La cura Lula funziona, o per lo meno piace molto ai mercati. A meno di un anno dal suo insediamento, il presidente brasiliano ha impresso una svolta su vari fronti. Innanzitutto, ha ribaltato il gioiello di famiglia, il colosso petrolifero Petrobras: nuovo ceo, Jean Paul Prates, nuova e meno generosa politica dei dividendi, per concentrarsi sugli investimenti – green ma non solo – e sulle strategie internazionali, ad incominciare dalla possibile apertura di una sede in Cina, dagli accordi con i fondi arabi e dal recente ingresso del Brasile nell’OPEP+, l’elite dei produttori di petrolio. Petrobras, infatti, era la società al mondo che più distribuiva dividendi ai propri azionisti, ma nonostante il ridimensionamento voluto da questo governo (taglio da 24,7 miliardi a meno di 15 miliardi di reais nel secondo trimestre di quest’anno), gli investitori hanno apprezzato. Sarà anche che Lula, in barba agli impegni internazionali sul clima, sta chiudendo un occhio sulle estrazioni di petrolio dalla foce del Rio delle Amazzoni, ma quest’anno l’azienda petrolifera, di cui il governo brasiliano è il primo azionista con quasi il 29% del capitale, ha guadagnato in Borsa il 70% sul titolo ordinario (PETR3) e quasi il 90% sulle azioni privilegiate (PETR4), favorita dall’aumento delle quotazioni del greggio e dal proprio record storico di materia prima esportata quest’anno, al ritmo – nella prima parte dell’anno – di 1,5 milioni di barili al giorno venduti all’estero.
Petrobas e le riforme del Fisco mettono le ali alla Borsa di San Paolo
L’exploit ha avuto un effetto positivo su tutto l’indice Bovespa di San Paolo, che sin qui nell’anno solare ha guadagnato il 20%, raggiungendo questa settimana il massimo di sempre sopra i 131.000 punti base. Secondo i calcoli dell’istituto Economatica, senza il rally di Petrobras la Borsa brasiliana avrebbe guadagnato poco più della metà di quanto ha fatto, all’incirca l’11%. A spingere il mercato è stata però negli ultimi giorni un’altra mossa fortemente voluta da Lula e fortemente attesa proprio dalla comunità finanziaria: la riforma del Fisco. Attesa da decenni, è stata messa a punto dal ministro dell’Economia Fernando Haddad in questi mesi, portando ad una semplificazione del sistema tributario e ricevendo immediatamente la promozione di Standard&Poor’s. L’agenzia di rating infatti ha alzato la valutazione sul debito sovrano del Brasile, che passa così da BB- a BB, con outlook stabile: sempre nella fascia speculativa dunque, ma più vicino al grado di investimento. Anche con Fitch e Moody’s il Paese sudamericano si posiziona a due soli gradini dall’avere una “solida capacità di ripagare il debito”, livello che non raggiungeva dal 2018, appena prima dell’insediamento di Jair Bolsonaro, sotto il cui mandato il rating era rimasto negativo.
Lula promosso a pieni voti
A meno di un anno dal suo insediamento Lula incassa dunque la piena promozione dei mercati, e allo stesso tempo prova a mantenere gli impegni con gli elettori e sul clima: il 78enne ex sindacalista, al terzo mandato da presidente del Brasile, ha rinforzato i sussidi sociali, ottenendo la riduzione del tasso di povertà che sotto Bolsonaro era esplosa al punto che oltre 70 milioni di brasiliani (quasi un terzo della popolazione) si erano ritrovati senza la certezza di reperire alimenti. Anche sul clima, sebbene le sue posizioni siano talvolta ambigue o cerchiobottiste, Lula ha fatto sì che il ritmo di disboscamento dell’Amazzonia sia notevolmente diminuito rispetto al suo predecessore. Non è ancora sufficiente, ma un segnale è stato mandato.