Il referendum sulla Brexit si avvicina e la domanda che aleggia sui mercati è una sola: cosa accadrà se il 23 giugno gli elettori britannici decideranno di uscire dall’Unione europea? Le variabili sono troppe per avere un quadro preciso delle conseguenze nel lungo periodo, ma la grande maggioranza degli analisti concorda nel dipingere un quadro a tinte fosche per quanto riguarda gli effetti immediati.
LE CONSEGUENZE SUI MERCATI INTERNAZIONALI
– MERCATO VALUTARIO: STERLINA A PICCO
Le indiscrezioni sulla possibile vittoria del Sì hanno già contribuito a svalutare la sterlina del 12% in un anno. Secondo Goldman Sachs, in caso di Brexit la valuta britannica rischia di perdere un altro 15-20%.
– MERCATI AZIONARI: TEMPESTA IN ARRIVO, BANCHE NEL MIRINO
Esperti e autorità varie prevedono che l’addio di Londra a Bruxelles aprirà una fase di nuove turbolenze sui mercati azionari. Venerdì 10 giugno è bastata la pubblicazione di alcuni sondaggi che davano il Sì in vantaggio di 10 punti per far cadere l’indice Eurofirst 300 del 2,3%. Se la Gran Bretagna uscisse dall’Ue, i titoli più a rischio sarebbero senz’altro i bancari, che registrano forti perdite dall’inizio dell’anno e potrebbero essere oggetto di una nuova ondata di vendite.
– MERCATI OBBLIGAZIONARI: SPREAD IN RISALITA, BCE IN CAMPO
Gli investitori si sposteranno perciò sui titoli più sicuri. In particolare, è prevedibile una pioggia di acquisti sui Bund tedeschi, che allargherà nuovamente la forbice degli spread. A quel punto la Bce dovrebbe intervenire acquistando i titoli di Stato dei Paesi sotto pressione, in modo da arginare la speculazione sui debiti sovrani.
– I PAESI PIÙ A RISCHIO IN EUROPA
Da un’analisi di Standard & Poor’s emerge che Irlanda, Lussemburgo e Cipro sono i paesi europei più esposti alla Brexit. Seguono, nell’ordine, Malta, Svizzera (che non fa parte della Ue), Belgio, Olanda, Spagna, Norvegia, Svezia, Francia, Germania, Danimarca, Lituania, Canada, Finlandia e Ungheria. In coda, a sorpresa, Italia e Austria. L’indice calcolato dall’agenzia di rating americana tiene conto di esportazioni verso il Regno Unito, investimenti diretti stranieri, fattori finanziari e flussi migratori. L’analisi non riflette però le conseguenze potenziali sui mercati finanziari e dei cambi, che, in realtà, farebbero la differenza.
LE CONSEGUENZE PER LA GRAN BRETAGNA
– PIL
Per quanto riguarda soltanto la Gran Bretagna, l’Ocse stima che – in caso di Brexit – l’economia del Regno Unito sconterebbe “uno shock negativo” pari a mezzo punto di Pil l’anno dal 2016 al 2018. Inoltre, l’economia britannica potrebbe perdere almeno il 3% entro il 2020, anche se l’indebolimento della sterlina limiterebbe gli effetti recessivi, rafforzando le esportazioni.
– MERCATO DEL LAVORO
Secondo la Confindustria inglese, la Brexit provocherebbe una perdita di un milione di posti di lavoro. George Osburne, cancelliere dello Scacchiere, sostiene invece che l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue potrebbe costare 820mila posti nell’arco di due anni.
– MERCATO IMMOBILIARE
Sempre Osburne ritiene che con la Brexit i prezzi degli immobili potrebbero registrare un calo compreso fra il 10 e il 18% in un biennio. La società di consulenza Capital Economics fa notare che il rapporto fra il prezzo delle case e le retribuzioni si sta già avvicinando ai livelli pre-crisi.
– LE PENSIONI
Quanto allo Stato sociale, il premier britannico David Cameron non ha usato mezzi termini: “La Brexit – ha detto – aprirà un buco nero tra i 20 e i 40 miliardi di sterline nelle nostre finanze; i ministri dovranno rivedere la riforma delle pensioni” e si spalancheranno le porte a “una nuova austerity”.
– BILANCIA DEI PAGAMENTI
Sul fronte della bilancia dei pagamenti, la Brexit innescherebbe una fuga di capitali che aggraverebbe una situazione non rosea. L’anno scorso il deficit estero della Gran Bretagna ha raggiunto il 5,2% del Pil, il livello più alto dal 1948, anno d’inizio delle rilevazioni.
– COLOSSI IN FUGA DALLA CITY
Per risparmiare sui costi e costruire economie di scala, tutte le più grandi banche internazionali hanno stabilito il proprio quartier generale europeo nella City di Londra, contando sulla possibilità di vendere in 28 Stati senza l’obbligo di ottenere autorizzazioni dalla autorità di ogni singolo Paese. Con la Brexit questa organizzazione rischia di implodere. Secondo il Financial Times, Deutsche Bank ha creato un gruppo di lavoro per valutare l’ipotesi di traslocare fuori dalla capitale inglese. I colossi americani Citigroup e Morgan Stanley, invece, hanno già indicato in Dublino l’alternativa a Londra.
– BANK OF ENGLAND DAVANTI A UN BIVIO
Intanto, la Bank of England rischia di ritrovarsi a un bivio pericoloso: alzare i tassi d’interesse per frenare l’inflazione (che ha un costo immediato per famiglie e imprese) o tenerli bassi per sostenere il Pil e il mercato del lavoro. In altri termini, non esistono soluzioni monetarie positive su ogni fronte per arginare i problemi che la Brexit potrebbe creare.
– LA FOTOGRAFIA DI CARNEY
Il canadese Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha dato in poche righe un quadro efficace di quello che la Gran Bretagna dovrebbe aspettarsi a livello macroeconomico in caso di Brexit: “La sterlina si svaluterebbe ulteriormente, anche in modo violento, spingendo l’inflazione oltre gli obbiettivi. La domanda aggregata calerebbe, rispetto alle nostre previsioni, a causa della stretta finanziaria, della riduzione di valore degli asset e dell’incertezza sui rapporti commerciali del Regno Unito. Le famiglie frenerebbero i consumi e le imprese gli investimenti. Anche le condizioni finanziarie globali potrebbero mutare, con ripercussioni sulle esportazioni”.