Condividi

Brasile, Bolsonaro perde pezzi: lascia il popolare ministro Moro

Il superministro della Giustizia, ex magistrato dell’operazione Lava Jato (la Mani Pulite brasiliana), che mandò in carcere il presidente Lula, ha rassegnato le dimissioni. La leadership di Bolsonaro traballa.

Brasile, Bolsonaro perde pezzi: lascia il popolare ministro Moro

A sorpresa Sergio Moro, il superministro della Giustizia ed eroe dell’operazione Lava Jato (la Mani Pulite verde-oro) ha rassegnato le dimissioni ieri mattina. Bolsonaro ha così perso un pezzo da novanta del governo. Che adesso, complici anche le difficoltà economiche e sanitarie imposte dalla pandemia di coronavirus, comincia a vacillare.

A far traboccare il vaso, secondo Moro, è stata la decisione del presidente brasiliano di sostituire il capo della Polizia Federale, Marcelo Valeixo, suo uomo di fiducia fin dai tempi in cui conduceva l’operazione Lava Jato che ha portato a pesanti condanne di politici e imprenditori, tra cui l’ex presidente Lula.

La conferenza stampa di addio del ministro della Giustizia non è stata un passaggio di consegne tranquillo. Moro ne ha approfittato per togliersi parecchi sassolini, anzi macigni, dalle scarpe a cominiciare dalla denuncia di pressioni e tentativi di Bolsonaro di interferire sull’operato delle forze dell’ordine. Pare infatti che il presidente tema per i guai giudiziari dei tre figli impegnati in politica.

Il senatore Flavio è indagato con l’accusa di appropriazione di fondi pubblici all’epoca in cui era deputato a Rio de Janeiro. Mentre il deputato di San Paolo Eduardo e il consigliere comunale di Rio Carlos sarebbero a capo del cosiddetto “gabinetto dell’odio”, una macchina di propaganda che diffonde fake news e attacchi sui social. La “bestia virtuale” è anche al centro di una commissione parlamentare d’inchiesta.

L’accusa più grave però è quella sorta questa settimana quando la Corte Suprema ha avviato un’indagine per capire chi ha organizzato le manifestazioni che hanno inneggiato al colpo di stato militare e che si sono tenute domenica scorsa a Brasilia. All’evento, svoltosi davanti ad una caserma dell’esercito, ha partecipato anche Bolsonaro, che ha perfino arringato la folla.

Il sospetto è che le minacce dirette alla democrazia – con la richiesta di chiusura del Congresso e della Corte Suprema – siano partite dal gruppo che fa capo a Carlos ed Eduardo. Le pene per il reato di attentato alla stato democratico arrivano a 15 anni di carcere.

Su Carlos pendono anche sospetti per un possibile collegamento, mai provato finora, nell’omicidio della consigliera comunale di Rio Marielle Franco, uccisa nel marzo 2018 a colpi di pistola mentre si trovava in auto. Una morte della quale non si sono ancora scoperti i mandanti.

Dopo l’addio di Moro, Bolsonaro si è detto “deluso e sorpreso” e ha negato pressioni sulle indagini e sulla polizia. Sta di fatto che le parole di Moro hanno fatto scattare un’ulteriore inchiesta della Corte Suprema sulle possibili ingerenze del presidente.

L’uscita di scena di Moro è il secondo addio pesante in pochi giorni dopo la cacciata del ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta, reo di difendere rigide misure di isolamento sociale contro il coronavirus. Bolsonaro invece, si sa, spinge affinché non si arresti l’economia del paese.

Sia Moro che Mandetta escono di scena con elevati indice di gradimento tra la popolazione, superiori a quelli di cui gode Bolsonaro. L’ex giudice era considerato uno dei gioielli dell’amministrazione Bolsonaro, insieme al ministro dell’Economia Paulo Guedes, che per ora rimane al suo posto.

Moro si è fatto amare e odiare, a seconda della visione politica, come giudice dal pugno duro che ha condannato pezzi grossi della politica brasiliana tra il 2014 e il 2018 e che ha mandato in carcere Lula, mettendolo fuori dall’ultima elezione presidenziale.

A fine 2018, dopo l’elezione di Bolsonaro, Moro è stato invitato ad occupare la carica di superministro della Giustizia e degli Interni. Sotto la sua gestione il Brasile ha registrato una significativa riduzione degli omicidi. Nel 2019 le vittime sono state 41 mila, un numero altissimo, ma il 19% in meno rispetto all’anno precedente.

Commenta