Il Covid-19 è stato come una guerra e ha lasciato l’Italia a fare i conti con le macerie e la voglia di ricostruire. Per farlo, però, “ci vuole una scossa e occorre uscire dall’illusione che le cose si possano risolvere da sole”. In altre parole: “Serve uno shock o il Paese rischia di finire in una crisi – non a V, a U a W o a L come è stato ipotizzato – ma una crisi a tubo, senza fondo e punto di rimbalzo”. Parla come un fiume in piena Marco Brun, presidente e amministratore delegato di Shell Italia, deciso a mettersi in gioco con una proposta che può creare quel punto di rottura necessario per ripartire. Commissari straordinari su singoli progetti e settori; volontà politica comune finalizzata al cambiamento; chiarezza di obiettivi e strumenti per realizzarli: ecco, in questa intervista a FIRSTonline, la sua analisi dei guai italiani e la cura-shock per rimettere in moto Pil, investimenti e occupazione. A cominciare dall’Energia un settore in cui sono in ballo 110 miliardi pronti a essere spesi secondo le ultime stime di Confindustria Energia.
Dopo il Covid siamo a terra. Cosa blocca la ripartenza nel settore in cui opera, l’Energia?
“I problemi-chiave da affrontare, a mio giudizio, sono quattro: la complessità regolatoria, la lentezza della burocrazia, l’incertezza sui tempi amministrativi per la realizzazione dei progetti che anche quando sono previsti non vengono rispettati. E soprattutto il mancato rispetto delle decisioni prese ma che per timori di impopolarità non vengono eseguite. Per realizzare un’opera sopra i 100 milioni in Italia servono in media 16 anni, otto dei quali sono attribuibili alla pura inerzia burocratica. Se recuperassimo quelli, aumenterebbe l’attrattiva degli investitori, anche stranieri, per il Paese. Il mio gruppo, per esempio, guarda all’Italia come ad uno dei pochi Paesi in cui fare massicci investimenti nel fotovoltaico. Progetti industriali da 50 MegaWatt in su. Pur se benedetti da tutti, a parole, non si riescono a portare avanti per le ragioni che abbiamo detto.
Ecco perché come Shell Italia abbiamo elaborato un documento per cercare di fare conoscere e comprendere, quali sono gli spunti per fare ripartire uno dei settori più trainanti per l’economia, l’Energia. Ma il discorso si può estendere ad altri comparti chiave come le Telecomunicazioni, le Infrastrutture, i Trasporti. Ai danni della crisi pandemica si sommano problemi strutturali, irrisolti da anni. Una miscela davvero esplosiva e il tempo è scaduto: la transizione energetica avanza al galoppo e imporrà sfide molto impegnative”.
Il decreto Semplificazioni è stato approvato con la formula “salvo intese”, il testo definitivo a distanza di una settimana non è ancora noto. Quali possibilità può offrire?
“Io penso che si debba andare oltre una mera visione regolatorio-legislativa dei problemi o non ne usciamo. Intendo dire che abbiamo di fronte a noi notevoli urgenze e tempi molto stretti. Qui serve una rivoluzione e per realizzarla con riforme legislative, pur necessarie, servono anni. Per questo propongo di procedere ricorrendo a uno o più commissari straordinari: la ricostruzione del Ponte di Genova, dopo il crollo del Morandi, dimostra il livello di eccellenze e di efficienza che si possono mettere in campo. Estendiamo questa esperienza a settori chiave e portiamo avanti, nel contempo, le riforme regolatorio-legislative utili. Per fare questo, sia chiaro, occorrono alcune condizioni indispensabili”.
Quali?
“Torno all’esperienza del Dopoguerra: anche allora non mancavano contrapposizioni politiche e contrasti sociali. Ma si è saputo trovare un allineamento su obiettivi comuni e sulla volontà di realizzarli, ricostruendo appunto. Vedo invece che oggi non si riesce a fare lo scatto dal particulare al bene comune. E si perde tempo a varare misure di piccolo rilievo. Il dibattito politico si limita alla controversia se sia opportuno o meno accogliere i finanziamenti europei. Ci vuole altro”.
Il Decreto Semplificazioni l’ha delusa come manager di un importante multinazionale da anni operativa in Italia? E che spiragli può aprire il “salvo intese” ovvero la possibilità di aggiustamenti del testo?
“Il Decreto Semplificazioni risponde in modo molto parziale alle esigenze che ho fin qui delineato e il decisore politico deve mettere in campo molto di più: volontà di cambiamento, obiettivi definiti, strumenti – anche straordinari – per realizzarli. Gli aggiustamenti al testo, lasciati aperti dall’approvazione “salvo intese” sono certamente un veicolo. Altri possono essere trovati purché si decida entro fine anno”.
Energia, Tlc, Infrastrutture, Trasporti: commissari straordinari in questi settori finirebbero per avere poteri da ministri. Politicamente le sembra percorribile?
“Lo diventa se si concentrano gli sforzi su sotto-settori specifici, concentrandosi su progetti individuati per la maggiore urgenza e rilevanza. Penso per esempio al fotovoltaico per l’Energia o al 5G nel caso delle Telecomunicazioni o ai porti in quello dei Trasporti. Certamente va definita una governance per i commissari e per i progetti. Per questi ultimi, suggeriamo di instituire dei comitati che consentano un confronto aperto tra decisori politici e aziende per agevolare le opere ritenute più necessarie. Per i commissari va definito se debbano rispondere direttamente a Palazzo Chigi o ai singoli ministeri. Non è complicato, si tratta in fondo di definire chi fa cosa ed entro quando, come accade nella vita di tutti i giorni”.
Torniamo all’Energia, da dove ripartire e qual è la posizione di Shell Italia?
“Il primo punto da cui partire è l’upstream. Come Shell siamo nei due giacimenti di Val d’Agri e Tempa rossa in Basilicata. Si tratta dei due più grandi giacimenti oil dell’Europa continentale, oggi si avviano a produrre 150.000 barili/giorno ma in qualsiasi altro Paese europeo ne produrrebbero da 300 a 400 mila. Possono essere tranquillamente potenziati, fornendo risorse al Pil nazionale, sollievo all’occupazione e garantendo royalties e imposte che lo Stato potrebbe destinare a progetti green ed economia circolare. Proprio la transizione energetica impone di sbloccare l’upstream ora: tra 10-20 anni potrebbe non avere alcun senso. Perché dunque sprecare risorse? La quota di fabbisogno nazionale potrebbe facilmente passare dal 10 al 30 per cento alleggerendo la bolletta petrolifera.
Gli altri due settori in cui operiamo sono il Gas&Power fornendo alle imprese elettricità anche lowcarbon, vero ponte verso la transizione, e i lubrificanti fondamentali per l’efficienza delle pale eoliche, per esempio. Senza trascurare la mobilità elettrica e lo stoccaggio elettrico, dopo l’acquisizione di Sonnen. Un focus a parte lo merita il fotovoltaico”.
In che senso?
“Come Shell Italia abbiamo in cantiere nuovi progetti per 1 Gigawatt nei prossimi 5 anni. Consideri che il Piano nazionale italiano prevede di portare la capacità fotovoltaica da 20 a 50 GigaWatt al 2030. Per un balzo in avanti di queste proporzioni non bastano i pannelli sui tetti e servono invece grandi impianti a terra, ma questi vengono frenati da politici titubanti sul possibile ridimensionamento dei terreni agricoli. In concreto, nel 2020 sono stati autorizzati 500 MW: 480 su terreno agricolo di cui 240 impugnati dal consiglio dei ministri e invece servono certezze e iter veloci. Con questo passo, abbiamo calcolato, nel 2030 avremo non più di 6 GW aggiuntivi installati invece dei 30 GW indicati dal Piano nazionale”.
L’impatto del Covid si è fatto sentire anche sul petrolio e in settimana è prevista una riunione Opec per rivedere i tagli produttivi. Quali previsioni si sente di fare sull’andamento dei prezzi oil?
“I prezzi del petrolio risentiranno di quanto prolungata e approfondita sarà la crisi dei consumi generata dalla pandemia. Siamo tuttavia consapevoli, come Shell ma direi ormai in tutto il mondo, che la transizione energetica è partita. Sarà lunga, complessa, richiederà ingenti investimenti e cambierà modelli di business e di consumo, renderà indispensabile la convivenza tra diverse fonti energetiche. Ma dobbiamo essere resilienti e non prendere la scusa dei bassi prezzi del petrolio per rallentare la corsa. Al contrario, dobbiamo trovare gli strumenti per accelerarla. E vorrei chiudere con due buone notizie”.
Quali?
“La prima riguarda la presa di coscienza del governo italiano della necessità di lavorare sulla cattura della CO2. È una buona notizia la scelta del Polo di Ravenna, eccellenza industriale italiana, per l’utilizzo dei giacimenti esausti nell’Adriatico ai fini dello stoccaggio di carbonio.
L’altra riguarda l’Eni. La scelta del riassetto organizzativo con due divisioni a diretto riporto dell’Ad Claudio Descalzi – una per le attività fossili, l’altra per le rinnovabili e chimica verde – è una scelta coraggiosa e che precorre i tempi, innovativa rispetto ai concorrenti. Shell Group ha annunciato al mercato il progetto Reshape ma darà a fine anno le indicazioni su come ci riorganizzeremo”.