X

Caffè espresso: tornano in Italia tutte le linee cinesi entry level della Gaggia. Momento storico per il Made in Italy

Gaggia

Una data storica quella del 28 settembre 2023 per il made in Italy e per i suoi brand tra i più celebrati, vale a dire l’espresso: anche la produzione delle poche ultimissime macchine della collezione entry level della Gaggia è tornata tutta in Italia dalla Cina dove una sbagliata strategia di delocalizzazione di Philips – che l’aveva comprata nel 2009 insieme alla Saeco – aveva trasferito tutto. E che aveva mantenuto a Gaggio Montano (Bo) solo una parte, ma a rischio delocalizzazione, la fabbricazione delle superautomatiche. 

Poi all’inizio del 2022, come riportato FIRSTonline, i cinesi e la Philips decidono di riportare in Italia anche alcune linee delle macchine entry level perché i cinesi si rendono conto che il made in Italy finto non tira. Non solo tecnologicamente.  Per essere venduto bene e soddisfare gli utenti deve essere progettato, fabbricato, gestito, promosso e venduto da management italiano e con una fedeltà tecnica e culturale alla tradizione in costante innovazione. Da quando man mano è cominciato il reshoring, Gaggia ha visto crescere infatti tutti i parametri, compresi gli utili e con novità all’altezza del vero made in Italy dell’espresso, anche quello della fascia meno costosa.

Chiuse tutte le linee cinesi, ecco le novità

Un traguardo straordinario che corona un percorso di reshoring che ha dell’incredibile. Perché a decidere questa giravolta era stata la finanziaria cinese Hillhouse Capital Management alla quale la Philips aveva ceduto nel 2021 il comparto degli small appliances con i brand Gaggia e Saeco compresi i loro siti produttivi italiani. 

Una lunga operazione completata dal passaggio definito nel 2022. Per la verità gli incroci tra il n.1 della finanza asiatica – tale è Hillhouse – e Philips sono molto complicati. Il comparto Philips Domestic Appliances, pur in mano cinese, viene lasciato nella gestione proprio alla Philips che, tra l’altro, con una decisione improvvisa, gli cambia nome scegliendone uno, perlomeno bizzarro, Versuni. E poi: Hillhouse all’iniziale cifra stabilita di 3,7 miliardi di euro, deve aggiungere 700 milioni per utilizzare tutti i brand per i prossimi 15 anni. Cioè, quello che è un gigantesco serbatoio mondiale di imprese, pur potendo utilizzare fior di brand di settori in crescita di valore e non solo di quantità, compra la licenza d’uso ma non ne fa nulla, perché tutto ritorna nelle mani di chi gliel’ha venduta a suon di milioni. Non è perlomeno strano? Ed è a Versuni che Gaggia, pur essendo diventata cinese, risponde in toto ma –va riconosciuto- con una libertà d’azione decisamente fruttuosa. Anche nel realizzare la nuova serie Espresso, presentata giovedì, con macchine a partire da 160 euro, a competere prevedibilmente con successo con le “carabattole” che l’espresso non lo danno mai, fabbricate altrove. Innovazioni tecnologiche, di materiali, di design molto essenziale ma mai pauperistico, ergonomiche: questa la nuova gamma interamente fabbricata in Italia.

I misteri del rapporto Philips-Hillhouse

Ma c’è qualcosa che suona stonato anche perché nessun ufficio stampa risponde alle domande dei giornalisti, la mancanza di libertà di stampa in Cina viene applicata in modo ferreo (da tutte le multinazionali cinesi) in dispregio della libera e indipendente informazione: con i giornalisti non si parla se non di design e basta. 

Non pochi operatori si stanno domandando chi sia il vero proprietario del brand e della fabbrica, oltre che dell’ottimo andamento degli utili, del fatturato alla produzione e al sell-out, delle esportazioni, e dell’aumento delle quote sui mercati nazionali ed esteri. Per intenderci, Hillhouse Capital controlla il più grande fondo di private equity in Asia, con oltre 70 miliardi di dollari in gestione, che comprende Alibaba-Tencent, JD, Meituan, Zoom e innumerevoli altre società di alto profilo in Cina e nel mondo. 

Gaggia ha cominciato una crescita a due cifre dal 2020 quando ha realizzato oltre 33 milioni di euro di fatturato (26 nel 2019) poi 43 nel 2021 e quasi 50 nel 2022; l’utile, quasi inesistente in passato, era salito a 13 milioni di 2021, proseguendo poi nonostante notevoli investimenti, a crescere. Il 2023 si chiuderà prevedibilmente con una leggera flessione del fatturato a fronte di ben altri cedimenti del comparto. Ma le esportazioni promettono bene dopo incrementi del 20-30 per cento negli ultimi anni.

Ecco forse qualche perché

Quando l’operazione Hillhouse si conclude, all’inizio del 2022, dalla Cina sono arrivati avvertimenti non casuali. “L’ azienda tecnologica Philips, con sede nei Paesi Bassi, ha un impegno a lungo termine sul mercato cinese e si è impegnata a essere davvero un’azienda globale ‘locale’ nel Paese asiatico”, dichiara perentorio al giornale Xinhua Andy Ho, Presidente di Royal Philips Greater China.

 In Cina, per la Cina, Philips si impegna a lungo termine sul mercato cinese. Considerando le profonde radici di Philips in Cina, sappiamo che la cooperazione tra Paesi Bassi e Cina ha prodotto risultati fruttuosi da quando i due Paesi hanno stabilito legami diplomatici 50 anni fa. Con sede a Shanghai, l’impronta commerciale di Philips in Cina copre oltre 600 città con oltre 8.000 dipendenti. Philips ha fornito prodotti e soluzioni a 492 milioni di cinesi nel 2021”. 

Ma cosa può accadere da quando c’è la crisi immobiliare cinese-asiatica e quella dei mercati delle tecnologie di consumo che assorbivano la maggior parte della produzione cinese? Hillhouse di recente ha respinto le voci di licenziamento dopo che il portafoglio è stato colpito dal crollo dei titoli tecnologici. La smentita arriva perché il portafoglio di Hillhouse ha perso valore. Tra le sue principali partecipazioni, il titolo biotecnologico I-Mab è crollato dell’80%, l’azienda tecnologica Sea con sede a Singapore è crollata del 64% e il valore del colosso cinese dell’e-commerce JD.com è crollato del 18% dall’inizio di quest’anno. Ma a restare sospesa è stata anche la presenza forse ingombrante, nel portfolio Hillhouse, con reciproci incroci di Midea e Gree, gigante mondiale, sempre cinese, della climatizzazione. Ecco di nuovo Midea, protagonista in costante agitazione nel comparto delle tecnologie.

Related Post
Categories: Economia e Imprese