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Brexit, inizia il lungo addio: 3 nodi su commercio, Scozia e Irlanda

La premier May ha inviato la lettera con la quale chiede l’attivazione dell’articolo 50 per l’uscita dall’Ue – Iniziano due anni di negoziati: ecco le prossime tappe – La Scozia vuole un altro referendum ma per Edimburgo rimanere in Europa è quasi impossibile – Paura per nuova chiusura della frontiera fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord.

Il D-day della Brexit è arrivato. Oggi, mercoledì 29 marzo, la premier inglese Theresa May ha attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, dando il via al percorso di uscita del Regno Unito dall’Unione europea.  La lettera è stata consegnata dall’ambasciatore britannico Tim Barrow al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. La decisione degli elettori britannici, che al referendum del 23 giugno 2016 votarono in maggioranza “Leave”, si traduce finalmente in qualcosa di concreto.

La strada però non sarà breve. Con la lettera in cui May comunica formalmente al Consiglio europeo la decisione di lasciare l’Ue si apre la fase della trattativa. Entro i prossimi due anni, Londra e Bruxelles dovranno trovare un accordo sui termini del divorzio e, almeno in parte, sul futuro delle loro relazioni. Le incognite sono molte.

LE PROSSIME TAPPE

I 27 membri dell’Ue dedicheranno il mese prossimo alla definizione delle linee guida per il negoziato, che saranno approvate il 29 aprile. È probabile che questo primo documento conterrà solo principi generali, ad esempio limitandosi a menzionare genericamente, cioè senza cifre, gli obblighi finanziari di Londra verso l’Europa. L’unica certezza, per ora, è che i capi di Stato e di Governo dell’Unione affideranno alla Commissione il compito di condurre le trattative, fissando però alcuni paletti.

Il mese successivo l’Esecutivo comunitario pubblicherà la raccomandazione che darà il via ai colloqui, poi i ministri degli Esteri, riuniti nel consiglio Affari generali, approveranno l’inizio della trattativa e le linee guida negoziali. A meno di imprevisti, tra fine maggio e l’inizio di giugno i rappresentanti di Londra e Bruxelles si ritroveranno finalmente allo stesso tavolo. E a quel punto si farà sul serio.

Per l’Europa il capo negoziatore sarà il francese Michel Barnier, che guiderà una squadra di 28 membri. Dall’altra parte della barricata ci sarà David Davis, ministro per la Brexit, affiancato dal capo di gabinetto Oliver Robbins. Finché le parti non arriveranno a un’intesa, il Regno Unito continuerà formalmente a far parte dell’Ue, anche se ha già rinunciato a esercitare la presidenza di turno nel secondo semestre di quest’anno.

 

IL MERCATO UNICO EUROPEO E IL “BREXIT BILL”

Fra i tanti problemi da risolvere, i più incandescenti sono due: le relazioni commerciali e quelle finanziarie.

Londra vuole una “hard Brexit”, opzione che prevede l’uscita dal mercato unico europeo e il controllo dell’immigrazione dalla Ue, fatta salva la necessità di “assicurare i diritti dei cittadini europei che già vivono in Gran Bretagna e quelli dei britannici che risiedono nella Ue”, come si legge nel Libro bianco in 12 punti presentato in Parlamento.

L’Europa ha già risposto mesi fa, per bocca della cancelliera tedesca Angela Merkel, spiegando che la Gran Bretagna non otterrà un accordo di libero scambio con vantaggi analoghi a quelli del mercato unico se non garantirà anche la libera circolazione di persone e merci.

Ma quanto sono rilevanti gli scambi tra Londra e il resto dell’Unione? Secondo i dati forniti da Sace, l’import dall’Unione europea equivale al 50,5% del totale 2016 ed è risultato in contrazione del 4% rispetto all’anno precedente (-5,9% il dato degli ultimi sei mesi dell’anno), anche a causa del deprezzamento della sterlina rispetto all’euro. La domanda europea conta invece leggermente meno della metà (il 47,5%) del totale beni esportati dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda del Nord.

La bilancia commerciale fra Italia e Regno Unito, invece, è ampiamente favorevole all’Italia (figura 1). I prodotti italiani più richiesti sono mezzi di trasporto, macchinari, abbigliamento e alimentari e bevande. Da luglio a dicembre dell’anno scorso le esportazioni italiane si sono contratte dello 0,5%, bilanciando il risultato positivo dei primi sei mesi e portando il dato complessivo dell’anno a +0,5%.

Sul versante finanziario, invece, la contesa si accenderà intorno al cosiddetto “Bxit bill”, il conto della Brexit. In sostanza, l’Ue vuole che l’UK onori i suoi impegni presi fin qui (la cifra dovrebbe aggirarsi intorno ai 58 miliardi di euro), ma la Gran Bretagna, naturalmente, si rifiuta.

In generale, nessun leader europeo parla esplicitamente di “accordo punitivo”, ma è evidente che Bruxelles non intende permettere al Regno Unito di spuntare condizioni più favorevoli di quelle garantite dall’appartenenza all’Ue. Altrimenti la Brexit si trasformerebbe in un acceleratore di tutte le spinte centrifughe che puntano a disgregare l’Unione.

LA SCOZIA

Per quanto riguarda il fronte interno della Gran Bretagna, la situazione non è meno caotica. Anzi. Ieri il Parlamento scozzese ha autorizzato la premier Nicola Sturgeon a richiedere un secondo referendum per l’indipendenza da Londra.

Alla prima consultazione, che risale al settembre 2014, gli elettori votarono per rimanere nel perimetro dello Stato britannico. Stavolta però la prospettiva della Brexit determinerebbe con ogni probabilità un esito opposto, dal momento che una larga maggioranza degli scozzesi vuole rimanere nell’Ue.

Sarebbe un vero disastro per May, anche perché la consultazione potrebbe essere usata da Bruxelles come arma di pressione durante le trattative. È per questa ragione che la numero uno di Downing Street, se non riuscisse a evitarla, vorrebbe perlomeno rinviarla a dopo la conclusione del negoziato sulla Brexit.

D’altra parte, per la Scozia rimanere in Europa sarebbe comunque molto difficile. Anche se riuscisse a indire un nuovo referendum (servirebbe il consenso di Londra) e anche se i suoi elettori si esprimessero in favore dell’uscita dal UK, la permanenza del Paese nell’Unione europea non sarebbe automatica.

Edimburgo dovrebbe avviare una nuova procedura di adesione e ottenere il consenso tutti gli Stati membri, alcuni dei quali voterebbero quasi certamente contro per non incoraggiare le spinte secessioniste all’interno dei propri confini. Vedi le Fiandre in Belgio, ma soprattutto i Paesi Baschi e la Catalogna in Spagna.

L’IRLANDA DEL NORD

C’è poi la questione irlandese. Per controllare l’immigrazione dall’Ue, il Regno Unito dovrebbe richiudere la frontiera fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord (blindatissima ai tempi della guerra civile). In caso contrario, infatti, qualsiasi europeo potrebbe prendere un aereo per Dublino e di lì un treno per Belfast, ritrovandosi senza alcun controllo sul suolo britannico. Ma la chiusura del confine danneggerebbe in modo incalcolabile l’economia nordirlandese e potrebbe anche mettere a rischio la pace nell’Ulster. La Brexit potrebbe quindi aprire scenari di frantumazione completa per il Regno Unito. Anche perché, come gli scozzesi, lo scorso 23 giugno i nordirlandesi votarono in maggioranza “Remain”.

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