale. Qualche anno fa un interessante convegno poneva il dilemma della banda ultra larga tra l’uovo (il pragmatismo dell’oggi) e la gallina (il fideismo tecnologico). E’ la domanda che deve spingere lo sviluppo delle reti oppure sono gli investimenti in infrastrutture che stimolano la domanda? L’offerta tout court non genera la domanda, ma senza un’adeguata offerta ogni tendenza alla crescita della domanda si affloscia. Esiste un rapporto a proporzioni fisse fra i due tipi di investimento. Senza lo stock di capitale infrastrutturale fisico che realizzi il “volano” della rete, l’investimento in software (servizi, capitale umano) renderà sempre meno, proprio perché sarà frenata la sua diffusione. Il rischio reale è quello di accorgersi troppo tardi che l’infrastruttura non è sufficiente a fronteggiare la domanda. Il rischio non è quello di spendere troppo per la banda larga, semmai il contrario: quello di investire troppo poco, perdendosi in logoranti attriti tra mercato e istituzioni che dovrebbero essere messi da parte per perseguire l’interesse comune. Come Autorità di governo del settore delle comunicazioni durante il nostro mandato abbiamo ridotto l’incertezza informativa con nuove regole incentivanti per consentire la partenza degli investimenti nelle reti in fibra, prevedendo un ragionevole ritorno. E’ fondamentale che ci siano imprese capaci di cogliere il nuovo e programmare l’avvenire, così come è fondamentale una politica industriale che sappia supportare gli investimenti facilitando l’attivazione di capitali e modelli di partnership mista pubblico-privato. La Cassa depositi e Prestiti può giocare un ruolo fondamentale nel quadro delle norme esistenti. Per attrarre denaro in un momento ancora di forte crisi è imprescindibile selezionare le priorità e configurare gli opportuni incentivi. Priorità, dunque; con determinazione e responsabilità. Le decisioni vanno prese oggi; perché il domani sarà il frutto di scelte che andavano fatte oggi.
*Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni