“La Bce ha fatto e sta facendo tutto quello che può: la mossa di Draghi non mi ha stupito nel merito, ma nella tempistica. Non ci aspettavamo avvenisse così presto, ma meglio così”. Al coro di consensi per il Bce-day, arrivato giusto alla vigilia del tradizionale workshop Ambrosetti in corso a Cernobbio, si aggiunge anche quello di uno dei tanti protagonisti del mondo finanziario presenti sul lago di Como: Giovanni Bossi, amministratore delegato di Banca Ifis, istituto del Nord-Est che fa del factoring e dell’interazione sui social network i suoi punti di forza, e che ha visto nel primo semestre l’utile netto crescere del 13,7% oltre i 50 milioni di euro, con la metà dell’attuale forza lavoro assunta proprio in questo periodo.
Bossi da banchiere navigato dà il suo personale punto di vista, che va al di là del taglio dei tassi. “Non vorrei dirlo ma indirettamente, secondo me, l’obiettivo della Bce, oltre che tagliare i tassi per permettere alle banche di far arrivare più denaro all’economia reale, è stato – non ufficialmente ma nelle intenzioni – quello di indebolire l’euro”. La moneta unica da quando Draghi ha parlato è in effetti scesa stabilmente sotto gli 1,30 dollari, ai minimi da oltre un anno e secondo molti, Roubini compreso, potrebbe avviarsi un trend discendente che la porterebbe fino a 1,20 dollari. “Il che realmente, e ancora prima di valutare gli effetti delle mosse delle banche, darà una spinta alla crescita. Per tre motivi”.
“Il primo – spiega Bossi – è noto: un euro debole rilancerà l’export di tutta l’eurozona, compreso quello tedesco che ha pure lui rallentato. Il secondo è che questo farà salire i prezzi dei beni importati, favorendo la produzione domestica. Il terzo è che una parte dei beni importati, come energia e commodities, è incomprimibile e viene denominata in dollari, dunque la sua importazione è di fatto un’importazione d’inflazione”. Inflazione che, con la deflazione alle porte, sarebbe un toccasana: “Il Pil reale, come purtroppo continua ad accadere in Italia, resterebbe fermo, ma quello nominale con un dollaro a 1,20 potrebbe salire del 2%, il che consentirebbe al debito pubblico quantomeno di non salire”.
Favorendo dunque investimenti e riforme, attualmente ostacolate dai vincoli di bilancio. Ma Bossi è un fan della tendenza inflattiva e guarda anche oltre: “Ipotizziamo uno scenario, improbabilissimo, di inflazione al 6%: in 3-4 anni il debito scenderebbe al 100-110% del Pil, il pareggio Btp-Bund sarebbe garantito e in 10 anni saremmo anche noi nella soglia del 60%”. Il target fissato dalla Bce è però al 2%: “Io dico che un target al 4% farebbe benissimo ai Paesi periferici, e proprio per questo la Germania dice no, perché significherebbe aiutare Paesi che, secondo gli standard attuali, non hanno fatto abbastanza sacrifici”.
E le banche, più volte rivitalizzate da Mario Draghi nel corso del suo mandato, che ruolo possono avere le rilancio della crescita? “I tassi abbassati sono un tecnicismo per spingere le banche a utilizzare il Tltro. Cosa che fino a poco fa poteva persino non convenire a una banca come la Ifis, ma al prossimo giro ci saremo anche noi”. La cosa più importante non sono dunque i tassi ma gli Abs: “Gli Abs non sono altro che il Qe in salsa europea: si parla di 1.000 miliardi di euro, una cifra non indifferente”.
Un grosso favore alla politica in difficoltà, dunque. “Ora tocca sicuramente alla politica – ammette Bossi -, le priorità sono quelle note da sempre: fisco, giustizia, lavoro. Mi pare che Renzi stia lavorando nella direzione giusta, al momento mi sento di promuoverlo. Ma sottolineo: al momento”.