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Brexit: tutte le conseguenze per Borsa, Btp, commodities e immobili

FIRSTonline

Listini azionari, titoli di Stato, materie prime e mercato immobiliare. Comunque andrà a finire, il referendum sulla Brexit avrà ripercussioni su ognuno di questi mercati, dal momento che negli ultimi mesi gli investitori hanno assunto posizioni speculative sia in favore sia contro la permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. Vediamo cosa potrebbe accadere.

LE BANCHE SUL FTSE MIB

Secondo varie analisi, l’Italia è uno dei Paesi meno esposti in termini generali al rischio Brexit. Eppure, dati alla mano, fra i principali listini europei è Piazza Affari quello che più ha risentito dell’incertezza sul futuro di Londra (-6% da inizio mese). I più colpiti sono stati ancora una volta i titoli bancari, presi di mira dagli investitori sia per le debolezze del settore sia perché gli operatori non possono attaccare i Btp, protetti dall’ombrello della Bce. In realtà, i nostri istituti di credito non sono esposti direttamente in modo significativo in Gran Bretagna: ciò che più potrebbe danneggiare le azioni delle banche italiane è l’instabilità politica che la Brexit provocherebbe, viste la debolezza del nostro debito pubblico e le inevitabili scommesse su quale sarebbe il secondo Paese ad abbandonare l’Ue.

LE SOCIETÀ QUOTATE A PIAZZA AFFARI PIÙ ESPOSTE IN UK

Fra le imprese che popolano la Borsa di Milano, quella con la quota più alta di fatturato generata nel Regno Unito è Yoox (15%), seguita a breve distanza da Leonardo (14%) e da Prysmian (13%). Fuori dal podio, molto più staccate, figurano Stm (6%), Ferrari (6%), Tod’s (5%) e Moncler (4%).

TITOLI DI STATO: LO SPREAD BTP-BUND

I rendimenti sui Btp e sui titoli di Stato degli altri Paesi periferici non sono a rischio, perché possono contare sugli acquisti calmieranti operati dalla Bce con il Quantitative easing. D’altra parte, la forbice degli spread è tornata lo stesso ad allargarsi, soprattutto perché gli investitori hanno concentrato gli acquisti sui Bund – considerati alla stregua di beni rifugio -, spingendo sempre più in basso i rendimenti sulle obbligazioni sovrane tedesche. Per la prima volta, anche i tassi sui Bund a 10 anni sono scesi in territorio negativo.

ORO SUGLI SCUDI

Ad oggi la quotazione dell’oro, il bene rifugio per eccellenza, viaggia oltre i 1.280 dollari l’oncia, sostenuta dai timori del mercato per la possibile Brexit. Eppure, sulle fluttuazioni del metallo giallo hanno inciso anche altri fattori: il rinvio del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, le difficoltà delle Borse asiatiche e le scelte di alcuni grandi investitori che hanno scommesso sul raggiungimento di quota 1.400 dollari l’oncia. Il trend rialzista, di conseguenza, potrebbe continuare a prescindere dall’esito del referendum britannico. Ma il rischio volatilità rimane comunque dietro l’angolo.

LE ALTRE MATERIE PRIME

Al traino dell’oro si salvano anche gli altri metalli preziosi, mentre per tutte le altre materie prime (compreso il petrolio) la Brexit avrebbe solo conseguenze negative. Il rafforzamento del dollaro, inversamente correlato alle commodities, ha già prodotto significativi ribassi sul comparto, tornato a scendere nelle ultime settimane dopo un avvio d’anno in forte ripresa. Molti analisti temono che la volatilità potrebbe proseguire, se non aumentare, nel caso in cui Londra si staccasse da Bruxelles.

IL MERCATO IMMOBILIARE

Il cancelliere dello Scacchiere George Osburne ha detto che con la Brexit i prezzi degli immobili nel Regno Unito potrebbero registrare un calo compreso fra il 10 e il 18% nell’arco di due anni. La società di consulenza Capital Economics fa notare che il rapporto fra il prezzo delle case e le retribuzioni si sta già avvicinando ai livelli pre-crisi, il che naturalmente non è un buon segnale. Del resto, oltre che cuore finanziario del continente, Londra è anche la capitale europea del real estate e in caso di Brexit sarebbero molte le città che cercherebbero di sottrarle questo ruolo: da Parigi a Francoforte, passando per le più piccole Dublino e Milano. Secondo un’analisi di Cbre, infatti, il 73% degli investitori in immobili non residenziali ritiene che, con l’uscita dall’Ue, il Regno Unito diventerebbe subito meno attraente. Lo dimostra anche l’andamento degli investimenti nel Paese, calati del 21% su anno nei primi tre mesi del 2016 (a 14 miliardi) e addirittura crollati di quasi il 40% nelle ultime settimane.

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