Nell’anno delle elezioni americane più aspre della storia Usa e in contrasto con la sopravvalutazione della partecipazione delle generazioni maggiormente interessate a uno stretto legame con l’Ue, gli inglesi hanno deciso di uscire dall’Unione europea. E serve a poco raccogliere un numero risibile di firme per far pressione sul Parlamento inglese, perché il No all’Unione Europea non permette ai Soci fondatori di fare sconti o venire incontro ai pentimenti tardivi per non mettere a rischio l’impianto comunitario.
Ora che gli inglesi si stanno rendendo conto di cosa significa lasciare la Casa Europa non possiamo che sorridere di fronte al Consiglio della Cornovaglia, che dopo aver ricevuto nel periodo dal 2007 al 2013 oltre 650 milioni euro di fondi europei in quanto zona depressa economicamente ha votato contro l’Ue con il 56,5% e chiede al Governo un intervento urgente.
Per contro la Scozia ha votato al 62% per restare nell’Ue e non vede l’ora o di sostituirsi alla City dopo un referendum per l’indipendenza o di bloccare il voto parlamentare, offrendosi così come hub finanziario e quindi offrendo una soluzione alla perdita dei diritti di passporting legati ai servizi e prodotti finanziari , ma non solo. Già dalle prime dichiarazioni la Germania si è mostrata favorevole alle tesi scozzesi per una membership divisa dalla Gran Bretagna.
Come più volte sottolineato dalla Brexit, la Gran Bretagna esce perdente a tutti i livelli: commerciale, economico, e finanziario. Per gli inglesi sarà inevitabile un riallineamento verso il basso dei salari e dei prezzi più in generale, soprattutto del mercato immobiliare, che a causa della fuga di banche e Corporates subirà una drastica correzione.
Le pressioni inglesi su una politica estera filo americana e filo araba finalmente si allenteranno e anche questo contribuirà a lasciar mani libere all’Ue per ripensare l’impianto delle politiche comunitarie senza un terzo incomodo.
Intanto, Russia e Cina gioiscono della Brexit nel giorno storico del primo meeting annuale della Banca multilaterale AIIB, fortemente voluta dai cinesi e che ha iniziato ad operare a pieno ritmo includendo i Paesi europei ma senza americani e canadesi.
Per le banche inglesi inizia un periodo difficile a tutto vantaggio dei mercati europei e statunitensi, soprattutto dopo che le banche Usa hanno superato indenni gli stress test e le agenzie di rating hanno minacciato un drastico ridimensionamento del merito creditizio dopo il cambiamento in negativo dell’outlook.
Già, la fuga degli investitori giapponesi e quindi il rimpatrio di flussi di portafoglio potrebbero essere solo il prologo di ulteriori deflussi di capitale che ostacolerebbero i tentativi della Banca Centrale di difendere la sterlina ed il mercato domestico dagli attacchi speculativi. Una spirale negativa che potrebbe creare grossi problemi, insieme al drastico ridimensionamento del Pil paventato anche dal Fondo Monetario Internazionale.
Ora la parola di questa intricata vicenda passa al Parlamento di Westminster, che dovrà anche discutere della mozione sollevata dalla raccolta firme e decidere sulla messa in atto dell’art. 50, che prevede il recesso come volontario ed unilaterale, e quindi vede le istituzioni europee in attesa dei tatticismi politici inglesi.
Nell’attesa delle decisioni dei britannici ci sarà un ripensamento salvifico dei fondatori dell’Ue su politiche più accomodanti, per evitare l’effetto domino dei referendum nazionalisti e creare un hub europeo più competitivo e attrattivo dal punto di vista fiscale e regolamentare senza i continui ostacoli posti da un membro che ha fatto della opzione IN/OUT un’arma opportunistica.
Ed una più attenta riflessione sulle immagini del nuovo canale di Panama a firma italiana ci porterebbe a valutare in un momento come questo come la nostra eccellenza produttiva si meriterebbe un ambiente fiscalmente e strutturalmente più agevolato, magari anche per strizzare l’occhio a quelle multinazionali in pieno stato confusionale dopo questo caotico referendum.