La Capitol Hill brasiliana preoccupa i mercati, ma molto meno delle prossime mosse di Lula sull’economia. La Borsa di San Paolo infatti non ha registrato particolari sussulti nei giorni successivi all’assalto di Brasilia: la pronta risposta del governo ha consentito all’indice Ibovespa di navigare sopra la parità, trainato dal contesto internazionale favorevole, in particolare dai segnali di ripresa della Cina, alla cui economia il Brasile è legato a doppio filo, per via dello scambio di materie prime ma non solo. Certo, le tensioni andranno tenute sotto controllo, ma è l’agenda economica a interessare di più. Se infatti la Borsa ha retto al tentativo di golpe, non lo stesso si può dire riguardo all’insediamento di Lula, nel giorno di Capodanno: il 2 gennaio, l’indice Ibovespa ha perso il 3% in una sola seduta.
Brasile: Ibovespa teme lo stop alle privatizzazioni
I timori dei mercati sono relativi al rafforzamento del nuovo presidente dopo la pronta reazione agli atti terroristici. Lula adesso potrebbe capitalizzare l’ondata di consenso evitando misure impopolari ma necessarie alla tenuta finanziaria, come l’aumento delle tasse, e orientarsi più a sinistra, proponendo uno Stato più interventista nelle questioni economiche. Nel mirino degli investitori esteri, che pesano per oltre il 50% sugli scambi giornalieri in Borsa, ci sono soprattutto lo stop alle privatizzazioni avviate da Bolsonaro e la gestione del gioiello di famiglia, Petrobras, e in generale delle società partecipate, che vengono da un 2022 positivo anche se in netto rallentamento da quando, a fine ottobre, Lula ha vinto le elezioni. Un dato su tutti: dall’ultima settimana di ottobre, quella prima del secondo turno delle elezioni presidenziali, le società partecipate hanno bruciato in Borsa 227 miliardi di reais (al cambio attuale sono quasi 44 miliardi di euro), con la sola Petrobras che ha perso 190 miliardi di reais (36 miliardi di euro), seguita da Eletrobras con -27 miliardi.
Brasile: la Borsa guarda a Petrobras
Il caso Petrobras è centrale per vari motivi, ad incominciare da quello delle tensioni sociali: in campagna elettorale, l’ex presidente Bolsonaro aveva dopato il mercato tagliando alcune imposte per abbassare il prezzo dei carburanti, e Lula ha prudentemente prorogato la misura di due mesi, fino a fine febbraio, in attesa delle decisioni del nuovo presidente in pectore, il senatore Jean Paul Prates, che vanta 30 anni di esperienza nel settore energetico. Primo obiettivo, in scia a quanto successo a Brasilia (quel giorno alcuni fanatici hanno tentato anche di assediare le raffinerie di Petrobras nel Paese), è dunque evitare l’impennata della benzina ed esorcizzare così un nuovo sciopero selvaggio dei camionisti, che nel 2018 avevano bloccato il Paese, scatenando l’inflazione e causando un crollo del 10% della produzione industriale. Poi c’è la questione della cessione di alcune raffinerie, in seguito a un accordo siglato già nel 2019 con il Cade, una sorta di Autorità garante brasiliana, che rimproverò a Petrobras di agire in monopolio.
Brasile: in vendita 8 raffinerie ma Lula prende tempo
Per questo motivo, la nuova dirigenza dovrebbe vendere 8 delle 13 raffinerie in territorio brasiliano, scendendo a una quota di mercato di circa il 50%, ma il governo sta prendendo tempo. La tentazione di Lula e di Prates è infatti di modificare i termini dell’accordo col Cade, anche se questo probabilmente darebbe il via a un procedimento sanzionatorio pesantissimo. La strategia in ogni caso sarà quella di incentivare la produzione nazionale, tenendo conto dell’instabilità del mercato energetico internazionale, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Per evitare che la privatizzazione di alcune raffinerie provochi una nuova impennata dei prezzi, il nuovo governo starebbe anche valutando di investire il denaro ricavato dalla vendita in nuove attività petrolifere, in modo da aumentare la concorrenza sul mercato interno. Gli impianti della Petrobras, peraltro, fanno gola ai grandi fondi internazionali: quello di Mataripe, nella Bahia, che detiene il 14% del mercato brasiliano della raffinazione, è già stato venduto al fondo di investimento arabo Mudabala.
Privatizzazione raffinerie Petrobras: le strategie di Lula per contenere i prezzi
Sono dunque settimane caldissime queste, anche perché i vertici dovranno pure stabilire una politica dei prezzi. Oggi il Brasile è un grande esportatore di petrolio ma anche un grande importatore di prodotti finiti, compresi i carburanti. Attualmente le imposte sulle importazioni fanno riferimento agli standard internazionali, ma questo penalizza Petrobras e dunque si pensa ad un adeguamento a seconda dei prodotti importati e delle aree di destinazione. Per stabilizzare i prezzi il governo starebbe anche pensando ad una soluzione simile a quella adottata in Italia l’anno scorso, ovvero finanziare la compensazione con gli extra-profitti delle aziende, sacrificando dunque i dividendi. Oppure aumentando le imposte sul greggio esportato, ma questo renderebbe il Brasile meno competitivo in un mercato già parecchio turbolento. Su tutte queste ipotesi sta vigilando attentissimo l’occhio dei mercati, che inizialmente hanno premiato l’elezione di Lula, ma non c’è più (e non c’è mai stato) un clima da luna di miele. Prates ha provato a rassicurare dicendo che “i prezzi non li fa Petrobras ma il mercato”, e che “il governo farà solo piccoli aggiustamenti”.
Petrobras: meno dividendi e più investimenti
In particolare sotto la lente c’è proprio la questione dividendi. Petrobras storicamente ha una politica dei dividendi generosa: è arrivata a distribuire ai propri azionisti l’80% dei profitti, ma le cose potrebbero cambiare. Nell’esercizio chiuso a novembre 2022, il cda ha approvato la distribuzione di 44 miliardi di reais (8,5 miliardi di euro), in due tranche (la seconda viene versata proprio in questi giorni), ma il nuovo presidente Prates ha già fatto intendere di essere contrario a versare cedole esorbitanti da qui in avanti, preferendo concentrarsi sugli investimenti e concedendo ai soci solo il 25% dell’utile, che è la quota minima prevista per legge. I profitti nel biennio 2023-2024 sono previsti intorno ai 100 miliardi di reais l’anno, in drastico calo rispetto ai 183 miliardi dell’anno scorso. Nel piano industriale al 2027 sono annunciati investimenti per 85 miliardi nei prossimi due anni, a fronte di un flusso di cassa di 160 miliardi. Sui rimanenti 75 miliardi la nuova dirigenza dovrà sciogliere il dubbio: accontentare gli azionisti o investire?