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Brics, la fine dell’egemonia del dollaro è una chimera, per Lula un pugno di soia in più ma nel summit ha vinto la Cina

Pixabay

A leggere gli articoli sul summit BRICS, si direbbe che la nuova alleanza di 11 paesi emergenti e in via di sviluppo abbia ormai superato dal punto di vista economico i paesi avanzati e si appresti a creare la sua banca per lo sviluppo e la sua moneta comune per sostituire il dollaro.  Putin ha parlato di fine del ruolo dominante del dollaro e altri hanno parlato di moneta comune BRICS. 

Se però si leggono le conclusioni del summit, si parla solo di maggior uso delle valute Brics nel commercio tra i membri, si chiedono soldi e favori ai paesi avanzati, come la continuazione delle eccezioni alle regole del commercio internazionale per i paesi in via di sviluppo tra i quali è classificata la Cina nel WTO, ma non è il paese che avrebbe superato gli USA?  Si insiste poi che alla Nuova Banca di Sviluppo a Shangai si dovranno aumentare le dotazioni finanziarie, non solo chiedere prestiti.  E si rivendica più peso nel FMI, Banca Mondiale, ma per chi?  Il peso economico e finanziario dei paesi membri è riflesso nella capacità di voto delle due istituzioni di Bretton Woods e quindi verrà aggiornato dalla prossima revisione delle quote senza bisogno di pretenderlo. O forse i numeri sbandierati non sono proprio quelli rilevanti?  Qui lascio da parte i confronti tra paesi basati su PPP, che favorisce la Cina, invece che sui prezzi correnti, per capire come la bandiera dell’indipendenza dal dollaro sventolata nella preparazione del summit sia finita nel sussurro di usare le valute Brics nel commercio tra membri del gruppo.

Andiamo a vedere i dati:

Composizione delle riserve mondiali di valuta straniera 2000-2021

FMI

Aggiornamento I trimestre 2023. Riserve valutarie mondiali

IMF

Come si vede dai due grafici, il dollaro continua ad essere la moneta di riserva mondiale, appena un po’ scalzato dall’euro. Perché ha le caratteristiche necessarie: la profondità del mercato finanziario degli SU, unita ad un adeguato sostegno fiscale, spiega perché nel 2009, con la crisi finanziaria che aveva il suo epicentro negli SU, il dollaro aumentò il suo valore al massimo del decennio, tirato dalla domanda dal resto del mondo che lo richiese come riserva di valore.  Idem 2 mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il dollaro ha toccato un massimo pluriennale. Altra caratteristica, il dollaro è il mezzo di pagamento accettato in tutto il mondo.  Gli stessi produttori di petrolio presenti nel Brics + ovvero allargato ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran -insieme ad Argentina, Egitto ed Etiopia- stabiliscono il prezzo del petrolio in dollari e in questa valuta sono pagate le loro esportazioni.

E’ vero che la predominanza del dollaro è diminuita negli ultimi venti anni: la quota del dollaro USA nelle riserve valutarie scende da oltre il 70% nel 2000 ad appena il 59% alla fine del 2021.

Ma né l’euro, che è il concorrente più attrezzato né tantomeno lo yuan, che non è nemmeno pienamente convertibile, riescono a sostituirlo. Questo sottolinea l’importanza di mercati finanziari profondi e di un adeguato sostegno fiscale, ma non solo: solo un quarto dello spostamento più recente dal dollaro è andato a favore dello yuan cinese. Tre quarti sono stati investiti nelle valute di economie più piccole come Canada, Australia, Svezia, Corea del Sud.  Innovazioni tecnologiche che hanno ridotto i costi di trading insieme ai bassi rendimenti delle obbligazioni dei paesi più importanti contribuiscono a spiegare questo trend.  Ma la caratteristica di tutti i principali emittenti di valuta di riserva è la forma di governo democratica, con controlli sul potere esecutivo.

Infine, i BRICS devono confrontarsi con i contrasti geopolitici interni.  Nel 2022 ci sono stati più di 300 scontri tra Cina e India sui confini orientali del subcontinente indiano.  Le provocazioni di Xi verso Taiwan sono sulle prime pagine dei nostri giornali.  Ma più grave di tutto, l’aggressione della Russia all’Ucraina e le sue conseguenze sul commercio alimentare verso l’Africa. La storia non ha mai conosciuto un accordo multilaterale per il commercio e lo sviluppo in un clima di aggressioni e minacce.  Il successo di FMI e Banca mondiale alla fine della seconda guerra mondiale scaturisce proprio dal sincero e diffuso sostegno ad un approccio multilaterale che voleva superare gli egoismi nazionali su cui era stata costruita la guerra.  Già alla fine degli anni 60, con la fine della convertibilità del dollaro in oro, non si trovò più il consenso necessario a una riforma strutturale del FMI.

Non è quindi solo cattivo gusto dedicare il summit con Putin al sostegno del diritto internazionale e della carta delle Nazioni Unite.  Significa non vedere l’inconciliabilità di ogni iniziativa multilaterale con una guerra in atto in Europa e minacciata in Asia. Altro che “multilateralismo inclusivo”, i BRICS s’iscrivono in una logica di blocchi contrapposti per quanti siano i caveat di Modi e Lula.  Quest’ultimo ha recentemente ottenuto un aumento delle esportazioni di soia in Cina che riduce così la sua dipendenza dagli USA per la soia. L’aumento di produzione di soia in Brasile significa nuovi incendi nelle Amazzoni che costeranno al Brasile la credibilità ambientale che pure ha un prezzo per gli investitori esteri. Le priorità di Xi per FMI, Banca Mondiale e WTO sono le sole proposte concrete nella dichiarazione finale del summit.  Anche grazie all’esca della Nuova Banca di Sviluppo a Shangai, è la Cina che ha prevalso nelle conclusioni e nella comunicazione. Che ci possa essere altro è materia di scommesse.

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