Dopo un anno in cui l’agenda degli investimenti europei è stata dominata da fattori politici, ci aspettiamo che il 2018 porterà a una maggiore concentrazione sui fondamentali economici. Tuttavia, guardando più da vicino, prevediamo un ritorno in agenda dei fattori politici dovuto al manifestarsi di tutte le conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
In particolare, riteniamo che la Brexit avrà un impatto significativo sull’equilibrio di poteri del blocco commerciale e sul suo modus operandi.
L’elezione di Emmanuel Macron a Presidente francese e la riconferma di Angela Merkel come Cancelliera tedesca, entrambi sostenitori di una maggiore integrazione europea, ci suggeriscono che la leadership politica favorevole all’UE è probabilmente più solida di quanto non lo fosse da molti anni a questa parte.
Riteniamo pertanto che almeno nel 2018 i fattori politici passeranno in secondo piano e che i mercati saranno più concentrati sul corso della politica monetaria della Banca Centrale Europea, nonché sui dati macroeconomici.
A nostro parere i dati sulla crescita in Europa sono generalmente positivi, sebbene vi siano motivi per essere prudenti. Alcune regioni sono più deboli di altre e l’inflazione in tutta l’Eurozona resta ben inferiore all’obiettivo del 2% fissato dalla Bce: tutto questo continua a giustificare il suo persistente orientamento accomodante. A nostro avviso la Bce estenderà probabilmente il suo programma di allentamento quantitativo (Qe) fino a poco dopo settembre, il suo attuale orizzonte temporale.
Analogamente, ci aspettiamo che la Bce inizierà ad aumentare i tassi d’interesse soltanto quando il Qe sarà stato ampiamente completato. Prevediamo pertanto che un rialzo dei tassi d’interesse nell’Eurozona avverrà non prima del 2020-2021.
D’altra parte, la composizione della Bce cambierà prevedibilmente nei prossimi 18 mesi. Il mandato di Mario Draghi alla presidenza della Bce terminerà ad ottobre 2019 e anche vari altri membri del consiglio direttivo dovrebbero dimettersi nel prossimo anno.
Tenendo conto di tutti questi fattori, ci aspettiamo che in Europa nel corso dell’anno le obbligazioni siano destinate a restare confinate entro una fascia di prezzo. I rendimenti potrebbero aumentare leggermente rispetto ai livelli attuali, ma non crediamo che vi saranno incrementi sostanziali se l’inflazione non tornerà ad essere molto più solida non soltanto in Europa, ma anche altrove.
Tuttavia osserviamo alcune potenziali fonti di opportunità in alcune valute europee, in particolare la corona norvegese e la corona svedese, che recentemente hanno evidenziato una discreta correzione.
La Brexit minaccia di spostare l’equilibro dei poteri all’interno dell’UE nel lungo termine
Considerando la tempesta che imperversa al momento, riteniamo che il Regno Unito e l’UE finiranno col giungere a qualche tipo di accordo sulla Brexit.
Alcuni paesi europei, in particolare Irlanda e Germania, potrebbero subire un duro colpo se il Regno Unito dovesse uscire dall’UE senza un accordo. Riteniamo pertanto che quelle aree europee compiranno probabilmente ogni sforzo per assicurare la conclusione di qualche tipo di accordo, anche se non dovesse essere necessariamente il migliore per tutte le parti.
Nel lungo termine, tuttavia, a nostro avviso l’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe iniziare a rivelare atteggiamenti differenti tra le diverse fazioni all’interno del blocco commerciale e potrebbe comportare uno spostamento dell’equilibrio di potere nel Parlamento europeo verso i paesi dell’Eurozona.
Paesi come Germania e Francia vogliono un’UE più integrata, mentre altri, ad esempio nell’Europa centrale, preferiscono un gruppo meno compatto, che offra loro benefici commerciali ma consenta al tempo stesso di mantenere un maggiore controllo sulla propria sovranità.
In base alla normativa del Parlamento europeo, un voto o un veto ha bisogno del 67% per poter passare. Attualmente i paesi dell’Eurozona rappresentano circa il 70% dei voti nel Parlamento europeo, mentre i paesi non appartenenti all’Eurozona, come il Regno Unito, costituiscono il restante 30%.
Pertanto al momento il dissenso di un solo paese dell’Eurozona potrebbe comportare l’esito negativo di una votazione. Dopo l’uscita del Regno Unito, che rappresenta il 12% dei voti del Parlamento europeo, la voce dei paesi “non euro” tuttavia avrà meno forza.
Riteniamo che di conseguenza l’UE avrà molte più probabilità di diventare un “club dell’euro”. I paesi che non hanno adottato l’euro potrebbero rivedere la propria posizione se vogliono avere voce in capitolo nel futuro del blocco.
Analogamente, il Regno Unito ha tendenzialmente assunto un approccio più austero in termini economici rispetto al budget dell’UE, spesso votando con altri Stati membri dell’Europa settentrionale (Germania compresa) contro gli aumenti delle spese.
Quando il Regno Unito se ne sarà andato, i paesi favorevoli all’aumento della spesa dell’UE potrebbero trovarsi in maggioranza, con una potenziale vittoria nelle votazioni anche a fronte di una possibile opposizione tedesca.
A nostro avviso, anche questa situazione potrebbe creare alcune dinamiche diverse all’interno del blocco commerciale, sebbene probabilmente non nell’immediato futuro. Riteniamo pertanto che i politici europei stiano già iniziando a organizzarsi per affrontare questo cambio di situazione e a nostro avviso si tratta di uno sviluppo che gli investitori dovrebbero monitorare.