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Brexit, quali conseguenze per i mercati

Il prossimo 23 giugno gli elettori britannici saranno chiamati a decidere se la Gran Bretagna continuerà a far parte o meno dell’Unione Europea, una partnership unica di natura economica e politica tra 28 paesi europei. In qualità di importante contribuente dell’Unione, e considerato che l’Europa è la terza economia mondiale, un voto britannico favorevole all’uscita dal blocco europeo (la cosiddetta Brexit) presenta sicuramente implicazioni importanti per l’Europa, per i mercati finanziari e per gli investitori di tutto il mondo.

Un’analista del debito sovrano, un esperto di investimenti immobiliari in Europa e un macroeconomista di Natixis Global Asset Management esprimono il proprio punto di vista in merito. “Come sottolineano i nostri specialisti degli investimenti, il voto brittanico e la possibilità di una Brexit creeranno in ogni caso momenti di volatilità sui mercati” – sottolinea Antonio Bottillo, Country Head ed Executive Managing Director per l’Italia di Natixis Global Asset Management. “Nessuno può essere in grado di prevedere con certezza l’esito della consultazione. Ecco perché gli investitori di lungo periodo dovrebbero, a mio avviso, cercare di guardare oltre l’evento in sé e gli alti e bassi dei mercati, evitando di farsi sopraffare dall’emotività nelle proprie scelte di investimento. Definire un chiaro piano finanziario in base alle proprie reali necessità ed esigenze, farsi aiutare da un consulente finanziario e rimanere coerenti con i propri obiettivi di investimento può certamente aiutare a costruire portafogli più robusti in grado di affrontare diverse condizioni di mercato”.

Laura Sarlo, CFA®, Senior Sovereign Analyst, Loomis, Sayles & Company

L’imminente referendum britannico sulla permanenza in Europa sembra essere una competizione sul filo del rasoio. Sebbene i mercati finanziari ne abbiano già avvertito l’impatto in qualche misura, un voto favorevole all’uscita dall’Europa provocherebbe ulteriori turbolenze sui mercati globali nel corso di quest’estate. I mercati dovranno affrontare almeno due problemi in relazione alla possibile Brexit. Innanzitutto, i mercati finanziari non sono molto bravi nel prezzare i rischi politici. La formazione e l’esperienza di molti operatori del mercato è più orientata al prezzare i rischi finanziari “comuni”, come il rischio di credito, di scadenza o di inflazione, rispetto al rischio politico. 

In secondo luogo, l’utilità dei sondaggi britannici è in dubbio. I sondaggi svolti prima delle elezioni generali di maggio mostravano un quadro che si è poi rivelato molto lontano da quello reale. Secondo gli ultimi sondaggi pre-elettorali, i Conservatori e i Laburisti erano essenzialmente a pari merito, e sembrava che nessuno dei due partiti avrebbe ottenuto un numero sufficiente di seggi per andare al governo senza la necessità di formare una coalizione. In realtà, poi, i Conservatori hanno vinto le elezioni con un vantaggio di sei punti percentuali, una maggioranza sufficientemente ampia per governare in autonomia.

Alla luce di tali problemi, ecco alcune delle mie osservazioni:
• Nel caso prevalgano i voti favorevoli all’uscita, prevediamo bruschi movimenti sui mercati finanziari globali.
• È probabile, inoltre, che le agenzie di rating del credito penalizzino il Regno Unito nel caso di un voto per la
Brexit.
• Nel 2016, abbiamo assistito finora ad una certa pressione al ribasso per la sterlina britannica. È probabile che
ciò sia associato, in parte, al rischio “Brexit” e, in parte, all’indebolimento del supporto dei tassi d’interesse
alla sterlina a fronte della riduzione delle aspettative dei mercati per un rialzo dei tassi d’interesse da parte
della Banca d’Inghilterra.
• Abbiamo anche assistito alla sottoperformance dei titoli bancari britannici rispetto ai loro concorrenti,
poiché molti prevedono che il settore finanziario sarà negativamente condizionato da un potenziale voto
favorevole all’uscita.
• In tal caso, il settore britannico dei servizi finanziari sarebbe probabilmente costretto a subire costi di
transazione più elevati in tutta Europa rispetto all’attuale condizione nell’ambito del Mercato Unico
Europeo.

Concordiamo con le aspettative di mercato secondo cui le trattative post-Brexit sarebbero confusionarie e prolungate (almeno 1-2 anni), il che creerebbe un terreno fertile per oscillazioni tumultuose sui mercati finanziari. 

In ultima istanza, ci aspetteremmo che le trattative possano dare vita ad un nuovo rapporto tra il Regno Unito e l’Europa (alcuni analisti hanno esaminato il rapporto tra l’UE e la Norvegia o la Svizzera come possibili modelli in tal senso). Prevedremmo continui legami commerciali e finanziari, sebbene con costi di transazione eventualmente maggiori in qualche misura. Inoltre, prevedremmo che il Regno Unito rimanga un paese dal credito sovrano solido, con una buona struttura di policy-making capace di sostenere un’economia dinamica concorrenziale sullo scenario globale.

Sam Martin, Head of Research AEW Europe

In questo periodo pre-referendum, gli investitori devono fare i conti con una notevole dose di incertezza nelle loro decisioni quotidiane. Se il referendum porterà all’uscita dall’Unione europea, penso che gran parte di tale incertezza proseguirà sul medio termine, fintanto che non sarà chiaro quale forma avrà il mondo post-Brexit. Nel caso di un voto favorevole all’uscita, il governo britannico dovrà chiedere di lasciare l’Unione Europea nel rispetto dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea. Il Regno Unito e l’UE avranno due anni di tempo, decorrenti dalla data di tale richiesta, per negoziare un accordo di uscita. Per gli investitori, un aspetto cruciale di tali trattative è costituito dal grado di accesso ai mercati UE che sarà lasciato al Regno Unito e da quali accordi e trattati commerciali potranno essere negoziati con i paesi extra-UE. 

La politica dietro la Brexit 

Il primo ministro britannico David Cameron e il governo Conservatore fanno campagna affinché il Regno Unito rimanga nell’Unione. Anche i Laburisti e i Liberal Democratici, ossia gli altri partiti politici maggiori, sono orientati in tal senso. Tuttavia, Boris Johnson, il sindaco conservatore di Londra, e un numero considerevole di ministri conservatori del parlamento, fanno campagna per l’uscita dal blocco europeo. Il movimento pro-Brexit non rappresenta un sentimento nuovo. Cominciò infatti a prendere piede già a metà degli anni 90, con la costituzione del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP). Oggi, l’UKIP e il Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord sono gli altri due partiti politici a favore dell’uscita dall’UE.

Vantaggi e svantaggi

L’eccessiva burocrazia figura tra le maggiori problematiche che la lobby pro-Brexit attribuisce all’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea, seguita dalle frontiere aperte nei confronti del resto dell’UE e dal numero indesiderabile di immigrati e, infine, dai contributi obbligatoriamente corrisposti dal Regno Unito a Bruxelles. Infine, vi sono timori legati ad un’integrazione sempre maggiore con l’Europa, alla perdita di sovranità e alla creazione di un “super stato” europeo. 

Secondo la lobby a favore della permanenza del paese in Europa, il Regno Unito non dovrebbe uscire dall’Europa perché non avrebbe più accesso al mercato unico europeo e lo standing della City e di Londra come centro finanziario mondiale potrebbe essere pregiudicato; a ciò si aggiunga un forte timore legato all’incertezza e all’ignoto. 

Esiste pertanto il desiderio di mantenere lo status quo. Prima di annunciare il referendum lo scorso 21 febbraio, David Cameron si era prodigato con gli altri leader europei per presentare una proposta che potesse mitigare alcuni dei timori espressi dai fautori della Brexit.
Tra gli aspetti chiave di tale accordo, vi è la possibilità per il Regno Unito di sospendere i benefici previdenziali nei confronti dei nuovi lavoratori immigrati in periodi di immigrazione eccezionale. In secondo luogo, l’accordo stabilisce che i trattati europei saranno riscritti per dichiarare espressamente che il concetto di unione sempre più stretta non si applicherà più al Regno Unito. In terzo luogo, è prevista la cosiddetta salvaguardia unilaterale, ossia il dovere dei leader europei, laddove il Regno Unito ritenga che le norme o i regolamenti europei siano dannosi, di riunirsi e discutere del problema. Tale parte dell’accordo era intesa specialmente a tutelare il settore finanziario di Londra. Tuttavia, sebbene l’accordo preveda delle concessioni, non penso che sarebbe percepito come rivoluzionario, e probabilmente non cambierà l’orientamento degli elettori il prossimo 23 giugno.

Referendum passati tenutisi nel Regno Unito

Questa non è la prima volta che il Regno Unito è chiamato a votare sulla permanenza nell’Unione europea. Nel 1975, il 67% della popolazione votò per restare nell’UE mentre il 33% votò per uscire. Nel 2014, la Scozia ha votato sulla sua indipendenza. In questo caso, i risultati furono molto meno netti: il 45% votò per uscire dal Regno Unito mentre il 55% per restare nel paese. Le elezioni in Scozia registrarono un’affluenza record dell’85%. Sulla base dei recenti sondaggi condotti nelle ultime settimane in tutto il Regno Unito, sembra che il voto del referendum sull’Europa avrà risultati ugualmente poco netti.

Implicazioni per i mercati

I mercati tendenzialmente non amano l’incertezza. La sterlina è stata e probabilmente rimarrà il principale ammortizzatore del rischio Brexit, sia prima del referendum che in caso di voto favorevole all’uscita. Da quando è stato annunciato il referendum, e a differenza dei grandi movimenti che hanno interessato la sterlina, i rendimenti dei Gilt (i titoli di stato del Regno Unito) sono cresciuti molto lievemente sulle scadenze a due, cinque e dieci anni. Anche nell’ipotesi Brexit, ritengo sia improbabile che i Gilt divengano un asset a rischio di credito, poiché non esistono rischi imminenti di solvibilità per il governo britannico legati all’uscita dall’Europa. Tuttavia, l’uscita creerebbe sicuramente incertezza economica nonché potenziali rischi per la crescita e l’inflazione. Pertanto, è probabile che i Gilt continueranno a riflettere tali tradizionali premi per il rischio. 

Mercato immobiliare britannico 

Il Regno Unito rimane il più grande mercato per gli investimenti immobiliari in Europa. I capitali di investimento continentali giocano un ruolo marginale nei flussi d’investimento complessivi. Ciò è stato particolarmente vero a seguito della crisi globale. Nello scenario peggiore, però, molti dei possibili rischi della potenziale Brexit per il mercato immobiliare nel Regno Unito avrebbero un impatto negativo sul mercato direzionale del West End e della City di Londra. Molte sedi europee sono ubicate nel West End, e molti uffici nella City sono affittati a società di servizi finanziari. Entrambe le location potrebbero vedere gli affittuari trasferirsi nell’Europa continentale. Al contrario, Parigi e Francoforte in particolar modo, potrebbero trarre vantaggio da tale situazione e vedere un afflusso di nuova domanda di immobili in affitto.

Philippe Waechter, Chief Economist Natixis Asset Management

In relazione al che si terrà nel Regno Unito il prossimo 23 giugno, occorre premettere che tale evento rappresenta prima di tutto una questione politica. Molti tentano di indicare i vantaggi e gli svantaggi economici che possano dimostrare la validità di una posizione piuttosto che dell’altra. Ma, alla fine, si tratta essenzialmente di una questione politica.

Come possiamo quindi comprendere il trade-off tra le opinioni politiche (a favore della Brexit) e le argomentazioni economiche (a favore della permanenza nell’UE)? Se i cittadini sono frustrati e temono un futuro più caotico a causa dei grandi flussi (più o meno reali) di immigrati, sarà dura convincerli, utilizzando argomentazioni economiche, delle ipotetiche perdite di reddito derivanti dall’uscita. Per tale ragione, non penso sia possibile prevedere con precisione il risultato del referendum. Abbiamo già visto una situazione simile in precedenti referendum come quello del Quebec e della Scozia. Alla fine, spesso prevale una sorta di riflesso conservatore che induce le persone a non modificare lo status quo.

I legami britannici con l’UE 

La Gran Bretagna ha tratto vantaggio dal mercato unico europeo, un grande spazio caratterizzato dalla libera circolazione di persone, beni e capitali. Uno spazio che ha messo la concorrenza in primo piano e che ha aumentato la produttività e la competitività delle aziende in tutta l’Unione europea. In altre parole, le società nel Regno Unito sono state direttamente a contatto con un mercato di oltre 400 milioni di persone. 

Sono state recentemente pubblicate alcune relazioni sull’impatto dell’Unione europea sulla crescita economica britannica. Molti sostengono che il prodotto interno lordo (PIL) pro capite sia cresciuto più rapidamente grazie all’appartenenza del paese all’UE, in misura addirittura pari al 10%. Tale crescita riflette l’effetto di contagio positivo ed interazione della produttività e del commercio col resto dell’Unione europea. Inoltre, riflette l’impatto dell’arrivo nel paese di popolazioni che hanno portato con sé competenze e culture diverse. Anche l’impatto sulla situazione salariale sembra essere stato positivo.

Implicazioni economiche di un’eventuale uscita

La questione relativa all’impatto della Brexit è tutt’altro che banale. In primo luogo, il Regno Unito disporrà di un periodo di due anni per discutere dei suoi nuovi rapporti coi partner europei. Si tratta di un periodo molto lungo che potrà causare notevole incertezza e pregiudicare la crescita dell’occupazione, degli investimenti e della produttività nel breve-medio periodo.

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In secondo luogo, esiste il problema delle barriere commerciali. Possiamo esaminare diversi tipi di scenario, tra cui due ipotesi che sono attualmente oggetto di un ampio dibattito a Londra: nella prima ipotesi, si prevede che il Regno Unito manterrà l’accesso al mercato unico nell’ambito dello Spazio Economico Europeo (SEE). In tal caso, il Regno Unito dovrebbe pagare un contributo all’Unione europea (la Norvegia ha uno statuto simile e paga un importo pari all’83% su base pro capite di quanto corrisposto attualmente dal Regno Unito) e potrebbe essere soggetto a barriere non tariffarie (requisito delle norme di origine e dazi anti-dumping).

La seconda ipotesi prevede un accordo con l’Unione europea e l’applicazione di tariffe con i partner commerciali del Regno Unito, che si avvicinerebbe quindi alle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Tutto considerato, la possibilità per il Regno Unito di avere accesso al mercato unico sembrerebbe l’ipotesi meno onerosa. Tuttavia, ciò comporta anche degli svantaggi: le persone saranno libere di circolare. Se l’immigrazione è la ragione principale per un voto per la Brexit, allora tale soluzione non è in grado di risolvere il problema.

Ma, e questo è il terzo punto, esistono potenziali opportunità per il Regno Unito al di fuori dell’Unione europea. Una minore regolamentazione associata all’Europa potrebbe aprire varie possibilità per migliorare la propria competitività in altri paesi. Vi sarebbe una minor regolamentazione sul fronte dei temi sociali, del clima o del sistema sanitario. Alcuni sostengono che ciò potrebbe avere un impatto positivo sulla crescita del paese pari a circa lo 0,3% del PIL. In realtà, la situazione è probabilmente più complessa, poiché l’Unione europea ha circa 100 accordi commerciali in essere con paesi extra-UE. Tali accordi sono complessi e porteranno ritardi e incertezze – il che potrebbe essere una potenziale causa di un periodo di bassa crescita.

Ristrutturare l’economia britannica

Nel complesso, la Brexit inciderà sulla struttura economica del paese. È probabile che molti prodotti finanziari scambiati a Londra tramite il Passaporto Europeo non saranno più disponibili. I meccanismi di compensazione nel mercato dell’Euro avvengono principalmente nella City. Nel caso di una Brexit, tale situazione non sarebbe più accettabile per i membri della zona euro. Tali mercati si sposteranno nuovamente verso il Continente. Ciò avrebbe un grande effetto marginale sul PIL britannico. 

Esistono poi numerose questioni legate alla situazione dei lavoratori europei nel Regno Unito. Gli statuti subiranno modifiche, soprattutto con riferimento alle pensioni. Esiste anche la questione dei costi dell’assistenza sanitaria per i cittadini inglesi che vanno in pensione nel sud della Spagna: esisterà ancora un accordo tra il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) britannico, sovvenzionato dal contribuente, e il suo omologo spagnolo? Vi è notevole incertezza anche in tal senso.

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