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Brasile, un anno di Lula con più luci che ombre. Pesano però gli inciampi su Amazzonia e le ambiguità sulle guerre

FIRSTonline

Erano le 19.56 del 30 ottobre 2022 quando Lula è stato eletto presidente del Brasile per la terza volta nella sua lunga e intensa parabola politica. L’ex leader sindacale, candidato per la prima volta nel 1989 e già presidente dal 2003 al 2011, ha così da pochi giorni compiuto un anno dalla vittoria elettorale, anche se è effettivamente entrato in carica il 1° gennaio 2023, come si usa in Brasile. Quale è il bilancio per un presidente ancora amatissimo dalle fasce meno abbienti della popolazione ma che qualcuno considera un’anatra zoppa, un po’ per i suoi 78 anni, un po’ per gli oltre 18 mesi trascorsi in carcere per lo scandalo Lava Jato, che ne hanno minato la salute, un po’ perché la sua maggioranza in Parlamento è risicata e lo costringe settimanalmente a compromessi, allargamenti del campo, nomine da manuale Cencelli e ipotesi di rimpasto? 

Il bilancio della presidenza Lula: più luci che ombre

Nonostante tutto questo, il bilancio sembra essere oggettivamente più luci che ombre. Intanto, Lula per ora è approvato dagli elettori: anzi, ad agosto ha toccato il picco del 60% di gradimento dell’operato del governo, dato che è poi sceso al 54% ma che ancora indica una maggioranza nell’opinione pubblica, a differenza del suo predecessore Jair Bolsonaro, la cui popolarità era precipitata già nei primi mesi del mandato. Poi, ci sono i dati economici e finanziari: il prodotto interno lordo del Brasile crescerà quest’anno intorno al 3%, una stima rivista nettamente al rialzo negli ultimi mesi grazie ad una serie di indicatori favorevoli come l’inflazione contenuta al 5%, il ritorno degli investimenti esteri e lo scenario favorevole del mercato delle materie prime, nel quale il Brasile è solito essere protagonista soprattutto nell’agroalimentare, nell’energetico e nel minerario. 

Anche la Borsa ha dato segnali positivi: finora nel 2023 è in crescita, anche se ha decisamente rallentato il suo rally da un paio di mesi, iniziando una fase ribassista che ha portato l’indice Bovespa di San Paolo a 112.500 punti lo scorso 30 ottobre, poco sopra i 109.700 punti con cui aveva chiuso l’ultima seduta della presidenza Bolsonaro, lo scorso 29 dicembre. 

Gli inciampi di Lula

La frenata è dovuta proprio ad alcuni inciampi di Lula, che ha sostanzialmente convinto i mercati e soprattutto ha riposizionato il Brasile al centro della comunità internazionale, ma non sempre in modo convincente, come ad esempio sull’ambiente e sull’Amazzonia, o addirittura ambiguo, come sulla guerra in Ucraina, per la quale il leader brasiliano si sta facendo portavoce di una difficile missione di pace insieme ad altre potenze come Cina e India. E anche sul conflitto in Medio Oriente, Lula tra i leader del G-20 è decisamente tra quelli meno disposti ad assecondare una risposta durissima come quella che sta mettendo in campo Israele. 

Probabilmente sono proprio queste posizioni, per certi versi anti-occidentaliste e che strizzano l’occhio al nuovo asse mondiale rappresentato dagli ex Brics e dal loro allargamento strategico ai Paesi arabi con vista su Iran, Cuba e Venezuela, ad aver fatto vacillare la fiducia della finanza globale su un Paese che è sì la prima economia del Sudamerica, ha sì raggiunto una stabilità che la porterà secondo l’Fmi a diventare a fine anno la nona economia del mondo per Pil assoluto davanti al Canada e appena dietro all’Italia, ma che dipende pur sempre dall’esportazione delle proprie materie prime e dunque dalla domanda internazionale, non potendo contare sul tessuto industriale che dovrebbe avere un Paese di oltre 200 milioni di abitanti. 

La gestione del debito e gli investimenti per la crescita

Poi c’è anche la questione del debito: il governo Lula, attraverso il rigoroso ministro dell’Economia Fernando Haddad, aveva promesso una legge di Bilancio da “deficit zero” nel 2024. Recentemente tuttavia il presidente ha lasciato intendere che ridurre la spesa pubblica non è la priorità, visto oltretutto che la povertà sotto Bolsonaro è tornata a livelli allarmanti (secondo l’Onu in Brasile almeno 70 milioni di persone non hanno accesso garantito al cibo), il che rende necessario investire sulla sanità e soprattutto confermare se non rinforzare i sussidi. Duro tuttavia il commento della Folha de Sao Paulo, che sul deficit ha titolato: “Lula sta sabotando il Paese”.

In compenso Lula ha lanciato un maxi piano di investimenti per la crescita al 2027, le cui priorità sono istruzione, salute e transizione energetica. Proprio su quest’ultima però la ricetta del presidente socialista non è del tutto convincente, visto che non prevede un impegno specifico per la salvaguardia dell’Amazzonia, il cui ritmo di disboscamento sta solo leggermente diminuendo sotto la sua presidenza (salvo però aumentare in altre aree forestali del Paese), e che anche sui biocarburanti dispone un aumento della percentuale di oli vegetali obbligatori nella miscela, ma in buona parte questi sono rappresentati dall’olio di palma, cioè uno dei maggiori responsabili della deforestazione. Inoltre Lula ha per ora dato il via libera a Petrobras, il colosso petrolifero nazionale, ad estrarre ancora alla foce del Rio delle Amazzoni. Alla faccia del green new deal di cui pur si fa promotore nei consessi internazionali.

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