Se nel cuore della notte sentiamo strani rumori in casa e scopriamo che è entrato un ladro che ha in mano un coltello abbiamo diritto, in molti sistemi legislativi, solo a una reazione proporzionata. Non possiamo aprire il fuoco o tirare una bomba. Se lo facciamo andremo incontro a seri guai giudiziari.
Di fronte a Brexit le banche centrali permetteranno ai mercati solo una reazione proporzionata all’evento, non di più. Va quindi bene prezzare una sterlina più debole e un po’ meno crescita nel Regno Unito. Non va invece bene lasciarsi andare a voli pindarici e prezzare una recessione europea o globale, il crollo dell’euro e del renminbi, la deglobalizzazione universale, il ritorno in grande stile al nazionalismo e la fine dell’occidente.
Se ci sarà recessione (ipotesi ancora improbabile) la prezzeremo al suo effettivo eventuale realizzarsi, non prima. Un passo alla volta, per favore. Sono mesi che le banche centrali si preparano all’ipotesi di Brexit, ma alla fine, a parte gli interventi di sostegno sui mercati, non sarà necessario fare molto. Alla sterlina saranno sufficienti line swap di dollari ed euro in modo da evitare un deprezzamento eccessivo.
Il punto su cui ci si concentrerà sarà il mantenimento della stabilità dei cambi che regna da febbraio. Si cercherà in ogni modo, e al momento ci si sta già riuscendo benissimo, di evitare che il dollaro si rafforzi e buchi stabilmente 1.10. L’Europa non ha bisogno di un euro più debole. In compenso l’America e la Cina non si possono permettere un dollaro più forte.
Quanto alle borse, la cosa migliore per calmare gli animi è di lasciarle scendere velocemente al minimo e poi riportarle lentamente a metà strada tra i massimi sconsiderati raggiunti poco dopo la chiusura dei seggi inglesi e i minimi. Magari nei prossimi giorni si tornerà a scendere, ma l’importante è evitare le resse all’uscita, ovvero il panico.
Adottando ufficialmente la teoria della stagnazione secolare (guarda caso pochi giorni prima del referendum) la Fed, che ancora a gennaio accarezzava l’idea di quattro rialzi entro dicembre, ha proiettato sul lungo periodo il regime di tassi straordinariamente bassi e offerto dunque una solida rete di protezione alle borse. L’obiettivo, come minimo, è quello di arrivare tranquilli alle presidenziali di novembre e togliere a Trump l’opportunità di sfruttare un crollo di borsa estivo che non ci sarà.
Si potrà obiettare che tutto questo incanalare e sorvegliare i mercati li rende sempre più artificiali e quindi vulnerabili a una rottura violenta. In teoria è vero, ma i valori espressi da questi mercati sorvegliati non sono particolarmente distorti se contestualizzati nei tempi che corrono. Siamo pur sempre in un mondo che cresce poco, ma cresce. L’inflazione, dal canto suo, riesce sempre a rimanere bassa senza però trasformarsi in deflazione. Brexit non cambierà questi due dati di fondo.
È inutile nascondere che l’anello più vulnerabile a Brexit è l’Italia. Per questo è particolarmente positivo che il movimento politico che ha vinto le elezioni amministrative abbia corretto il tiro, proprio nelle ultime ore, sulla sua linea europea, prendendo le distanze da Farage. In conclusione Brexit, per quanto evento di portata potenzialmente storica, non sarà in grado da sola di mettere in discussione l’assetto globale.
Affermare che questo è l’inizio della fine del progetto europeo è assolutamente prematuro. Può darsi anzi, lo vedremo già domenica in Spagna, che guardare negli occhi la possibile dissoluzione dell’Europa induca l’opinione pubblica continentale a contenere la sua frustrazione e a posizionarsi razionalmente, soprattutto se le elites politiche sapranno fare altrettanto.
Non siamo quindi venditori di azioni, siamo semmai alla ricerca di occasioni interessanti per comprare, distribuendo gli acquisti nell’arco delle prossime settimane.