Uno dei temi sempre più centrali e attuali dell’economia di oggi è la distribuzione della ricchezza. O per meglio dire le disuguaglianze economiche, che sono sempre più accentuate in Europa ma ancora di più nelle aree del pianeta di più recente sviluppo. Gli economisti di tutto il mondo si interrogano e si confrontano periodicamente su questo aspetto che invece viene spesso trascurato dalle politiche dei governi, che tutt’al più offrono soluzioni di breve termine, se non finiscono persino per acuire la forbice tra i pochissimi ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri: una classe media sempre più ridotta, a favore di un aumento della povertà nelle classi più basse. E’ noto a molti lo studio Oxfam secondo il quale l’1% più ricco detiene praticamente la metà della ricchezza netta globale. Ma non è tutto: dal 2020 l’1% della popolazione rappresentato dai ricchi ha accumulato quasi i due terzi di tutta la nuova ricchezza mondiale. E persino in Italia, storicamente un Paese con un indice di Gini basso, oggi il 5% più ricco possiede più dell’80% più povero.
Disuguaglianze economiche: il caso del Brasile
Un caso di scuola è quello del Sudamerica e in particolare del Brasile, prima economia dell’area e Paese da oltre 200 milioni di abitanti, di cui 70 milioni, secondo l’Onu, non hanno nemmeno l’accesso garantito al cibo. Secondo l’ultimo lavoro del professore brasiliano della Columbia University di New York, Marcelo Medeiros, dal titolo “Os ricos e os pobres: O Brasil e a desigualdade” (Companhia das Letras), nel gigante dell’America Latina la metà della crescita del Pil finisce nelle mani del 5% della popolazione più ricco. Ma ci sono altri dati ancora più significativi: in Brasile l’80% della popolazione ha un reddito considerato basso, e il 50% degli adulti del Paese guadagna meno di 14 mila reais all’anno, pari a meno di 3.000 euro. L’1% più ricco è invece un ristretto gruppo di 1,5 milioni di persone che guadagnano almeno l’equivalente di 70 mila euro l’anno: di questi, circa mezzo milione sono i milionari, che dal 2021 al 2022 sono raddoppiati facendo del Brasile, secondo il Global Wealth Report 2023 di Credit Suisse, il primo Paese al mondo per aumento di paperoni.
Brasile: la disuguaglianza è anche nelle tasse
L’economista Medeiros rileva poi che la disuguaglianza è presente non solo a livello di reddito ma anche di tassazione, sempre a sfavore delle fasce più basse: “I lavoratori dipendenti, ad esempio, tendono a pagare tasse più elevate rispetto ai professionisti o agli investitori indipendenti”. Come risolvere questa anomalia? Non è semplice, e non è detto che la tassa patrimoniale di cui si parla tanto anche in Europa sia la soluzione giusta. Per un motivo: il 10% più ricco è una fascia molto eterogenea, dove ci sono ultra-milionari ma anche persone di reddito medio-alto, solo di quattro volte superiore a quello del 50% meno abbiente. “La fascia del 10% più ricco – spiega ancora Medeiros – è quella con più disuguaglianza al suo interno, è un gruppo molto eterogeneo”. Ecco perché anche la tassazione di queste fortune, di livelli molto diversi fra loro, dovrebbe essere diversificata.
“È un problema incredibilmente difficile, richiederà molto tempo, mobiliterà un capitale politico mostruoso, perché, in fondo, non è possibile creare un Paese meno diseguale solo con un insieme isolato di fattori. È molto importante, prima di ogni cosa, insistere sulla progressività della tassazione, che va razionalizzata perché non si può mettere sullo stesso piano le persone nella fascia dell’1% più ricco con quelle nella fascia del 5% o con quelle nella fascia del 10%. Bisogna fare molto attenzione a questo”, ha suggerito il docente brasiliano presentando il suo libro.