L’ora X sta per arrivare. Boris Johnson, collegato via video con i presidenti della Commissione, del Consiglio europeo e del Parlamento, ha già annunciato una sorta di ultimatum: o si va verso un accordo, ormai improbabile, tra Londra e la Ue oppure si andrà verso una hard Brexit, soluzione pericolosa specie per Londra ma che il premier britannico caldeggia per motivi di coesione politica interna.
Tra i capitoli più “caldi” di una hard Brexit figurano senz’altro i legami tra la City e le istituzioni finanziare europee. Il tema è sollevato stamane da Suma Chakrabarti, presidente della Bers, la banca nata negli anni Novanta per finanziare la ricostruzione dell’Est europeo per poi riconvertirsi alle tematiche ambientali. Chiktabarti, inglese di passaporto nonostante il nome, ha lanciato stamane un appello perché non si rompa “l’ultimo anello della collaborazione finanziaria tra Gran Bretagna e l’Europa”, un divorzio che potrebbe allargarsi agli Usa, segnando un nuovo fallimento per l’influenza occidentale di fronte alla pressione della Via della Seta.
Ma si profila in realtà una scadenza ben più importante per la finanza italiana: Mediobanca, ha rivelato il Financial Times, ha suggerito al governo italiano di effettuare entro lunedì 22 giugno l’offerta al London Stock Exchange per la quota, il 62% circa, detenuta dalla City in Borsa Italiana.
Piazzetta Cuccia, che segue la vicenda su richiesta di Giuseppe Conte (anche se non esiste per ora un mandato formale) ha infatti consigliato di muoversi prima del verdetto di Bruxelles, previsto per la prossima settimana, sull’integrazione tra il London Stock Exchange e Refinitiv, il gigantesco merger (valore 27 miliardi di dollari) che dovrebbe, secondo logica, prevedere la cessione di Borsa Italiana, azionista di maggioranza del mercato telematico Mts, diretto concorrente della piattaforma Tradeweb controllata da Refinitiv, quotata New York, che nel 2019 ha eseguito transazioni nel 2019 per oltre 5.000 miliardi di dollari in bond governativi europei. .
Se il Tesoro vuole riportare in Italia il controllo di Borsa italiana (ceduta maldestramente nel 2007) sarebbe saggio muoversi subito per segnare un punto fermo in una trattativa complessa anche sul piano politico. Magari attraverso un’offerta della Cassa Depositi e Prestiti (valutazione 3,5-4 miliardi) per poi trattare in un secondo momento l’integrazione con Euronext, la piattaforma parigina presente in sei mercati dell’Eurozona, ovvero la base per un eventuale Piazza europea cui l’Italia potrebbe apportare, con le dovute garanzie, il suo gioiello: Mts, l’infrastruttura strategica per la gestione del terzo debito pubblico del pianeta ma che è riuscito a vendere il suo know how in giro per il mondo (compreso Israele).