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Brexit, la fine di Uk può essere un’opportunità: lo dice Edgerton

Imagoeconomica

Fuori dai cliché

David Edgerton, 60 anni, è uno dei maggiori storici britannici con molti studi che tendono a mettere in discussione quelli che lui chiama i “cliché della storia”. Il suo campo di specializzazione è la storia della tecnologia e delle scienza. Ma sa andare ben oltre, perché parlare di tecnologia oggi significa parlare di tutto.

Proporsi in modo critico nei confronti del pensiero mainstream su questi temi è una delle caratteristiche salienti dei suoi studi tra i quali menzioniamo: Science, Technology and the British Industrial ‘Decline’ 1870–1970 (1996); The Shock of the Old: Technology and Global History since 1900 (2006), Warfare State: Britain 1920–1970 (2005), Britain’s War Machine: Weapons, Resources and Experts in the Second World War (2011) e The Rise and Fall of the British Nation: A Twentieth-Century History (2018).

Come mostra l’evoluzione dei suoi lavori, lo storico inglese, partendo dalla storia economica e delle macchine, ha allargato il suo spettro d’indagine sino alla storia politica della Gran Bretagna, senza far venire meno quell’approccio critico rispetto ai cliché imperanti. È indubbiamente una delle voci più interessanti e indipendenti da ascoltare a proposito di uno dei maggiori UFO che solcano i pensieri degli europei, la Brexit. Come la venuta meno del Muro di Berlino ha avuto maggiori conseguenze per il mondo che non per la Germania, così la Brexit rischia di avere ripercussioni più rilevanti per il Regno Unito che per il resto del mondo. E questo non è certo un cliché. Le tesi di Edgerton meritano di essere attentamente considerate.

Brexit, dura lex sed lex

Il Regno Unito potrebbe finalmente volgere al termine. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è ormai legge. È accaduto dopo che la Brexit ha arriso al partito conservatore e al suo leader, Boris Johnson, un successo elettorale insperato che mancava dai tempi della Thatcher. Per decenni, l’appartenenza all’Unione Europea ha tenuto insieme il Regno Unito. Adesso, però, emergono delle impressionanti crepe che annunciano una possibile deriva dei suoi territori. La Brexit sta facendo a pezzi l’unità del Regno. Anche la fantasia storica, peraltro piuttosto recente, della “nazione britannica” inizia ad avviarsi verso il viale del tramonto.

L’Irlanda del Nord

La Brexit di Boris Johnson porterà probabilmente a instaurare, per la prima volta nella storia moderna, un confine tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna. Il piano è stato concepito per permettere alla Gran Bretagna di rompere radicalmente con l’Europa. Questo farà sì che l’Irlanda del Nord rimarrà allineata con il resto del blocco europeo, compresa la confinante Repubblica d’Irlanda. Si tratta di un sorprendente tradimento dagli unionisti dell’Ulster, la cui politica si basa sulla sacralità e inscindibilità del Regno Unito. Inoltre, includere l’Irlanda del Nord nello stesso sistema normativo del suo vicino meridionale rappresenta una notevole opportunità per i nazionalisti irlandesi. L’anelito di questi ultimi a un Paese unito diviene un obiettivo che inizia a prendere forma.

La Scozia

La Brexit di Boris Johnson non è certamente passata inosservata in Scozia. Il Partito nazionale scozzese (SNP), favorevole all’indipendenza, ha conquistato 48 dei 59 seggi in palio in Scozia nelle elezioni di dicembre. La grande maggioranza degli scozzesi ha votato per rimanere nell’Unione Europea durante il referendum del 2016. Permettere all’Irlanda del Nord, ma non alla Scozia, di rimanere allineata con il mercato dell’Unione Europea non farà che aumentare ancora di più la pressione scozzese per l’indipendenza. Nicola Sturgeon, il leader della SNP, ha già richiesto formalmente che il Parlamento scozzese sia investito del potere di indire un referendum per l’indipendenza. Johnson, da parte sua, ha chiarito che intende ostacolare tale voto, ma potrebbe non essere in grado di bloccarlo in eterno. Quindi, forse, siamo alla fine. Non accadrà proprio subito, ma potrebbe avvenire entro la conclusione del decennio. Via la Scozia, via l’Irlanda del Nord, rimangono Inghilterra e Galles, una mini unione, che a sua volta potrebbe spaccarsi sotto la pressione dei nazionalisti gallesi.

Faccia a faccia con i problemi

Sarebbe davvero così grave questo sbocco? In realtà, no. La rottura dell’Unione non sarà certo un processo facile, ma potrebbe essere una delle poche cose buone che verranno dalla Brexit — non solo per la Scozia e l’Irlanda, ma anche, e soprattutto, per l’Inghilterra. Dopo essere stata liberata dalla morsa unionista, l’Irlanda del Nord potrebbe entrare a far parte della fiorente economia irlandese e diventare parte di una realtà socialmente più liberale. Come sono cambiate le cose nel frattempo! Per i nazionalisti irlandesi questo passo rappresenterà un ricongiungimento a lungo desiderato. Anche se l’unione all’Irlanda è ciò che gli unionisti temono di più, ora potrebbero essere in grado di riconciliarsi con la loro irlandesità dopo essere stati traditi da Londra. La Scozia potrebbe prendere in mano il proprio futuro. Ha un tasso di mortalità più elevato rispetto all’Inghilterra e, sebbene abbia meno disuguaglianza rispetto il suo vicino meridionale, il divario tra i due Paesi si è fortemente ridotto negli ultimi due decenni. Gli scozzesi, dal canto loro, non hanno ancora affrontato questi problemi, scaricando la colpa su Londra. L’indipendenza li priverà di questo alibi e li costringerà ad affrontare i grattacapi della loro società. Una Scozia indipendente dovrà trovare una propria identità politica piuttosto che identificarsi in rapporto ai contrasti con Londra.

L’Inghilterra felix

E anche l’Inghilterra trarrebbe beneficio dalla sparizione del Regno Unito. Nonostante sia la nazione dominante, la Brexit non le gioverà. L’Inghilterra non ha ancora un’identità nazionale. È lacerata tra le grandi città vivaci, giovani e filoeuropee — soprattutto Londra — e il resto del Paese, invecchiato, stagnante e antieuropeo. Liberata dalla morsa della decadente idea di nazione britannica e di Stato britannico, l’Inghilterra potrebbe finalmente scrollarsi di dosso le sue manie di grandezza. Le attuali fantasiose leggende sull’importanza del Paese nel mondo andranno in frantumi. L’Inghilterra scivolerà all’ottavo posto tra le maggiori economie del mondo. E, probabilmente, dovrà rinunciare alle sue armi nucleari. La base sottomarina nucleare del Regno Unito si trova in Scozia.

L’Inghilterra non ha bisogno di essere, come molti temono, l’erede zoppo, e forse anche irredentista, del Regno Unito. Meno baldanzosa e più consapevole del suo reale posto nel mondo, potrebbe, a breve, ripensare l’ostilità verso l’Unione Europea. La Scozia ha subìto un processo di deindustrializzazione simile a quello dell’Inghilterra settentrionale e del Galles, ma ha votato “remain”. Come suggeriscono Anthony Barnett e molti altri scrittori, potrebbe emergere una nazione inglese più progressista, sul modello di quella scozzese. Questa Inghilterra potrebbe avere un normale nazionalismo democratico, tranquillo nelle aspirazioni e inclusivo di quelle altrui.

Il collante dell’Impero

L’idea di rompere l’unione non è così oltraggiosa come potrebbe sembrare. Il Regno Unito non è né antico né stabile. Prima del 1945, l’“identità nazionale” irlandese, gallese, scozzese e inglese non erano delle radicate varianti di britishness, ma parte di qualcosa di molto più grande: l’identità imperiale. La propaganda britannica durante la Seconda guerra mondiale affermava che il Regno Unito era solo lo Stato dominante di un Commonwealth di nazioni britanniche. Piuttosto, insieme all’India e alle colonie, era una componente paritaria dell’Impero britannico. È stato l’Impero a combattere la guerra, non il Regno Unito. I soldati morirono per il re e la patria — ma quella patria non aveva un nome. Nessuno ha dato la vita per il Regno Unito.

Il Regno Unito dal 1945 al 1970

Dopo il 1945, la Gran Bretagna — un Regno Unito nazionale — è stata una delle tante costruzioni post-imperiali emerse dalle ceneri dell’Impero. Da allora, fino agli anni Settanta, il Regno Unito è esistito come un’unità economica, politica e ideologica coerente e distinta dal resto del mondo. C’era un’economia nazionale britannica, un esercito nazionale britannico e una politica nazionale britannica dominata da due partiti nazionali che credevano in quest’unione. È stato il breve periodo della nazione britannica. In realtà, l’unico. Questo Regno Unito nazionale è stato spezzato economicamente a partire dagli anni Settanta dai processi di globalizzazione strettamente interconnessi e dall’integrazione economica con l’Europa.

Una politica con retrovisore

Questo decadente nazionalismo britannico è un residuo degli anni Settanta. Adesso sta sconvolgendo l’unione, più delle versioni scozzese, irlandese e gallese di questo nazionalismo. Forte in Inghilterra, ma debole altrove, con l’eccezione di un pugno di unionisti duri in Irlanda del Nord, il nazionalismo britannico si è manifestato negli appelli alla Brexit, da prima del referendum del 2016 fino a oggi. I brexitari credono erroneamente che l’indipendenza dall’Unione Europea renderà di nuovo grande il Regno Unito. Ma la Brexit e le delusioni per la grandezza del Regno Unito che l’accompagneranno sono la politica dei nostalgici, di coloro, cioè, che ricordano quella breve esperienza unita e nazionale. I giovani d’Inghilterra, come quelli del resto della Gran Bretagna, hanno sostenuto in modo schiacciante il desiderio di rimanere nell’Unione Europea. Capiscono anche che c’è bisogno di liberarsi dalle pratiche di Westminster e Whitehall, non di Bruxelles, e dalla rabbia autolesionista degli anziani. Solo pochi decenni fa, un nuovo Regno Unito emerse dall’Impero. Ora, con la rottura dell’unione, diviene non solo possibile, ma auspicabile — traendo alimento dal nazionalismo britannico — l’uscita dal Regno Unito di una nuova Inghilterra.

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