Finalmente il governo di sua maestà britannica ha diradato la nebbia che separava il continente dall’isola: il 29 marzo invocherà l’art.50 del trattato per uscire dalla UE. Data simbolica, non scelta a caso, che segue di soli tre giorni le celebrazioni romane per i sessanta anni dal trattato di Roma. Poiché il Regno Unito, (nell’ipotesi che non si stacchi la Scozia) beneficiava di correzioni in base alle quali veniva rimborsato per un importo del 66% della differenza (all’incirca 14-15 miliardi di euro) tra il suo contributo al bilancio dell’UE e l’importo che riceveva dallo stesso, la trattativa per la definitiva uscita del Regno Unito dall’UE riguarderà necessariamente anche questi aspetti.
Brexit, unitamente al neo protezionismo arcaico di Trump, è una occasione per discutere e rimuovere l’ostacolo più importante al ruolo attivo della UE per la crescita dell’Europa al 27: l’obbligo del bilancio in pareggio della UE stessa. È una lunga storia che si avvia con il trattato di Roma del 1957 ove fu definito il vincolo del bilancio in pareggio: ovvero che Il bilancio della UE deve essere finanziato integralmente tramite risorse proprie la cui modifica richiede l’unanimità degli stati membri. In questo caso, infatti, è il Consiglio che deve deliberare secondo una procedura legislativa speciale che prevede l’unanimità di voto dei suoi membri, previa la sola consultazione del Parlamento europeo. Si aggiunga che la eventuale decisione di istituire nuove categorie di risorse proprie o di sopprimerne una esistente entra in vigore soltanto previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Pertanto, diversamente da quanto avviene negli stati membri, la politica di bilancio comunemente intesa, non è tra le funzioni proprie del bilancio dell’‘Unione che si limita a raccogliere ed erogare fondi sotto il vincolo di bilancio. È un vincolo, i cui risultati economici sono a somma zero, che nel tempo ha cristallizzato ogni azione della UE.
Nel corso degli ultimi anni il bilancio della UE è ammontato appena a circa l’1% del Prodotto interno lordo della stessa Unione; in cifre circa 140-150 miliardi di euro.
Certo è che nei confronti degli stati con struttura federativa la dimensione del bilancio comunitario risulta assai modesto e pertanto inidoneo a conseguire gli importanti obiettivi dichiarati nei trattati. Ad esempio, negli USA il bilancio federale assorbe circa il 50% delle entrate e delle spese totali e la restante parte compete ai livelli di governo statali e locali. In percentuale del PIL, sia le entrate federali sia le entrate statali e locali ammontano al 17%. Anche all’interno della stessa UE, in un paese a struttura federale come la Germania, le entrate federali ammontano a circa il 13% del PIL mentre quelli dei Länder e degli enti locali sono intorno al 21%
L’obbligo del bilancio in pareggio formalmente e rigidamente definito nei trattati, costituisce pertanto la più significativa difformità nei confronti dei bilanci degli stati membri. Così, anche a causa di siffatto vincolo, l’Unione non dispone di una istituzione dotata dei poteri analoghi a quelli propri di un ministero del tesoro finalizzati a gestire il bilancio in avanzo o in disavanzo mediante acquisto o emissioni di titoli del debito pubblico. Non è consentito infatti dai trattati che possa crearsi un debito pubblico in capo alla Unione europea (ad esempio Eurobond), così come, ad esempio, è il debito pubblico del tesoro degli USA (Treasury bond). O del tesoro tedesco (Bund tedesco).
È un vincolo, frutto delle decisioni politiche degli stati membri che non intendono condividere l’onere di un debito pubblico intestato all’Unione. E’ ‘un vincolo che permanendo nel tempo, prescinde forzatamente dall’andamento ciclico della economia europea considerata nel suo complesso e dagli effetti che la globalizzazione e il progresso tecnico esercitano sulla produttività dei fattori nei diversi settori dell’economia degli stati membri. Ma è pur vero che in Europa, il riparto tra il bilancio dell’UE e quelli degli Stati membri è fortemente squilibrato: mentre il primo risulta, come già detto, di poco superiore all’1% del PIL complessivo dei Paesi membri, la media delle entrate e delle spese degli Stati membri si colloca intorno al 46% dei rispettivi PIL. Questa asimmetria rende oggettivamente difficile la realizzazione di significativi avanzamenti del processo di integrazione che, implicando la condivisione delle responsabilità e delle scelte in ambiti politici sempre più numerosi e vasti, richiederebbe che il livello di governo europeo fosse dotato anche non soltanto di mezzi finanziari adeguati, ma anche di poteri politici ed economici – come un ministero del tesoro europeo – che contemperino gli interessi dell’Unione con quelli degli stati membri.