La siccità può avere anche un gusto: più amaro. Succederà anche per la tazzina di caffè, sempre più amata e richiesta nel mondo. E chissà che proprio il dover rinunciare al solito, amato gusto della “tazzulina” possa spingere a riflettere di più su che cosa sta accadendo al pianeta.
Proprio la siccità e il cambiamento climatico stanno modificando la cultura e la produzione anche del caffè con conseguenze non solo sul prezzo, ma persino sul gusto, perché i chicchi che si stanno usando non riescono più a resistere alle attuali condizioni atmosferiche e si sta pensando di passare ad altri chicchi più resistenti, ma che saranno anche più amari.
“Non solo aumenteranno i prezzi” ha detto Vanusia Nogueira, direttrice esecutiva dell’Ico, Organizzazione internazionale del caffè al Financial Times. “Purtroppo, potrebbe cambiare il sapore. Meno buono proprio a causa delle alterazioni del suo ambiente naturale”.
Le piante della specie “Arabica” non resistono più ai cambiamenti climatici
Sui pendii del Monte Kenya, un vulcano spento, Martin Kinyua, un piccolo coltivatore di caffè, ha deciso di non piantare nuove colture. Le piantine, riporta la Bbc, moriranno semplicemente per il caldo.
“Abbiamo una stagione di siccità prolungata”, spiega Kinyua. “Siamo abituati a due stagioni di piogge, quella breve e quella lunga. In questo momento non è possibile dire quando arriveranno le piogge brevi”.
Kinyua, membro della Mutira Farmers Cooperative nella contea di Kirinyaga in Kenya, aggiunge che le temperature più elevate attirano più parassiti e malattie, aumentando i costi di protezione dei suoi prodotti. Ciò che sta accadendo nella fattoria di Martin è un’idea del pericolo in cui si trova l’industria del caffè.
L’Arabica, la specie coltivata da Martin, rappresenta la maggior parte dei chicchi di caffè commercializzati a livello globale, circa il 70%. Ma è molto sensibile ai cambiamenti sia di temperatura che di umidità. Negli ultimi due anni la produzione non è riuscita a soddisfare la domanda. I risultati di un recente studio suggeriscono che se la temperatura globale aumentasse di 2°C, i paesi che forniscono un quarto dell’Arabica mondiale subirebbero forti diminuzioni della resa. Un aumento di 2,5°C avrà questo impatto sul 75% dell’offerta.
L’altra tipologia di caffè più usata nel mondo è la “Robusta”, più “tosta” dell’altra: cresce a temperature più alte e resiste meglio a parassiti e malattie. Ma anche questa specie è vulnerabile a cambiamenti climatici significativi e duraturi come quelli che stiamo fronteggiando. “Il caffè ama un clima temperato: piovoso ma non troppo, né troppo caldo, né troppo freddo. Zone così sono sempre più difficili da trovare” nota sul Ft, Jennifer Long, del World Coffee Research Institute.
L’alternativa: il chicco “Liberica”. Ma il gusto non ci guadagna
L’industria ora ripone le speranze su un’altra specie di caffè per sostenere la produzione: la “Liberica“. Originario dell’Africa occidentale e centrale, la coltivazione commerciale è concentrata nelle Filippine e attualmente rappresenta solo il 2% del raccolto globale di chicchi di caffè.
Con un chicco più duro, difficile da lavorare, e un sapore percepito come meno desiderabile, la Liberica sta ora guadagnando un rinnovato interesse per la sua resistenza ai cambiamenti climatici.
La Liberica è già stata abbracciata dall’International Coffee Organization – il principale organismo intergovernativo per il caffè – come parte della sua missione di rafforzamento del settore.
Il suo direttore esecutivo Vanúsia Nogueira dice, come riporta la BBC, che il sapore del caffè probabilmente cambierà con l’aggiunta della Liberica ma almeno l’industria potrà soddisfare la domanda. Semmai la sua preoccupazione principale è la sopravvivenza degli agricoltori, perché l’insicurezza economica è “un problema continuo”.
Tutti pazzi per la tazzina di caffè. Ma a che prezzo?
Eppure la richiesta di caffè sta sempre più aumentando e ormai ha contagiato anche i mercati asiatici, tradizionalmente più votati al tè: oltre ai crescenti consumatori della Cina, dove Starbucks già prevede di aprire una nuova caffetteria ogni 9 ore fino al 2025 per un totale di 9.000 sedi, ci sono ora anche India, Indonesia, Malesia e Vietnam. Senza dimenticare le popolazioni in crescita dell’Africa sub-sahariana. Un segnale economicamente positivo, scrive Agrifood: il consumo di caffè è un indicatore di aumentata ricchezza, battesimo bollente di una nuova classe media emergente. Ma il prezzo potrebbe salire e allora il caffè diventerebbe un bene di lusso.
L’emergenza clima dietro l’angolo
Secondo uno studio del Columbia Center on Sustainable Investment avremo bisogno del 25 per cento di caffè in più entro il 2030. Se va avanti così arriveremo a una richiesta quotidiana pari a 6 miliardi di tazzine entro il 2050. Ma quello prodotto da un’industria pressata dalla crescente domanda potrebbe non bastare, già a breve. Negli ultimi due anni, la domanda ha infatti repentinamente superato l’offerta. E a rallentare l’industria ovviamente contribuiscono i cambiamenti climatici: da una parte stanno inaridendo i terreni adatti alla coltivazione. Dall’altra piogge e temperature elevate legate al ritorno di El Niño – fenomeno che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale in media ogni 5 anni, con un periodo variabile fra i 3 e i 7 anni, provocando dissesti globali – stanno già mettendo in crisi i raccolti. Si è visto a maggio, quando i prezzi dei chicchi di caffè hanno raggiunto il livello massimo da 15 anni a questa parte.
Metà dei terreni fuori uso
Le previsioni sono inquietanti: entro il 2050 metà del terreno coltivato a caffè potrebbe essere inutilizzabile. I maggiori produttori del prodotto – Brasile, Vietnam, Colombia e Indonesia – avranno sempre meno aree idonee. Altri potrebbero approfittarne: paesi al di fuori dei tropici come Stati Uniti, Argentina, Uruguay e Cina. Ma ciò potrebbe comportare comunque costi ecologici notevoli in termini di deforestazione. Intanto, i produttori, travolti dalla crisi climatica, si stanno impoverendo nonostante l’aumento della domanda: investono sempre meno sui loro terreni. Tanto che gli esperti di sostenibilità non hanno dubbi: bisogna aumentare i prezzi per garantire il futuro del caffè di qualità. Altrimenti non ci saranno le risorse per affrontare le nuove sfide globali.