La Brexit minaccia (anche) la Premier League. Con l’uscita del Regno Unito dall’Ue cambierà lo status dei cittadini europei che vivono e lavorano in Gran Bretagna. Calciatori compresi. Un bel problema per la massima divisione britannica, visto che circa il 65 per cento dei suoi giocatori è di origine straniera.
Quale sarà il destino di campioni come il belga Eden Hazard (Chelsea), lo spagnolo David Silva (Manchester City) o il francese Paul Pogba (Manchester United)? Secondo quanto riporta oggi La Gazzetta dello Sport, le ipotesi sono tre.
1) La soluzione più indolore sarebbe il mantenimento dello status quo, ma sembra la strada più improbabile. Il governo inglese dovrebbe chiedere all’Europa di mantenere la Premier nello spazio economico Ue: una prospettiva difficile, vista la determinazione con cui la premier Theresa May sta imboccando la strada della “Hard Brexit”.
2) La seconda opzione sarebbe devastante: equiparare i giocatori europei agli extracomunitari, il che significherebbe concedere il permesso di soggiorno solamente ai calciatori che hanno disputato almeno il 30 per cento delle partite della loro Nazionale (la percentuale richiesta dipende dal ranking FIFA) negli ultimi due anni. Attualmente solo 50 giocatori su 161 avrebbero i numeri necessari per essere tesserati. Per intenderci, rimarrebbe fuori anche una colonna del centrocampo del Chelsea come N’golo Kanté, decisivo l’anno scorso per il fiabesco titolo del Leicester.
3) L’ultimo scenario è quello che prevede il varo di una nuova legge fatta su misura per i calciatori europei attivi in Premier League. Al momento sembra la strada più verosimile, ma si tratta comunque di una normativa ancora tutta da scrivere.
Se i vertici della politica e del calcio inglese non trovassero una soluzione indolore, la squadra che ne soffrirebbe di più sarebbe il Chelsea. Dati alla mano, la rosa di Antonio Conte è quella che conta più calciatori nati entro i confini dell’Unione europea (il 74%, tre su quattro). Seguono in questa particolare classifica Manchester City (59%), West Ham (57%), Arsenal (54%), Middlesbrough (53%), Manchester United (51%) e Liverpool (50%). Il lato opposto della graduatoria è occupato invece dai ben più modesti Bournemouth (10%), Burnley (5%) e Hull City (5%).
Per tutte le squadre inglesi, l’unico aspetto positivo della vicenda potrebbe essere la rinascita dei settori giovanili, che proprio grazie alle nuove barriere agli stranieri dovrebbero tornare a fornire calciatori autoctoni anche ai grandi club, ormai da anni abituati a pescare esclusivamente all’estero. Del resto, i sostenitori della Brexit hanno fondato buona parte della loro propaganda sulla demonizzazione dei lavoratori stranieri, accusati di rubare il lavoro agli inglesi. “Be-Leave in Britain”, si leggeva sui loro striscioni. Chissà se questa stessa logica, applicata alla loro squadra di calcio, li farà pentire di quel gioco di parole.