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Bpm, Bper, Mps: il risiko delle banche anima Piazza Affari

Imagoeconomica

Pochi dati bastano ad illustrare il livello infimo delle quotazioni del settore bancario, fanalino di coda dei mercati europei. In Piazza Affari in media, le banche trattano 0,4 volte il patrimonio netto. All’inizio del millennio era abbastanza comune una valutazione pari a due volte i valori di libro ma non mancavano prezzi pari a 3-4 volte.

La fuga dal mondo del credito si spiega con la paura che la crisi abbia impattato sulla qualità dei crediti al punto tale da compromettere la solidità del patrimonio  degli istituti. Eppure il sistema di casa nostra in questi anni ha senz’altro fatto i compiti. Nel 2015, i crediti ad alto rischio rappresentavano il 17% sul totale contro il 5,7% europeo. Oggi siamo scesi al 6,8% mentre la media europea si attesta sul 2,9% circa. Ovvero il gap si è ridotto da tre a due volte.

Ma questo sforzo non è sufficiente ad attrare l’interesse degli investitori che continuano a disertare il settore, vuoi per i rischi comunque elevati, vuoi per la redditività modesta: il livello infimo dei tassi di interesse rende molto difficile far profitti come tra l’altro testimonia il basso ritorno del capitale (attorno al 3,8%, troppo poco per remunerare i soci in maniera adeguata).  Il tutto nonostante una politica di tagli severi del personale (da 360 a 280 mila addetto) ed un corrispondente taglio delle filiali. 

In questo quadro si inserisce il risiko del sistema, già avviato in Italia con l’opa di Intesa su Ubi, primo atto di un movimento necessario e probabilmente assai più rapido che per le operazioni passate che, il più delle volte, nascevano all’insegna dei salvataggi. Oggi, al contrario, prevale la logica industriale imposta dai costi del sistema di monitoraggio del rischio e di contabilità voluti dalle autorità che impongono investimenti che spesso neanche banche di media dimensione riescono a sostenere. Complice anche la performance stellare di Ubs nel terzo trimestre, è tutto il comparto bancario sotto i riflettori in Borsa martedì mattina.

A giudicare dall’andamento del mercato l’operazione più credibile e più prossima riguarda la fusione tra Banco Bpm (+3,8%) e la parte italiana del Crédit Agricole, già alleati nel credito al consumo in Agos. L’affaire, caldeggiato dall’ad di Bpm Giuseppe Castagna (“dopo Intesa- Ubi – ha detto- le banche delle nostre dimensioni sono troppo piccole”) potrebbe veder la luce nei primi mesi del 2021.L’unico possibile ostacolo è rappresentato dalla golden share prevista anche per il settore bancario. Ad una parte del sistema non va a genio una maggior presenza francese rafforzata dallo sbarco di Amundi, il colosso del gestito controllato dall’Agricole, in Anima holding.

L’altra mossa più gettonata riguarda la combinazione Unicredit-Monte Paschi. L’operazione avrebbe un forte senso industriale, non fosse che per ridurre il gap tra l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier rispetto ad Intesa. Ma gli ostacoli finanziari sono alti. Il matrimonio, come dice io stesso Mustier richiede un’alta dote, probabimente non meno di 4 miliardi a fronte dei problemi che ancora angosciano la banca tscana, non ultimi i costi legali delle varie cause.

Altre operazioni sembrano più lontane nel tempo. Molto dipenderà dall’evoluzione delle strategie di Mediobanca, piuttosto che dalle ambizioni di Bper (+7,9%), alle prese con l’integrazione degli sportellli ex Ubi. C’è grande effervescenza tra le possibili prede, da Banca Profilo a Creval. Anche Banca Mps, dopo la firma del Dpcm da parte del premier Conte che autorizza la cessione degli Npl ad Amco, scalda i motori per la privatizzazione e fa un balzo del 5,27% a Piazza Affari.

Ma già si annuncia una terza onda, ancor più spettacolare: la Bce ritiene che sia arrivata l’ora delle operazioni transfrontaliere. In questo caso unicredit sarà l’indiziata numero uno, ma Intesa non resterà indietro.

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