“Prepariamoci a uscire con il No Deal il 1° gennaio“. Boris Johnson alza di nuovo la posta e decide di giocarsi il tutto per tutto a due e mezzo mesi dalla fine del periodo di transizione dopo il quale scatterà ufficialmente la Brexit e proprio nel giorno in cui, secondo le stesse scadenze da lui indicate, Ue e Uk avrebbero dovuto trovare un accordo definitivo volto a scongiurare l’ipotesi peggiore.
E invece anche il Consiglio Ue di ottobre si chiude senza che le parti abbiano trovato una soluzione. Sia Londra che Bruxelles hanno preferito tenere il punto senza concedere aperture né compromessi.
“L’Ue ha dimostrato di non voler più negoziare, hanno deciso di non volerci concedere un accordo come hanno fatto con il Canada, e io devo prendermi le mie responsabilità per il futuro del Paese” ha annunciato il premier britannico. “Quindi, a meno di un cambio radicale di approccio ai negoziati da parte dell’Unione europea, noi abbiamo deciso: si esce senza accordo, si esce con il No Deal”.
Johnson dimentica di ricordare che un divorzio senza accordo, soprattutto sul piano commerciale, danneggerebbe il Regno Unito tanto quanto l’Unione Europea (se non di più) soprattutto in un momento in cui le economie continentali sono costrette ad affrontare la crisi economica innescata dalla pandemia di coronavirus. Un No deal, data la situazione sempre più delicata, potrebbe rappresentare il colpo di grazia sia per Londra che per i Paesi dell’Unione Europea. Ma i toni da una parte e dall’altra sono ormai sempre più aspri, in un tentativo di “spaventare l’avversario” per portarlo a cedere.
A cercare di rasserenare gli animi è intervenuta Angela Merkel, secondo cui “Dopo i negoziati con il Regno Unito ci sono delle luci e delle ombre, la nostra volontà è negoziare, ma non vogliamo un accordo a qualsiasi costo”, ha affermato la cancelliera. “Se non ci sarà accordo, occorre prepararsi all’altra opzione, ma noi pensiamo che un accordo sia meglio”.
I tempi per trovare un accordo sono però sempre più stretti, anche perché oltre all’intesa in sede europea, servirà l’ok dei Parlamenti dei singoli Stati membri.
Le trattative continueranno comunque la prossima settimana, quando secondo quanto indicato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, i negoziatori Ue saranno a Londra “intensificare” i colloqui per trovare un accordo commerciale con il Regno Unito nonostante la minaccia di “nessun accordo” brandita da Boris Johnson. “La Ue continua a lavorare per un accordo, ma non a qualsiasi costo. Come previsto, il nostro team di negoziatori si recherà a Londra la prossima settimana per intensificare questi negoziati”, ha twittato von Der Leyen.
Cosa succede se non si arriva ad un accordo? Uno dei nodi più importanti riguarda i futuri rapporti commerciali tra le parti. In caso di no deal infatti, Regno Unito e Unione Europea potranno commerciare solo sulla base delle norme Wto, il che significa che torneranno dazi e dogane. Per evitarlo si sta già pensando a un piano B: vale a dire siglare dei mini-accordi di emergenza che regolino singoli aspetti come trasporti aerei e stradali, evitando che anni di trattative si concludano in un totale nulla di fatto.
Tra i capitoli più importanti da risolvere c’è poi la questione della pesca: Londra non intende dare libero accesso ai pescherecci Ue nelle sue acque ricche di peschi, ma il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di rispondere per le rime: “Se i pescatori europei non avranno accesso alle acque britanniche, il Regno Unito non avrà accesso al mercato energetico europeo”, ha affermato Macron secondo cui il costo di un mancato accordo “sarebbe più alto per i britannici: l’accesso ai mercati deve essere reciproco e non capisco la posizione britannica che non accetta l’accesso dei pescatori alle acque nazionali ma vuole l’accesso dei suoi ‘trader’ al mercato unico”, ha aggiunto Macron rilevando che “non vogliamo essere sotto dumping permanente in questo o quel settore, occorrono regole per individuare il mancato rispetto dell’allineamento regolarmente su standard sociali, ambientali, sussidi alle imprese”.
Altra questione fondamentale riguarda gli aiuti di Stato: anche in questo caso Londra vuole avere mano libera, ma l’Ue teme la concorrenza sleale.