Si fa presto a dire pomodoro Ma quando dici Buttiglieddru, dici qualcosa di più di un pomodoro: c’è dietro la storia, c’è il territorio, c’è il sapore autentico della campagna, di quelli di una volta, e c’è soprattutto una pratica di coltivazione che rispetta la natura e che ha come suo imperativo la sostenibilità.
Largamente coltivato in passato dai contadini dell‘area di Licata, a Sud di Agrigento, che lo consumavano crudo o lo utilizzavano per le conserve o le passate o lo mettevano al sole ad essiccare per conservarlo poi sott’olio per condirci la pasta tutto l’anno, il pomodoro Buttiglieddru stava scomparendo sacrificato sull’altare delle ragioni di un mercato che chiede prodotti remunerativi per intensità e rese colturali e resistenza alle malattie.
Insomma negli ultimi vent’anni era diventata una vera e propria rarità rispetto alle varietà dei ciliegini, della varietà Naomi e Rita a grappolo introdotti nel 1989 dalla multinazionale sementiera Israeliana HaZera Genetics, o dei datterini ottenuti da un incrocio di provenienza asiatica, che in epoche recenti hanno incontrato l’eccezionale favore del pubblico dei consumatori e della grande distribuzione.
Fortunatamente, però, come è accaduto anche per altri prodotti di cui FoodFIRSTonline ha parlato recentemente, in questo cammino verso la dimenticanza c’è stato un intoppo ed è stato costituito da un gruppo di agricoltori, orgogliosi della loro terra e delle loro tradizioni mal dispostti ad accettare che il Buttiglieddru dovesse scomparire dalla faccia della terra. L’azione di recupero di questo gruppo di agricoltori illuminati ha trovato poi il grande ombrello protettivo di Slow Food che ha inserito il Buttiglieddru fra i nuovi presidi dello scorso anno.
E le cose da quel momento fortunatamente sono cambiate perché questo pomodoro ha una carica di originalità colturale e organolettica che ne fa un vero e proprio campione di biodiversità.
Ma andiamo per ordine. Intanto il motivo per cui ha questo strano nome buttiglieddru va fatto risalire alla sua forma che ricorda quella di una bottiglia allungata e appuntita. Ma la cosa più interessante, la particolarità che lo distingue rispetto agli altri è la tecnica di coltivazione che è pressoché unica. Scrivere di pomodori a febbraio può sembrare un po’ fuori tempo. Non nel caso del Buttiglieddru. la cui semina tradizionalmente avveniva fra dicembre e gennaio ponendo il seme in piccole buche dove prima veniva collocato letame non completamente maturo ovvero con un certo quantitativo di azoto.
E questo comporta il fatto – come spiega Ignazio Vassallo fiduciario della condotta Slow Food di Agrigento – che la fermentazione del letame produca calore e favorisca la germinazione dei semi. Cosicché i primi frutti si possono raccogliere già ai primi di maggio.
Ma questo non è l’unico segreto che da generazioni viene tramandato per proteggere la pianta dal freddo e scongiurare il rischio di gelata: la buca, infatti, viene coperta dalle stoppie del grano, cioè da quel che rimane della mietitura, e attorno ai filari vengono piantate canne di oltre un metro di altezza utili a riparare dal vento.
«Cinquant’anni fa, quando non c’erano le serre, il pomodoro di Licata era il primo a crescere in tutta Europa, e il nostro mercato il primo d’Italia per quanto riguarda l’offerta di questa primizia» prosegue Vassallo. «Ricordo che venivano ad acquistarlo da noi anche persone da Napoli e dalla Puglia».
Poi però sono arrivate le serre, le cultivar più produttive e zuccherine progettate dalle multinazionali estere e il glorioso e onesto Buttiglieddru ha dovuto cedere il passo.
E qui si apre un altro interessante capitolo per cui si può ben capire quanto sia stato importante far sopravvivere e riavviare la produzione di questo particolare pomodoro.
Se parliamo di questa tecnica usando il presente e non il passato è perché, come si è detto, una decina di produttori hanno deciso di investire nella coltivazione di un pomodoro che, per mezzo secolo, era letteralmente scomparso da Licata. In parte perché ha «una scarsa resa e la raccolta richiede molta fatica, date le piccole dimensioni» prosegue Vassallo, in parte per l’aumento della coltivazione del melone cantalupo, e poi ancora per via del cambio di abitudini nell’agricoltura.
«Negli ultimi decenni si è cominciato a usare fitofarmaci e altri prodotti chimici che spezzano l’equilibrio in natura» sostiene Vincenzo Graci, imprenditore agricolo, presidente dell’Associazione per la tutela del Pomodorino Buttiglieddru di Licata e benemerito custode del seme di buttiglieddru. «In natura ci sono insetti utili e dannosi, ma con l’arrivo delle serre e dei prodotti di sintesi questo equilibrio è scomparso. Appena provavamo a coltivare fuori dalle serre non riuscivamo più a fare produzione, perché i pomodori venivano attaccati da parassiti come la tuta absoluta».
Che fare, allora? «L’unica soluzione era ristabilire quell’equilibrio in campo aperto – spiega Graci -. Il trucco è stato usare, invece dei fitofarmaci, gli insetti: quelli “utili”, se messi nelle condizioni di vivere nei terreni che ospiteranno il pomodoro, sono in grado di tenere alla larga i parassiti che danneggerebbero la pianta. Un esempio è il Nesidiocoris tenuis, un entomopredatore che vive nei terreni coltivati a zucchina lagenaria: da tre anni, perciò, piantiamo prima la zucca e poi il pomodoro. Riuscire a coltivare di nuovo come si faceva una volta è stata una vittoria».
E il gusto ci ha guadagnato e anche molto. Perché il Buttiglieddru non solo ricorda il sapore del pomodoro d’un tempo “ma lo incarna – aggiunge Graci – perché di fatto è autenticamente un pomodoro tradizionale”. Il motivo? Sta anche nel fatto che i terreni di coltivazione attorno a Gela sono particolarmente salmastri, per cui il tenore zuccherino del nostro pomodorino raggiunge i 9 gradi Brix e oltre. Il sapore è molto intenso, non è solo zuccherino come i suoi parenti più famosi, ma riesce a combinare la componente aspra tipica del pomodoro con la componente zuccherina, riproponendo in questo il vecchio sapore genuino dei pomodori di una volta.
In aggiunta a ciò le sue proprietà nutrizionali sono notevoli: ha una notevole concentrazione di potassio, che svolge azione benefica per la salute delle ossa, agisce sul battito cardiaco, sulla trasmissione degli impulsi nervosi, sul controllo della pressione sanguigna,e di fosforo minerale importante per il buon funzionamento del sistema nervoso e per i denti e le ossa. Inoltre è anche ricco di oligoelementi come ferro; zinco; selenio. E infine contiene licopene, potente antiossidante e vitamine A, B e C.
Insomma la coltivazione del Buttiglieddru non è solo importante perché si ricreano tutte le condizioni e gli equilibri naturali della vecchia agricoltura ma anche perché è un prodotto dalle grandi proprietario benefiche per l’organismo. Insomma è un prodotto sano oltre che buono.