Con una maggioranza schiacciante (432 voti contrari contro 202 favorevoli) la Camera dei Comuni britannica ha bocciato l’accordo definito dalla premier Theresa May con la Ue per una Brexit ordinata, cioè per un’uscita morbida della Gran Bretagna dall’Europa.
Contro May, che rifiuta di dimettersi da capo del Governo e che si dovrà sottoporre nelle prossime ore al voto di fiducia in Parlamento, si sono pronunciati i laburisti, i liberali, gli unionisti e circa un terzo dei conservatori, che si sono nettamente divisi. Ben 115 membri della maggioranza hanno voltato le spalle al Governo.
LO SPETTRO DEL “NO DEAL”
Che la sconfitta fosse certa era opinione diffusa: la portata, però, apre tutto un nuovo scenario. Di fronte a una bocciatura così vistosa dell’accordo per una Brexit soft, ora la Gran Bretagna – come ha subito avvertito il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker – rischia di andare incontro a un No deal, cioè a un’uscita confusa e pericolosa dall’Europa, che può provocare danni non piccoli anche al Vecchio continente.
UN NUOVO REFERENDUM? IMPROBABILE
C’è chi dice che, dopo il voto di ieri e il buio assoluto sulle prospettive britanniche, Londra potrebbe ripensarci e andare incontro a un secondo referendum sulla permanenza o l’uscita del Regno Unito. Ma, allo stato, l’ipotesi sembra ancora improbabile, perché nessuno degli schieramenti la sostiene con particolare convinzione. Del resto, vorrebbe dire sconfessare una decisione che il popolo ha già preso.
LA (S)FIDUCIA A MAY
Quanto a May, anche se gli unionisti irlandesi hanno annunciato che domani voteranno a favore del governo pur avendo votato contro il piano per la soft Brexit, il voto di fiducia rappresenta un bivio: se non ottiene la fiducia, rischia di uscire definitivamente di scena. Ma “il No – avverte la May – è un salto nel buio”.
Secondo la stampa britannica, la Premier dovrebbe comunque rimanere al suo posto, perché i conservatori che hanno votato No all’accordo non vogliono comunque rischiare elezioni anticipate.
Oltre al voto di fiducia chiesto da May stessa, è arrivata anche una mozione di sfiducia contro il Governo presentata da Jeremy Corbyn numero uno dell’opposizione laburista, che vuole arrivare a Downing Street per negoziare un nuovo accordo con Bruxelles.
BRUXELLES NON VUOLE RIAPRIRE IL NEGOZIATO
Il problema è che la Commissione europea non ha alcuna intenzione di riaprire il negoziato. “La Gran Bretagna ci dica che cosa vuole”, ha commentato seccamente il negoziatore europeo Michel Barnier.
In base a una risoluzione votata la settimana scorsa, May dovrebbe ripresentarsi in Parlamento fra tre giorni (lavorativi, quindi la prossima settimana) con una nuova proposta di accordo. Non è chiaro quale possa essere, visto che Bruxelles non è disponibile a modificare in modo sostanziale il testo bocciato martedì dal Parlamento britannico.
RINVIARE BREXIT? SÌ, MA DI QUANTO?
Non si sa neppure se a questo punto Londra chiederà di rinviare la data ufficiale per Brexit, fissata per il prossimo 29 marzo. May non vorrebbe, ma rischia di non avere alternative.
I capi di Stato e di Governo dell’Unione si sono detti disponibile a lasciare alla Gran Bretagna dai tre ai nove mesi di tempo per scongiurare lo scenario del No deal. Resta da capire di quanto sarà la proroga, visto che il 26 maggio si vota per le elezioni europee e nessuno – né a Bruxelles né a Londra – considera accettabile che i cittadini britannici si rechino alle urne per eleggere i nuovi membri dell’Europarlamento.
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