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Byd: l’auto cinese che sta conquistando il mondo grazie al primato nelle batterie del signor Chuanfu

Qual è il segreto di Byd, il marchio cinese che in soli 20 anni è riuscito ad entrare nella top ten dei produttori mondiali di auto? Il controllo dell’intera filiera della produzione, partendo dalle batterie

Byd: l’auto cinese che sta conquistando il mondo grazie al primato nelle batterie del signor Chuanfu

Benvenuti in Odeonsplatz, salotto buono di Monaco di Baviera, la città di Bmw che in questi giorni festeggia il secondo “salone della mobilità”, erede politically correct delle manifestazioni dedicate all’auto. Forse vi stupirà la sagoma della vettura che campeggia al centro della piazza, un’auto che forse vedete per la prima volta: si tratta di una Dolphin, un’utilitaria da 34 mila euro (al netto dei bonus decisi dai vari governi), prodotta in Cina dalla Byd. Anche se, per la verità. Qualcosa di tedesco c’è: a disegnare la sagoma della Delfino ci ha pensato Wolfgang Egger, una delle firme storiche di Audi prestato all’industria del Drago che promette di conquistare una bella fetta del mercato europeo ai tempi dell’auto elettrica. 

Byd: da Shenzhen alla top 10 mondiale delle quattro ruote 

In buona parte proprio per merito di BYD, che sta per Buy your dreams, la fabbrica aperta nel 1995 a Shenzhen da Wang Chuanfu, un ingegnere venuto su dalla gavetta che ha fatto fortuna producendo batterie al litio per i primi mobile di Nokia e Motorola prima di allargare la sua attività allo stoccaggio di  energia solare per poi occuparsi di componenti elettronici per treni e bus. All’auto, insomma, l’ingegner Chuanfu si è avvicinato con gradualità e metodo, qualità che sono piaciute ad uno che vede lungo: Warren Buffett è stato tra i primi ad investire nell’impresa di questo personaggio discreto e silenzioso che promette di superare entro breve tempo Elon Musk, il creatore di Tesla.  

I numeri confermano quest’ambizione: oggi Byd conta 620 mila dipendenti, di cui 60 mila nella sede centrale di Shenzhen sovrastata da una linea interna di metro sopraelevato. In questo enorme campus in via di espansione vive una buona parte dei tecnici (per loro d’obbligo camicia bianca e cravatta d’ordinanza) alloggiati in una trentina di caseggiati. Da qui ha preso il via, nel 2003, la grande marcia che, con una costante accelerazione, ha portato il gruppo nella top ten mondiale delle quattro ruote in soli vent’anni. Nei primi sette mesi del 2023 Byd ha venduto 1,4 milioni di pezzi, arrivando a controllare il 37% del mercato cinese (quattro volte Tesla), grazie allo strapotere nel segmento dell’auto elettrica: tra i primi dieci modelli per vendita, ben 7 fanno capo a Bydm che, al pari dell’azienda di Elon Musk, sta mettendo alla frusta i rivali con una politica molto aggressiva dei prezzi.

Il segreto del successo di Byd

Qual è il segreto di questo successo, tanto più clamoroso perché coincide con una fase di debolezza dell’enorma apparato industriale cinese? Il segreto, secondo gli esperti, sta nel fatto che Byd, nata come azienda del settore batterie, si è sviluppata controllando direttamente l’intera filiera della produzione, senza nulla concedere alle forniture esterne. In pratica dall’esterno arrivano solo freni e pneumatici. In particolare conta la leadership nelle batterie in cui il gruppo è secondo solo a Catl, l’altro gigante cinese, garantisce un vantaggio per ora quasi incolmabile nei confronti dei concorrenti, sia gli  europei che Toyota e Tesla che tra l’altro sono anche i primi clienti della fabbrica di Shenzhen.

Ad esaltare il primato tecnologico nelle batterie, l’anima dell’auto elettrica, è poi l’adozione del nuovo sistema di produzione, detto Lfp (litio ferro fosfato), scelto in antitesi alla miscela NMC (nickel, manganese, cobalto) che vanta performance migliori ma ad un prezzo più alto e con il consumo di terre rare.  

Byd sbarca nel mercato europeo

C’è chi scommette che, sulla base di questi atout, Byd possa aspirare a superare tutti i concorrenti nel giro di pochi anni. In questa chiave può essere decisivo lo sbarco sul mercato europeo a partire dall’avamposto di Monaco. Entro la fine dell’anno l’azienda di Shenzhen dovrà scegliere il Paese in cui impiantare il suo primo stabilimento in Europa. In ballottaggio sono la Germania e la Francia. Facile che sia Berlino il primo territorio su cui piantare una bandiera. Ma con discrezione, senza imitare le esibizioni muscolari di Elon Musk.  

La calata in massa dei produttori asiatici nel salone tedesco offre un’immagine plastica dell’evoluzione del mercato: il 40% circa degli espositori arriva dalla Cina, il Paese delle terre rare e delle batterie necessarie per far marciare le e-vetture dal costo (relativamente) più basso, meno sofisticate sul piano tecnologico della concorrenza europea ma alla portata delle tasche della classe media, ormai esclusa da modelli più costosi. A dare una misura della competitività del made in China contribuiscono i primati stabiliti in questi mesi. 

Per la prima volta quest’anno si sono vendute in Cina più auto prodotte in casa che importate, specie dalla Germania. Ancor più clamoroso, nel primo trimestre le esportazioni dell’auto cinese hanno superato i numeri sia della Germania che del Giappone.

È con queste credenziali che il Paese del Drago promette di essere il grande protagonista di un mercato che, grazie alla ripresa della produzione di chips dopo la pandemia, è tornato a crescere sia in Europa che nel resto del pianeta: nel 2023 si produrranno 83 milioni di nuove vetture per poi salire a 89 milioni l’anno prossimo. Una fetta crescente dele vendite sarà rappresentata dall’auto elettrica, a tutto vantaggio di Pechino che, con il 28% delle vendite mondiali, è senz’altro il mercato più avanti nell’elettrico. Non solo per i volumi, ma anche per il controllo totale della catena del valore legato alle batterie, al riciclaggio nonché al controllo delle materie prime. 

Insomma, la bandiera cinese in Odeonsplatz rischia di restare a lungo, anche a salone chiuso.

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