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Brics 2.0: a Kazan nasce un blocco anti-occidentale che vale il 35% del Pil mondiale (più del G7) e che sogna l’addio al dollaro

Pixabay

I Brics stanno diventando il G7 “degli altri”. La sigla che anticamente si riferiva ai 5 maggiori Paesi emergenti – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – è oggi diventata un vero e proprio blocco geopolitico da opporre a quello occidentale. Un nuovo asse che a differenza di quello euro-atlantico conta più di 7 Paesi (già adesso sono dieci con l’annessione dal 1° gennaio 2024 di Arabia Saudita, Egitto, Iran, Emirati Arabi ed Etiopia) ed è destinato ad assomigliare piuttosto ad un G20, sebbene alcuni Paesi come il Brasile appartengano di fatto ad entrambi i consessi. 

La versione 2.0 dei Brics è dunque un universo allargato anche se diviso al proprio interno da differenze strategiche (Cina e India, per esempio) al punto che esistono persino i Brics Sports Games, una sorta di Universiadi a loro riservate che quest’anno si sono svolte a Kazan, in Russia, cioè nel Paese che alle Olimpiadi di Parigi non ha potuto competere sotto la propria bandiera. E sempre a Kazan si terrà dal 22 al 24 ottobre la prossima riunione degli ormai ex emergenti, che oggi assomigliano di più ad un club anti-Occidente se si pensa alla presenza di Russia, Cina, Iran e alle candidature di Paesi ostili come Venezuela, Nicaragua, Cuba, Bielorussia e persino della Palestina, a cui verrebbe riconosciuto per la prima volta un ruolo ufficiale in funzione evidentemente anti-israeliana.

Brics verso nuovo sistema di pagamento digitale per smarcarsi dall’Occidente

La presidenza russa della conferenza, di cui poco o nulla si parlerà in Europa, dove siamo ovviamente più concentrati sulle elezioni americane e tutt’al più sul G20 di Rio de Janeiro a novembre, è in realtà di primaria rilevanza per definire gli equilibri internazionali, al punto che gli esperti la considerano la “Bretton Woods” dei Brics, in quanto mira soprattutto a consolidare un sistema economico e anche finanziario alternativo a quello per così dire “dollarocentrico”. 

I Brics stanno infatti mettendo a punto un sistema di pagamento multilaterale in valute digitali, per smarcarsi dal commercio globale e facilitarne uno parallelo. Alcuni sistemi interbancari sono già operativi, come lo SPFS russo e il CPAM iraniano, che consentono ai due Paesi di liquidare il 60% degli scambi con le loro valute e non utilizzando i dollari. È sul tavolo anche il progetto di un sistema di blockchain, il Brics Pay, al quale sarebbero pronti ad aderire ben 159 Paesi e che sarebbe l’equivalente dello SWIFT europeo. Questa piattaforma permetterà ai Paesi colpiti da sanzioni internazionali di aggirarle

I Brics si allargano

E infine ma non meno importante, come detto, si valuterà un ulteriore allargamento della platea degli aderenti alla sigla, dopo che l’Argentina di Javier Milei, che invece di rimanere legata al dollaro ha tutto l’interesse, ha declinato l’invito lo scorso anno.

Oltre ai già citati, sono pronti a salire a bordo anche: Algeria, Azerbaigian, Bahrain, Bangladesh, Bolivia (che già ha un rapporto privilegiato con la Russia per via delle materie prime), Kazakistan, Ciad, Congo, Eritrea, Honduras, Indonesia, Kuwait, Laos, Malesia, Marocco, Nigeria, Pakistan, Senegal, Siria, Sri Lanka, Thailandia, Turchia, Uganda, Vietnam e Zimbabwe. 

Praticamente mezzo pianeta, e soprattutto una enorme fetta dell’economia globale, visto che già con l’attuale composizione i Brics rappresentano il 46% della popolazione mondiale e il 35% del Pil, vale a dire più del 33% messo insieme dai membri del G7. 

Le preoccupazioni sono però per la tenuta democratica di molti di questi Paesi, e per il fatto che Washington non veda di buon occhio un consesso così potente sotto la leadership russa e cinese. L’equilibratore, nei piani dell’Occidente, dovrebbe essere il Brasile, da sempre legato ad Europa e Usa per motivi culturali ed economici, ma allo stesso tempo primo partner commerciale della Cina e che sulle grandi questioni internazionali, a partire dai conflitti, assume posizioni talvolta ambigue, non condannando la Russia per l’aggressione all’Ucraina e schierandosi apertamente contro Israele. Il presidente Lula nel giro di un mese sarà (o manderà qualcuno) a Kazan e poi ospiterà il G20 a Rio, dove sarà invitato a chiarire da che parte sta a risiko.

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