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Brembo, mezzo secolo di crescita e innovazione

“Dopo aver toccato nel 2010 il traguardo storico del miliardo di euro, per l’esattezza 1.075 milioni, prevediamo per quest’anno un’ ulteriore crescita del fatturato tra il 10 e il 15% con investimenti per circa 100 milioni”. E quelle indicate da Matteo Tiraboschi, alla sua prima intervista dopo la recentissima nomina a vicepresidente esecutivo della Brembo, sono stime di sviluppo improntate alla prudenza, considerato che il primo trimestre dell’anno in corso si è già chiuso con ricavi saliti del 27,9% a 312,2 milioni e un utile netto aumentato del 68,6% a 11,2 milioni, praticamente un terzo di quello realizzato nell’intero 2010 (32,3 milioni con dividendo distribuito in maggio di 0,30 euro).

Gli investimenti danno il senso della globalità ormai acquisita da Brembo: dal raddoppio della fonderia in Polonia alla ristrutturazione di quella acquisita nello scorso esercizio a Nanchino in Cina; dal nuovo impianto di pinze freno in alluminio a Ostrava nella Repubblica Ceca al potenziamento dell’attuale stabilimento per la produzione di sistemi frenanti per moto a Pune in India.

La promozione di Tiraboschi, che dal 2009 è anche direttore finanziario, a vicepresidente esecutivo – a cui riporta il nuovo amministratore delegato Andrea Abbati Marescotti (ex gruppo Fiat) – è stata decisa e spiegata da Alberto Bombassei, presidente storico della società nonché azionista di maggioranza con il 56,5% tramite la Nuova FourB, per rafforzare il team manageriale di vertice e avviare gradualmente i meccanismi di successione. Una decisione che ha messo in fibrillazione tutti i 6mila dipendenti del gruppo, di Europa, America e Asia, ma soprattutto il quartier generale di Stezzano, alle porte di Bergamo, nell’avveniristico parco tecnologico del “Kilometro rosso”, fortemente voluto dallo stesso Bombassei, felice connubio tra innovazione industriale e architettura. “Bombassei è un asset della Brembo che per fortuna non si può ammortizzare”, sottolinea Tiraboschi, che di Bombassei è il genero avendo sposato la figlia Cristina, anche lei impegnata in azienda con ruoli esecutivi. Che a 70 anni, 50 dei quali passati a fare della Brembo il leader mondiale dei sistemi frenanti per moto e auto ad alte prestazioni, da Porsche a Ferrari, da Ducati e Harley Davidson, il presidente voglia ritagliarsi per sé un ruolo più strategico e meno operativo è scritto negli atti ufficiali del cda del 6 giugno, ma non è nemmeno immaginabile un Bombassei che rinunci a essere quel vulcano di idee che è sempre stato, con il suo entusiasmo esigente che trasmette a tutti in azienda, un entusiasmo e passione che durano da oltre mezzo secolo.

Bombassei aveva 20 anni quando suo padre Emilio lo vuole portare subito con sé nella piccola azienda che fonda con Italo Breda: le Officine meccaniche di Sombreno, il nucleo originario dell’attuale Brembo. E’ il 1961. Primi lavori per l’Alfa Romeo, poi appena tre anni dopo nascono i primi freni a disco fino allora esclusiva della Gran Bretagna. La Brembo contava allora 28 dipendenti compresi i soci fondatori. Nel ’72 il marchio dell’azienda bergamasca compare per la prima volta anche sulle moto con una fornitura alla Guzzi. In breve Bergamo diventerà leader nel segmento dei sistemi frenanti per le due ruote. La consacrazione tecnologica avviene qualche anno dopo quando Enzo Ferrari affida alle cure di Bombassei la Rossa, la vettura più prestigiosa della Formula Uno.

E’ il 1975: la Brembo ha 146 dipendenti con un fatturato di 2,8 miliardi (ossia 1, 44 milioni di euro). L’innovazione e la ricerca sono l’arma vincente della società, piccola ma sempre più aggressiva, che nel 1980 lancia una pinza freno per autovetture nuova nel disegno e l materiale, l’alluminio, che porterà la Brembo a diventare primo fornitore, se non esclusivo come nel caso di Porsche e Ferrari, per auto ad alte prestazioni. Siamo negli anni Ottanta, il mondo ha assorbito e messo alle spalle la lunga crisi petrolifera del decennio precedente: Brembo ha incassato ormai molti riconoscimenti e successi ma la sua dimensione è ancora troppo piccola per dominare in un’economia che comincia a essere sempre più globale.

Ecco che Bombassei, pur di garantire alla sua società il necessario salto internazionale, nel 1983 rinuncia a essere “padrone” in casa sua e apre il capitale agli americani della multinazionale Kelsey-Hayes che diventano gli azionisti di controllo con Bombassei che da imprenditore e primo azionista assume il ruolo di manager alle dipendenze altrui. “Ogni mese – ricorda Tiraboschi – volava in Usa a fare il rendiconto delle attività italiane. Ma è stata quella un’esperienza, come lui stesso riconosce, che gli ha permesso di vivere e respirare l’aria di una grande impresa portando la Brembo a confrontarsi con la complessità di una multinazionale e di un nuovo mondo da conoscere e magari da conquistare. Nello stesso tempo ha fatto sì che l’imprenditore Bombassei capisse quanto fosse importante un management forte a governare l’azienda, con cui discutere idee e scelte una volta tornato a essere proprietario della sua azienda, riacquistando nel 1993 la quota di maggioranza ceduta agli americani”. Due anni più tardi Brembo entra in Borsa e da 16 anni distribuisce puntualmente dividendi.

E’ il 1995: la società conta ormai 1.115 dipendenti e un fatturato di 331 miliardi di lire (circa 170 milioni di euro). Con la quotazione in Borsa si inaugura una strategia di crescita e internazionalizzazione che porterà Brembo alle dimensioni attuali, con 35 stabilimenti in 15 Paesi di tre continenti e con un focus su sviluppo e ricerca sempre più accentuato (“la spesa in R&S – dichiara Tiraboschi – è oggi circa il 6-7% del fatturato annuo, una cifra di tutto rispetto nel campo dell’automotive”).    

Arriviamo nel 2000: il gruppo di Bombassei ha 2.800 addetti con un giro di affari di 887 miliardi di lire (458 milioni di euro). Cifre che in 10 anni verranno più che raddoppiate, anche grazie a una raffica di acquisti e alleanze mirate, dalla britannica Ap Racing alla Marchesini, specializzata nelle ruote in magnesi per moto fino allo sbarco in Cina, in India e in Brasile. L’ultima operazione riguarda l’acquisizione a maggio della Perdiel, una società argentina di dischi freno, 20 milioni di fatturato circa, con un esborso di 3,3 milioni. “E’ stata una continua crescita – osserva Tiraboschi che è nel cda della società dal 2002 – che ha avuto solo un violento stop nel 2009 con una contrazione di fatturato del 25% e il titolo in Borsa che dai massimi storici di 13 euro era sceso al di sotto dei 3 euro. Praticamente fu come se l’attività di un trimestre fosse venuta meno. Per giunta è stata una crisi inaspettata che colpiva per la prima volta anche l’alto di gamma e che coglieva la società con una struttura dimensionata per una crescita annua che fino allora era stata tra il 15 e il 20%. Avevamo inoltre un indebitamente che seppur corretto in termini assoluti – inferiore a 1 rispetto ai mezzi propri – era fortemente sbilanciato sul breve. Fu un periodo duro, me lo ricordo bene perchè proprio nel maggio del 2009 ho assunto la direzione finanziaria. Ma ce l’abbiamo fatta, chiudendo in utile l’esercizio e rinegoziando il debito privilegiando la lunga scadenza. Anzi posso dire che quella crisi ci ha fatto bene, obbligandoci a essere ancor più attenti e critici con noi stessi e a migliorare, con risparmi importanti, la gestione del magazzino. Tanto che l’indebitamento netto a fine 2010 è sceso a 246 milioni dai 255 del 2009. Debito sul quale paghiamo tassi mediamente del 2%”.

La crisi, almeno in casa Brembo, è da un pezzo archiviata. Ma le sfide future saranno sempre più ardue e si giocheranno sui mercati dove l’auto avrà tassi di crescita che Stati Uniti e Europa non possono più garantire. “Il futuro dell’auto, che per Brembo significa il 60% del fatturato, è – osserva Tiraboschi – l’Asia, anche se la Germania con il 22% del fatturato resta il nostro principale mercato. Ma anche le vetture ad alte prestazioni dei produttori tedeschi trovano sempre più acquirenti nei Paesi asiatici. Così la Ferrari. E la Cina sta bruciando i tempi per entrare quanto prima nell’alto di gamma. Nelle moto, che rappresentano il 10% dei nostri ricavi, è ancora più difficile crescere a meno che non si vendano nel mondo più due ruote ad alte prestazioni. Con la Ducati abbiamo già l’esclusiva; con Harley Davidson, che prima della crisi produceva tante moto di grossa cilindrata quanto quelle fabbricate dall’Europa intera, siamo al 50%. E qui qualche margine di miglioramento è ancora possibile”.

Il restante 30% dei ricavi viene ripartito equamente tra veicoli commerciali e industriali, settore delle grandi competizioni e after market. Un ramo quest’ultimo su cui Brembo sta accelerando per sfruttare un brand riconosciuto in ogni parte del mondo. Ovviamente con prodotti innovativi come caschi speciali e giubbetti con air bag incorporato, sviluppati questi ultimi assieme alla Sabelt. “Siamo una società che Bombassei ha abituato alle grandi sfide e a gestire la complessività che è connaturata dal fatto di essere presente nel mondo e di avere tra i clienti i più prestigiosi gruppi dell’automotive che sono complessi per le loro dimensioni, per giunta avendo da proporre un prodotto di sicurezza come i freni. E per avere un vantaggio competitivo sugli altri il gruppo si avvale di 600 ingegneri che fanno ricerca anticipando il futuro come è stato, per citare un iniziativa nata qui nel “Kilometro Rosso”, il lancio dei dischi freno in carbonio ceramico una joint venture al 50% prima con Daimler e dal 2009 con Sgl, un gruppo specializzato nella produzione di carbonio che ci permette un approvvigionamento di questa materia, utilizzata soprattutto dai produttori di aerei, a costi più convenienti”.

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