Non manca molto al fatidico 23 giugno, quando gli elettori del Regno Unito si pronunceranno sulla permanenza del Paese nell’Unione Europea. Il cruciale quesito referendario sta assumendo un’importanza fondamentale anche per gli investitori europei ed internazionali. Il quotidiano flusso di notizie e i sondaggi sempre più frequenti cominciano a influire sulla volatilità dei mercati, peraltro già attesa.
Dopo aver dato spazio alle argomentazioni economiche a favore della permanenza nell’UE, l’attenzione dei media potrebbe spostarsi sull’effettiva affluenza alle urne e sugli aspetti emotivi (crisi dei migranti,immigrazione e burocrazia di Bruxelles). Quanto al nostro resoconto della partita che si gioca quest’anno nell’area euro, il primo tempo vede in vantaggio gli europeisti…
Risultati del Primo Tempo: Bremain 1 (economia) –Brexit 0
Il governo inglese e autorevoli esponenti dell’economia globale hanno da tempo messo in guardia l’elettorato britannico sugli ingenti costi legati alla Brexit, come l’incertezza sugli accordi commerciali attuali e futuri, l’impatto sulle politiche in atto nell’UE e persino la possibilità di condizioni svantaggiose dopo le inevitabili rinegoziazioni.
La campagna per l’uscita dall’Unione Europea (UE) analizzando le sole componenti economiche sembra quindi perdente, almeno per ora.
Schemi di gioco per il Secondo Tempo
Sconfitti sul terreno dell’economia, i fautori della Brexit stanno cercando di spostare l’attenzione dell’elettorato su temi caldi come: immigrazione, responsabilità politica e burocrazia.
L’immigrazione, in particolare, può essere una potente arma anti-UE, tanto più che alcuni influenti media britannici puntano sul legame fra libera circolazione delle persone nell’Unione e situazione di crisi dei rifugiati mediorientali. La paura degli immigrati è legata anche alla percezione della sicurezza dei confini del Regno Unito e, al rischio terrorismo.
I terribili attentati dello scorso anno a Parigi e i più recenti episodi di Bruxelles hanno senza dubbio esasperato il clima emotivo nel Regno Unito.
Gli euroscettici hanno decisamente “puntato il dito” sul fallimento delle politiche pubbliche, che non sono riuscite ad arginare né l’immigrazione né i timori sul numero di rifugiati che entrano in Gran Bretagna.
Affluenza attesa
Nel 1975 il 64% dell’elettorato ha votato per l’entrata della Gran Bretagna nel mercato comune europeo. Sarebbe ottimistico aspettarsi un tasso di partecipazione più elevato questa volta, anche se allora la posta in gioco agli occhi dei “sudditi britannici” era meno rilevante. Il referendum del 23 giugno sarà molto sensibile sia al numero assoluto che ai gruppi di età dei votanti. Il fatto che gli elettori più anziani siano più propensi a votare e, molto probabilmente, a votare per l’uscita dall’UE potrebbe rivelarsi un fattore decisivo.
Per dare un’idea dell’importanza dell’affluenza, con un tasso di partecipazione del 64% alla consultazione il referendum dovrebbe concludersi con il 53% di voti a favore della permanenza nell’UE, mentre un tasso di partecipazione di appena il 60% potrebbe ribaltare l’esito della consultazione, con un 51% di voti per la Brexit!
A titolo di riferimento, il referendum sull’indipendenza scozzese ha visto una partecipazione dell’85%, contro lo scarno 35,6% delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, nel 2014 (in cui invece era andato bene il Partito per l’indipendenza del Regno Unito). Nell’UE l’affluenza media alle elezioni del 2014 era stata appena del 42,6%, a conferma del generale disinteresse dell’opinione pubblica in tutta l’area dell’Unione Europea. Particolarmente bassa l’affluenza in Polonia (23,8%), dove in ottobre è salita al potere una forza decisamente euroscettica come il Partito Diritto e Giustizia.
Sondaggi d’opinione e previsioni dei book-maker
Pur essendo sempre più scettici sull’attendibilità dei sondaggi, sia locali che globali, dobbiamo riconoscere che essi tendono a mostrare una costante preferenza per la permanenza del Regno Unito nell’UE, anche se in presenza di un’elevata percentuale di indecisi. Data la peculiarità di entrambe le fazioni, però, non è chiaro se gli indecisi alla fine andranno o meno a votare, e di conseguenza la sensibilità del risultato all’affluenza sarà ancora più determinante. I sondaggi rappresentano quindi una guida interessante ma non necessariamente affidabile sulla neutralità degli indecisi.
I book-maker prevedono attualmente una vittoria del fronte filoeuropeo nello specifico le probabilità di Brexit sono appena del 20-25%, e, di conseguenza, gli europeisti dovrebbero vincere con largo scarto.
Politica
Indipendentemente dall’esito finale del referendum, è ormai chiaro che il Partito Conservatore al governo ne uscirà profondamente spaccato. Anche se il Regno Unito dovesse rimanere nell’UE, il governo potrebbe attraversare un periodo di incertezza e vulnerabilità finché le ferite interne non si saranno rimarginate.
Se invece i sudditi britannici sceglieranno la Brexit, il Paese sarà soggetto a una forte instabilità politica. Uno dei principali problemi interni sarà il rinnovato dibattito sull’indipendenza scozzese (se i sondaggi hanno ragione nel prevedere che l’elettorato locale voterà per restare nell’UE).
Date le divisioni interne al Partito Conservatore britannico, la Brexit potrebbe richiedere: un nuovo Premier, un nuovo Cancelliere, e forse anche delle nuove elezioni. Allo stesso tempo, però, il Regno Unito avrà bisogno di un gruppo di politici esperti in grado di negoziare l’uscita dall’Unione. Tale passaggio potrebbe rivelarsi un processo lungo ed estremamente complesso, una situazione in grado di alimentare forti tensioni e incertezze nella macchina economico-politica del Regno Unito.
Quanto al progetto comunitario, qualunque sia l’esito del voto, si riaccenderà inevitabilmente il dibattito su Europa a due velocità e transizione verso gli “Stati Uniti d’Europa”. A tal proposito è illuminante il Rapporto dei “5 Presidenti” pubblicato nel 2015. Un crescente numero di governi dell’UE si trova di fronte un elettorato sempre più euroscettico: è il caso ad esempio di Francia e Polonia. Gli esponenti politici dei paesi europei dovranno quindi riconoscere di non essere riusciti a fare accettare all’opinione pubblica “più Europa”, valore spesso imposto ignorando l’esito dei referendum nazionali. Tali azioni sono servite solo a indebolire, non a rafforzare, la legittimità di Bruxelles.
Riflessione sui mercati finanziari e sugli investimenti
È opinione comune che gli “asset” del Regno Unito risentirebbero inevitabilmente di una vittoria della Brexit e che il 24 giugno (il giorno successivo alla consultazione referendaria) la volatilità e gli scambi sui mercati potrebbero essere simili a quelli osservati nel 1992 quando la sterlina uscì dal meccanismo di cambio (ERM: European Exchange Rate Mechanism).
Se vincesse la Brexit, assisteremmo a uno storno generale dei mercati azionari e obbligazionari e della valuta del Regno Unito. Paradossalmente, forse, gli asset britannici “in saldo” una settimana dopo un voto pro-Brexit potrebbero rappresentare un’interessante opportunità di lungo termine!
Le società e gli “asset” del Regno Unito hanno riportato modeste performance sin da inizio anno e sembrano scontare sempre di più un rischio Brexit. Differente la posizione delle grandi imprese esportatrici, che a tempo debito beneficerebbero dei fattori legati ad una valuta più debole, e la sottoperformance del FTSE100 contro il FTSE Mid 250 potrebbe subire una decisa correzione. La vittoria degli europeisti, al contrario, potrebbe far risalire le valutazioni delle società attive sul settore domestico.
Nel complesso, la Brexit potrebbe avere ripercussioni soprattutto per l’Europa, in quanto comprometterebbe parte dei progressi fino ad ora compiuti dall’Unione sul fronte economico-politico. Come possibile forma di copertura dai rischi si potrebbe anticipare l’aumento della volatilità degli asset in euro (anche se non ai livelli registrati attualmente dalla sterlina).
Se una sterlina più debole può alimentare i timori di inflazione nel Regno Unito, una significativa flessione dei titoli azionari avrebbe ripercussioni negative sul debito corporate. Le due asset class sono strettamente correlate anche se il programma di quantitative easing della BCE (Banca Centrale Europea) sta alimentando l’ampliamento degli spread.
La ricca agenda politica che prevede anche le elezioni Presidenziali spagnole del 26 giugno e le Presidenziali americane in novembre potrebbe creare ulteriore volatilità sui mercati finanziari fino alla fine dell’anno.