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Brexit, l’ora della verità: ecco cosa sta succedendo

FIRSTonline

Sembrava che il tempo della fumata bianca fosse finalmente arrivato, che un accordo sulla Brexit fosse a portata di mano e invece i negoziati si sono arenati di nuovo. I tecnici hanno ammesso il loro fallimento, adesso toccherà ai politici trovare un compromesso prima del 29 marzo 2019, data in cui il Regno Unito uscirà ufficialmente dall’Unione Europea. Teoricamente c’è ancora tempo, praticamente le lancette scorrono inesorabili e cinque mesi, almeno dal punto di vista politico, corrispondono a più o meno “cinque minuti”, soprattutto se si tiene conto del fatto che Bruxelles e Londra dovranno trovare un’intesa su una questione che cambierà in maniera radicale e definitiva il volto dell’Unione Europea.

“Dobbiamo restare fiduciosi e determinati, poiché c’è volontà di continuare questi negoziati da entrambe le parti. Ma al tempo stesso, responsabili come siamo, dobbiamo preparare l’Ue per uno scenario di non accordo, che è più possibile come mai prima d’ora”. Queste le parole che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha scritto nero su bianco nella lettera di invito ai leader per il vertice che si terrà mercoledì 17 e giovedì 18 ottobre. Un summit cui parteciperà anche il primo ministro britannico, Theresa May, e nell’ambito del quale i rappresentanti di Ue e Uk cercheranno nuovamente di trovare una linea comune. Eppure, come già detto, sembrava che il momento giusto fosse arrivato. Domenica 14 ottobre, Michel Barnier, capo dei negoziatori per la Brexit dell’Unione Europea, si è incontrato a sorpresa con il ministro britannico per la Brexit, Dominic Raab, un incontro che tutti credevano preannunciasse il raggiungimento di un accordo. E invece ad essere annunciato è stata l’impossibilità di arrivare ad una via d’uscita “comoda” per tutti.

BREXIT: LA QUESTIONE IRLANDESE

A far saltare tutti i precedenti tentativi di trovare un compromesso è la cosiddetta “questione irlandese”: il governo guidato da Theresa May non accetta la proposta messa sul piatto dall’Unione Europea per evitare la ricostruzione di un confine tra Irlanda del Nord – una delle quattro nazioni costitutive del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord – e Repubblica d’Irlanda – Stato membro dell’Unione Europea. Quel confine c’era fino al 1998, quando le parti riuscirono a fatica a raggiungere un’intesa nota come “l’accordo del Venerdì Santo”. Si tratta di circa 400 km di frontiera che rappresenterebbe l’unico confine terrestre del Regno (oltre a Gibilterra, ovviamente).

La proposta europea prevede il cosiddetto “backstop, un meccanismo di garanzia che stabilisce che il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord rimanga aperto e che quest’ultima resti nel mercato comune e nell’unione doganale anche oltre il  2021, anno in cui si concluderà il periodo di transizione previsto per la Brexit.

Restare nell’unione doganale però per i Tory (partito di maggioranza cui appartiene May) significa tradire i “valori” della Brexit e la scelta che i cittadini del Regno Unito hanno fatto il 23 giugno del 2016, determinando la vittoria del “Leave” al referendum. Non ha caso il Guardian ha già trovato una denominazione perfetta per questa ipotesi: “Brino”, acronimo di “Brexit in name only”.  Non solo, dire sì al backstop significherebbe de facto, accettare la creazione di una frontiera commerciale tra Irlanda del Nord e Regno Unito, andando contro il volere del DUP (Partito democratico unionista dell’Irlanda del Nord), che attualmente con il suo appoggio tiene in piedi il Governo.

Bruxelles dal canto suo non ha intenzione di arretrare sulla questione, anche perché concessioni su questo tema potrebbero rappresentare un precedente pericoloso per questioni spinose e interne ad altri Stati membri, come la Spagna.

BREXIT: GOVERNO MAY SEMPRE PIù IN BILICO

Il 15 ottobre, Theresa May si è presentata nuovamente di fronte alla Camera dei Comuni, per cercare di fare il punto sulla situazione. La premier britannica ha definito l’accordo “raggiungibile”, ma ha anche rassicurato i “falchi” sulla sua intenzione di rifiutare qualsiasi proposta che “minacci l’Integrità” del Regno o i rapporti con l’Ulster.

L’unica possibilità per realizzare il backstop, ha chiarito May, sarà stabilire sin da subito una data di scadenza, non si accetteranno soluzioni “a tempo indefinito”.

I mormorii uditi tra gli scranni dell’aula hanno però confermato il sempre più scarso favore di cui gode il capo del governo di Downing Street all’interno della sua stessa maggioranza. Forse il più grosso problema di Theresa May non è l’Unione Europea, ma i contrasti interni alla maggioranza. I Tory sono letteralmente spaccati in due. Da un lato c’è la fronda favorevole ad un “accordo di compromesso” e ad un continuo dialogo con la Ue. Dall’altro ci sono i falchi guidati dall’ex ministro Boris Johnson (sempre più numerosi a dir la verità) e i rappresentati della Dup che parlano di “vergognoso tradimento” del mandato referendario di fronte ad un possibile cedimento.

A godersi la scena c’è poi l’opposizione laburista guidata da Jeremy Corbyn, pronta ad approfittare di qualsiasi momento per andare a elezioni anticipate, prendersi il Governo e chiudere un’intesa con l’Ue che preveda la permanenza nell’unione doganale sia dell’Irlanda del Nord che del resto del Regno (e secondo i brexiteers anche ad indire un secondo referendum sulla Brexit).

IL CALENDARIO PER LA BREXIT

Il 29 marzo il Regno Unito uscirà definitivamente dall’Unione Europea. Prima di allora ci saranno altri appuntamenti importanti: primo tra tutti il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre. A Bruxelles si mormora però che la premier britannica potrebbe persino disertare mercoledì sera la cena di lavoro introduttiva del prossimo vertice, per evitare di dover sancire un’ennesima, pressoché scontata, fumata nera.

A differenza di quanto accaduto con l’incontro straordinario di domenica scorsa, sono in molti a dare per scontato che questo Consiglio si chiuderà con una semplice “interlocuzione” tra le parti, senza alcuna decisione tangibile. Per questo motivo si prevede già un vertice straordinario per metà novembre, nell’ambito del quale provare nuovamente a trovare un’intesa. Se così non fosse, si potrebbe andare avanti “fino a dicembre”, come suggerisce esplicitamente da Dublino il premier irlandese Leo Varadkar.

Nel frattempo però l’Unione Europea si prepara ad un piano B: quello del “divorzio non consensuale”, quell’Hard Brexit che tutti sostenevano di voler evitare.

BREXIT: I PUNTI D’INTESA TROVATI TRA UK E UE

In questo contesto vale la pena di riassumere i punti su cui Regno Unito e Unione europea sono invece già d’accordo, in particolare sui temi finanziari. Londra dovrà rispettare gli obblighi dei pagamenti decisi da Bruxelles per una cifra complessiva che dovrebbe aggirarsi intorno ai 50 miliardi di euro.

Già definito il fatto che i diritti dei cittadini Ue nel Regno Unito prima della Brexit saranno garantiti, così come quelli dei britannici nella Ue. Nel periodo di transizione inoltre varranno tutte le regole Ue del mercato interno. Dal punto di vista giuridico, il Regno Unito non sarà più soggetto alla Corte di Giustizia Ue ma i contenziosi relativi all’accordo per la Brexit saranno regolati sulla base delle decisioni dei giudici europei per dieci anni.

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