Il Brasile si sta avvicinando all’appuntamento con le elezioni legislative e presidenziali del prossimo mese di ottobre in un clima di grande incertezza. Secondo gli analisti è molto difficile fare una previsione sui possibili risultati della consultazione, mentre è elevata la probabilità che le prossime elezioni confermeranno l’estrema frammentazione del quadro politico. I più recenti dati congiunturali riportati dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo indicano una dinamica tendenziale del PIL che, dopo essere tornata positiva nel corso del secondo trimestre 2017 (+0,4%), ha continuato ad accelerare nella seconda metà dell’anno, portando ad una crescita complessiva dell’1%, dopo il calo del 3,6% nel 2016.
In questo contesto l’indagine periodica della Banca Centrale vede il PIL brasiliano aumentare del 2,7% nel 2018 e del 3% nel corso del prossimo anno: pure il FMI nel World Economic Outlook di gennaio ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita (all’1,9% nel 2018 e al 2,1% nel 2019). Ma, se consideriamo i Paesi del gruppo BRICS, il Brasile nel medio periodo è visto rimanere nel sottogruppo, che comprende anche Sud Africa e Russia, dei mercati a bassa crescita, condividendo alcune debolezze comuni come l’eccessiva dipendenza dalle materie prime, la lentezza con cui procedono le riforme e i fattori politici interni ed esterni che pesano sulla propensione ad investire.
Nel 2017 il tasso tendenziale d’inflazione ha frenato ulteriormente portandosi sotto il limite inferiore della fascia obiettivo (4,5% +/-1,5%) e chiudendo l’anno al 2,9%. L’inflazione è prevista in accelerazione nel 2018, sino a portarsi attorno al valore centrale (4,5%) della fascia obiettivo. Allo stesso tempo, la discesa dei tassi d’interesse è andata al di là delle previsioni: il tasso di riferimento Selic è passato dal 13,75% a dicembre 2016 all’8,25% a settembre 2017, per poi chiudere l’anno al 7% in seguito ai tagli della Banca Centrale. Le previsioni vedono un solo modesto taglio (25pb, con il tasso di policy al 6,75% a fine 2018), mentre nel corso del prossimo anno gli analisti si attendono l’avvio di un ciclo rialzista con il tasso Selic indicato all’8% a fine 2019.
Se nei primi nove mesi del 2017 il real brasiliano si è apprezzato di circa il 2% verso il dollaro (3,16 BRL per 1 USD), nell’ultimo trimestre ha tuttavia mostrato una certa volatilità determinata principalmente dall’evolversi delle aspettative riguardo la capacità del Governo di portare avanti le riforme. Ma, nonostante i vari modelli di valutazione del tasso di cambio non offrano una risposta univoca, il FMI nel Rapporto Art IV dello scorso luglio ha indicato il cambio sostanzialmente in linea con i fondamentali. A fine 2017 il real brasiliano non ha beneficiato della fase di debolezza del dollaro USA, registrando un deprezzamento del 2% (a BRL 3,31 per 1 USD): sulla valuta hanno pesato principalmente fattori di natura politica. L’indagine periodica della Banca Centrale indica il cambio BRL/USD a 3,30 a fine 2018.
Il debito pubblico, dopo aver visto una sostanziale stabilità nel quinquennio 2010-14 mantenendosi attorno al 62% del PIL, nell’ultimo biennio è cresciuto in misura sostanziale portandosi al 78,3% nel 2016. Secondo stime preliminari, nel 2017 il deficit pubblico primario è risultato pari all’1,9% del PIL, inferiore all’obiettivo iniziale del 2,4%: la recente fase recessiva attraversata dell’economia ha determinato un sostanziale aumento del debito pubblico, salito oltre l’80% del PIL nel 2017. Con la conseguente necessità di interventi strutturali per il controllo della spesa. Inoltre, sempre nel corso dello scorso anno, il saldo corrente della Bilancia dei Pagamenti ha registrato un deficit di 9,8 miliardi di dollari (0,5% del PIL) in calo da 23,5 mld (1,3% del PIL) nel 2016. La Banca Centrale prevede che nel 2018 il deficit corrente tornerà a salire portandosi a 18,4 mld (0,8% del PIL). Il dato delle riserve 2017 si confronta con un fabbisogno di finanziamento estero stimato a poco più di 173 mld nel 2018 (reserve cover ratio a 2,1). A fine 2017 il Brasile aveva una posizione finanziaria netta passiva di 692 mld, pari al 33% del PIL nominale in dollari stimato nel 2017: di questi oltre il 50% del totale passività era dovuto a IDE.
Il deterioramento del quadro politico-istituzionale, che rende difficile l’attuazione delle riforme necessarie a sostenere la crescita potenziale (attualmente attorno al 2%) e a stabilizzare i conti pubblici e l’aumento del debito pubblico in rapporto al PIL hanno portato a ripetuti tagli del rating del debito sovrano in valuta del Brasile, ora considerato un investimento speculativo da tutte e tre le principali agenzie. Nello specifico, a gennaio 2018, S&P ha di nuovo tagliato il rating (da BB/N a BB-/S) esprimendo dubbi sulla capacità del Governo di far approvare la riforma pensionistica; Fitch e Moody’s assegnano rispettivamente un rating pari a BB e Ba2, entrambe con outlook negativo. Diversi fattori limitano la crescita potenziale, in particolare un mercato del lavoro molto rigido e protetto, un sistema fiscale macchinoso e pesante, la presenza estesa e non efficiente del settore pubblico soprattutto nei servizi e le carenze di infrastrutture. Ecco allora che un Congresso caratterizzato da una grande frammentazione, da tensioni create dalle inchieste che coinvolgono gli uomini politici e la scadenza elettorale del prossimo ottobre fanno ritenere quanto mai improbabili agli occhi degli analisti nuovi passi avanti sulla strada delle riforme. Almeno per quest’anno.