La fumata bianca sui progetti di fusione della Banca Popolare di Milano ancora non c’è, ma il numero uno della banca del capoluogo lombardo, Giuseppe Castagna, vuole stringere e punta ad arrivare ad un pre-accordo in poche settimane dopo che saranno arrivate le offerte formali dei potenziali partner e cioè del Banco Popolare e di Ubi. E’ questo il succo della riunione del board di Bpm di ieri.
Malgrado la partita delle alleanze resti aperta e non escluda colpi di scena nel finale, la rotta della Bpm, che mira ad un merger of equals, è chiara ed evidenzia una corsia preferenziale nei confronti del Banco Popolare per almeno tre ragioni:
1) perché i valori di Borsa sono abbastanza vicini e questo permette una fusione tra pari;
2) perché la sede principale della nuova banca resterebbe a Milano;
3) perché la governance che si prospetta affiderebbe a Castagna la guida gestionale della banca riservando al veronese Fratta Pasini la presidenza e all’ad scaligero Saviotti il ruolo di capo del comitato esecutivo.
C’è però il nodo dei crediti incagliati e delle sofferenze su cui non a caso è scattata ieri l’indagine della Bce che mette in allarme gli investitori delle banche italiane. Il Banco Popolare ha 14 miliardi di sofferenze contro i 3,7 crediti deteriorati di Bpm e questo rafforza il potere negoziale della Popolare milanese alla quale l’Ubi, che ha meno sofferenze dei veronesi e un valore di Borsa più alto, non ha però ancora rinunciato e forse deciderà meglio il da farsi dopo la missione a Francoforte dell’ad Victor Massiah.