Con l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, la premier Theresa May ha avviato le procedure per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Dopo una serie di altri adempimenti istituzionali e burocratici, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno dovrebbe iniziare la vera e propria trattativa sui termini della Brexit. In teoria durerà due anni, ma non sono da escludere proroghe o accordi ponte, perché le materie su cui trovare una (difficile) intesa sono davvero tante.
Quali saranno le conseguenze della Brexit sull’Europa e sull’Italia? Ecco i temi principali.
1) QUANTI SOLDI PERDERÀ L’EUROPA? E L’ITALIA?
L’Ue vuole che la Gran Bretagna onori gli impegni che ha preso con le istituzioni europee fino al 2020. Il conto totale ammonta a 50 miliardi di sterline, pari a circa 58 miliardi di euro. La Gran Bretagna, naturalmente, si rifiuta, e Downing Street ha già fatto sapere di ritenere “assurda” la richiesta. Ma su questo punto il numero uno della Commissione europea, Jean Claude Juncker, è riuscito a compattare il fronte Ue.
In ogni caso, prima o poi nel bilancio dell’Unione verrà a mancare il contributo britannico. Ad oggi, l’UK versa 16 miliardi l’anno nelle casse di Bruxelles e ne riceve indietro sei. Per il futuro le ipotesi sono due: o i paesi ricchi verseranno più soldi, oppure saranno ridotti gli stanziamenti a beneficio dei paesi che ricevono aiuti. Nel primo caso, l’Italia potrebbe essere chiamata ad aumentare di un miliardo e 307 milioni la propria quota di contribuzione, che passerebbe da 17,693 a 19 miliardi.
In generale, secondo la nota di aggiornamento al Def pubblicata lo scorso settembre dal governo italiano, “le conseguenze della Brexit sono complessivamente quantificabili in una forchetta fra 0,5 e 1,0 punti percentuali di Pil complessivo nel biennio 2016-2017”.
Standard & Poor’s ha scritto che l’Italia, insieme all’Austria, sarà uno dei Paesi meno colpiti dalla Brexit, anche perché il nostro interscambio di beni e servizi con il Regno Unito è intorno al 3% del Pil. Tuttavia, il conto finale potrà essere quantificato solo nei prossimi mesi, in base alle scelte di Londra sul futuro dei suoi rapporti con l’Europa.
2) COSA CAMBIERÀ PER CHI LAVORA IN UK?
La Brexit ha fatto sorgere preoccupazione sullo status dei 3,2 milioni di stranieri europei che oggi vivono nel Regno Unito, fra cui circa 600 mila italiani, la metà dei quali residenti. Per loro, in realtà, dovrebbe cambiare poco.
I problemi più seri riguarderanno gli europei che in futuro vorranno trasferirsi in Gran Bretagna. Londra intende mettere sotto controllo l’immigrazione e forse introdurrà delle quote oltre le quali gli stranieri non saranno più ammessi.
Il permesso di trasferirsi, inoltre, potrebbe essere accordato solo a chi ha già trovato un posto di lavoro in UK, e non a chi vuole traslocare per cercarlo. Infine, è molto probabile che i non britannici perderanno il diritto ai servizi di welfare.
3) E PER GLI STUDENTI?
Oggi gli studenti universitari europei pagano poco più di 10mila euro l’anno di tasse universitarie (9.000 sterline, la stessa somma prevista per i britannici). Con la Brexit, il conto dovrebbe salire ai livelli molto più alti previsti per gli extracomunitari: da 14 a 19 mila sterline, fra i 16 e i 22mila euro l’anno. Una vera stangata, anche perché gli studenti europei non potranno più utilizzare borse di studio e prestiti per pagare i corsi accademici del sistema britannico.
D’altra parte, al momento tutte queste novità sono solo le ipotesi più probabili. Non c’è ancora nulla di ufficiale, per cui chi ha intenzione di trasferirsi in Gran Bretagna per ragioni di lavoro o di studio farebbe bene ad affrettarsi.
4) QUALI I RISCHI PER L’EXPORT ITALIANO?
Sul versante commerciale, l’indebolimento della sterlina sta già pesando sulle esportazioni europee verso la Gran Bretagna (prima del referendum per comprare una sterlina occorrevano 1,31 euro, oggi ne bastano 1,16).
Secondo i dati di Sace, la bilancia commerciale fra Italia e Regno Unito è comunque ampiamente favorevole al nostro paese e i prodotti italiani più richiesti sono mezzi di trasporto, macchinari, abbigliamento, alimentari e bevande. Da luglio a dicembre dell’anno scorso le esportazioni italiane si sono contratte dello 0,5%, ma il dato complessivo del 2016 è comunque rimasto positivo dello 0,5%.
Le stime per il 2017 sono però molto più fosche: lo scorso luglio Sace prevedeva un calo fra il 3 e il 7%, per una perdita compresa fra i 600 milioni e gli 1,7 miliardi di euro. Coldiretti fa sapere invece che, dal giorno del referendum sulla Brexit, le esportazioni agroalimentari del nostro paese in UK sono calate del 9%. Il crollo più pesante è quello che ha colpito l’olio d’oliva (-13%).