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Brics e sport: Brasile tra Mondiali di calcio e Olimpiadi per diventare la quinta potenza al mondo

Sempre più lontani i tempi in cui un Neymar qualsiasi, la nuova star del calcio brasiliano, avrebbe fatto carte false (nel vero senso del termine, in alcuni casi) per venire a giocare in Europa e guadagnare più soldi. Al di là delle indiscrezioni della stampa spagnola, che lo danno già al Barcellona nel 2014, il talentino del Santos ha appena rinnovato con la sua squadra per la cifra di 650mila euro l’anno. Non tantissimo, obiettivamente, rispetto a quanto potrebbe percepire in un grande club, ma sicuramente in linea con la media dei grandi campionati del vecchio continente.

Neymar è semplicemente il simbolo di un mercato che cambia e che sta modificando anche la geografia dello sport globale. Secondo uno studio di Pwc, il mercato dello sport business dell’America latina cresce del 4,9% annuo, trainato soprattutto dal Brasile, che guarda caso è uno dei Paesi emergenti dell’economia mondiale, i cosiddetti Brics.

La locomotiva del Sudamerica, come è noto, ospiterà nel 2014 i Mondiali di calcio e due anni dopo, a Rio de Janeiro, le Olimpiadi estive, per un investimento statale complessivo di 33 miliardi di euro (20 per i mondiali, 13 per l’evento nella città carioca), senza contare tutti i finanziamenti, ancora più consistenti, di aziende pubbliche e private (tra cui anche 700 italiane). Una doppietta che sarà imitata anche dalla Russia (altro Paese Brics) con i Giochi olimpici invernali del 2014 a Sochi e la Coppa del Mondo di calcio nel 2018. Quattro anni dopo toccherà al Qatar, mentre la Cina ha già organizzato con successo le Olimpiadi 2008 e il Sudafrica i Mondiali 2010. Il Brics mancante all’appello è l’India, che però punta quasi tutto sul cricket, sport nazionale da quelle parti, ma che tuttavia si è già lanciata con successo nel circuito di Formula 1 e organizza da quest’anno il primo campionato calcistico professionistico con l’ingaggio di diversi campioni a fine carriera.

Tuttavia, chi conduce questa operazione non solo per immagine ma soprattutto per rilanciare l’economia dello sport, e in particolare del calcio, è il Brasile, che sempre di più prova a trattenere le sue star e ad attirare gli sponsor, e vuole sfruttare il pallone per diventare la quinta potenza mondiale entro il 2022. A dire il vero il fenomeno è talvolta un po’ forzato, come nel caso di Neymar e di altri campioni verdeoro che fanno gola all’Europa, che ha visto l’intervento energico della politica. “Le squadre europee – ha dichiarato il ministro brasiliano dello sport, Aldo Rebelo – adottano una politica totalmente colonialista nei confronti degli atleti latino-americani e africani”, aggiungendo che il governo intende adottare “misure severe” per impedire che i giocatori possano lasciare il paese dopo essere stati reclutati dai club europei.

Anche dal punto di vista prettamente economico, comunque, non è tutto oro quel che luccica. Da un rapporto della Corte dei conti federale brasiliana è emerso che la ristrutturazione del mitico stadio Maracanà, a Rio de Janeiro, ha registrato il maggior numero di irregolarità tra le opere in corso negli stadi che ospiteranno le partite dei Mondiali di calcio del 2014. Non solo: il sovrapprezzo dei cantieri ha già raggiunto l’equivalente a circa 70 milioni di euro, elevando il costo complessivo a quasi 400 milioni, mentre lo spreco di denaro pubblico per i preparativi, secondo un’indagine di Uol Esporte, avrebbe raggiunto la cifra minima di 320 milioni di euro nel 2011.

C’è poi la questione dei diritti televisivi e del cosiddetto “ambush marketing”, ossia del marchio legato direttamente all’evento (tipo “Serie A Tim”, per esempio). L’Africa da questo punto di vista ha vinto la sua scommessa: nell’ultima edizione della Coppa continentale per nazioni, si sono contati dai 3 ai 4 miliardi di telespettatori, per un indotto che ha superato i 35 milioni di euro, un record per il Comitato organizzatore (Cocan). Così come non dovrebbe sussistere il problema per i grandi appuntamenti come Mondiali e Olimpiadi, mentre i campionati nazionali devono compiere ancora grandi sforzi per attrarre sponsor da “ambush marketing”, che sono strettamente legati al riscontro e alla diffusione mediatica.

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