X

Borsino degli artisti: Maria Lai, artista di matrice antropologica

A partire dagli anni cinquanta è a Roma, dove ha l’occasione di essere testimone di varie ricerche artistiche contemporanee, prima attraverso i contatti con l’Informale e poi, nel decennio successivo, assistendo all’emergere dell’Arte Povera e dell’Arte Concettuale. Anche da questi movimenti Maria Lai trarrà un interesse per la relazione con i materiali – sia organici sia legati a una civiltà preindustriale – e con il gesto inteso come processualità, filtrando queste suggestioni attraverso una sensibilità assolutamente individuale.
Nonostante gli anni sessanta siano un periodo di intense collaborazioni, Maria Lai sente emergere una sempre maggiore distanza dagli ambienti artistici e una più  profonda vicinanza con gli ambiti della letteratura e della poesia, attraverso la frequentazione di autori come Giuseppe Dessì, che ricopre un ruolo fondamentale nella formazione dell’artista, facendole riscoprire il valore delle leggende e della storia della Sardegna. Da questo momento la relazione con le tradizioni della sua terra diventa centrale nel lavoro dell’artista, in un impianto concettuale di matrice antropologica: accanto al disegno, infatti, la sua produzione si arricchisce di soggetti e di materiali vicini a una cultura millenaria e popolare, come nel caso delle sculture di pane, in sé un prodotto deperibile e povero, legato alla quotidianità e al lavoro femminile.
Nel  corso degli anni settanta l’artista realizza inoltre una serie di opere centrali per lo sviluppo del suo linguaggio: i cosiddetti “Telai”, opere in cui pittura e scultura si incontrano e nelle quali la tradizione millenaria della tessitura si apre a nuove potenzialità  compositive. La struttura stessa del telaio, i filati e la disposizione della trama e dell’ordito sono tutti elementi che l’artista interpreta e rielabora con assoluta libertaà compositiva, evocando così l’intimità  e la cura quotidiana di un mondo di gesti femminili, e producendo opere in cui astrazione e paesaggio, colore e materia, gesto e composizione si fondono tra loro. Per quanto i Telai siano opere tridimensionali raramente esse abbandonano la dimensione del quadro, come nel caso di Ricucire il mondo (2008), l’opera presente nella collezione del Madre: in questa, come in altre opere, la tecnica e gli strumenti della tessitura sono trasformati in un linguaggio formale che dialoga idealmente con le esperienze di artiste come Anni Albers, Louise Bourgeois e Greta Bratescu.
Le Geografie e i Libri sono le serie cui l’artista si dedica dalla fine degli anni settanta: nel caso delle prime il racconto è organizzato intorno ad ampie composizioni realizzate con stoffe e ricami che rappresentano pianeti, geografie e costellazioni immaginarie, mentre i Libri rappresentano uno degli aspetti più noti della produzione dell’artista (che, nel 1978, presenta l’ormai celeberrimo Libro Scalpo alla Biennale di Venezia), di cui l’opera La leggenda del Sardus Pater (1990), esposta nella collezione del Madre, è uno degli esemplari più importanti. Qui il legame tra tessitura, ricamo e scrittura diventa intenso e profondo, l’eco di una relazione antica che evoca gli albori della narrazione. In tutta l’opera di Maria Lai il gesto della tessitura diventa una meditazione condotta in solitudine, una riflessione intima sul senso della comunità, della storia e della tradizione, il tentativo poetico di ricostituire un legame tra un passato arcaico e un presente in cui la memoria e la sua trasmissione appaiono perdere valore. L’istanza comunitaria, relazionale e memoriale trova una summa negli interventi ambientali dell’artista, come in occasione di Legarsi alla montagna (Ulassai, 1981), opera-azione che univa letteralmente un’intera comunità attraverso esili fili colorati, commentando la quale il critico Filiberto Menna scrisse: “è stato l’intero paese a ricostruire una rete di relazioni legando casa a casa, porta a porta, finestra a finestra e soprattutto persona a persona […] qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto…”.

Maria Lai – Courtesy archivio dell’artista

Maria Lai  (Ulassai, 1919 – Cardedu 2013)

All’età di tre anni i genitori decidono di affidarla agli zii a causa della sua salute cagionevole, e Maria resterà con loro fino all’età di nove anni. Dopo un breve rientro a Ulassai, si trasferisce a Cagliari dove studia in Collegio con la sorella Giuliana. Nel 1932 si iscrive all’Istituto Magistrale, dove avrà come docente Salvatore Cambosu, con il quale instaurerà un profondo e duraturo rapporto di amicizia. Nel 1939 decide di stabilirsi a Roma per studiare al Liceo Artistico, dove segue le lezioni di Marino Mazzacurati. Nel 1943, a causa della guerra lascia Roma e si trasferisce a Venezia per frequentare l’Accademia di Belle Arti con Arturo Martini. Nel 1945 abbandona Venezia e dopo un breve periodo a Verona torna in Sardegna, a Cagliari, dove dall’anno successivo insegna all’Istituto Tecnico femminile fino al 1949. Espone diverse volte nel capoluogo sardo e nel 1957 alla Galleria L’Obelisco di Roma a cura di Marcello Venturoli. Fino al 1961 riceverà notevoli successi e riconoscimenti sia a Roma che in Sardegna. Poi, per circa dieci anni ci sarà una fase di silenzio: continua a vivere a Roma ma si rifiuta di esporre nonostante i continui stimoli di Marcello Venturoli, grande estimatore del suo lavoro. Nel 1971 torna a esporre i suoi telai nella Capitale, alla Galleria Schneider. Ricomincia così per l’artista sarda una fase molto prolifica della sua ricerca: espone in diversi musei e gallerie e alla Biennale di Venezia in una collettiva curata da Mirella Bentivoglio. Nel 1981 mete in scena a Ulassai “Legarsi alla montagna”, la performance collettiva con la quale si fa conoscere al grande pubblico. Nel 1982 realizza la Via Crucis per la chiesa di Ulassai e con Costantino Nivola, Guido Strazza e Luigi Veronesi il “Lavatoio di Ulassai”, che verrà completato nel 1989. Nel 1983 continua con gli interventi sul territorio a Orotelli con “L’alveare del poeta” , opera dedicata a Salvatore Cambosu e “La disfatta dei varani” a Camerino in provincia di Macereata. Fra il 1992 e il 1993 realizza a Ulassai “ La strada del rito”, “Le capre cucite” e “La scarpata”. Nel 1993 lascia definitivamente Roma e si stabilisce a Cardedu.  Nel 1995 inizia la sua collaborazione con la compagnia teatrale “Fueddu e Gestu” con la rappresentazione “Maria Pietra”. Dal 1999 al 2001 si dedica al progetto per il Museo dell’olio della Sabina a Castel Nuovo di Farfa. Dal 2002 realizza diversi interventi sul territorio di Ulassai : “I pensieri sull’arte”, “Il muro del groviglio” (2004) e “La casa delle inquietudini” (2005). Nel 2004 le viene conferita la laurea honoris causa in Lettere all’Università degli Studi di Cagliari per il tratto fortemente narrativo e concettuale della sua opera, che si realizza però con tecniche tradizionali, arcaiche. L’8 luglio 2006 viene inaugurato nei vecchi caseggiati dell’ex stazione di Ulassai il Museo di Arte Contemporanea, la Stazione dell’arte, con la donazione di circa 140 opere da parte dell’artista, fra le più significative del suo percorso. Del 2009 è “La cattura dell’ala di vento” al parco eolico di Ulassai. Nel 2011 vince il prestigioso “Premio Camera dei Deputati per il 150° dell’Unità d’Italia” con l’opera “Orme di leggi”. Nel 2012 partecipa con uno spazio tutto suo a Pulse “Fiera Internazionale d’arte Contemporanea” a Miami. Muore a Cardedu il 16 aprile del 2013.

Maria Lai
Il mare ha bisogno di fichi, 1996
stoffa e filo, 25,5×17,5×3,5cm,
foto: Pierluigi Dessì

Mercato

Per molto, troppo tempo, sottovalutato se non addirittura ignorato dal collezionismo italiano e internazionale, il raffinato lavoro di Maria Lai negli ultimi anni è stato finalmente “scoperto” dal mercato e le sue quotazioni  sono in forte ascesa. Un centinaio ad oggi i passaggi in asta (ma quasi tutti negli ultimi tre anni) con una percentuale di venduto superiore all’80% e un fatturato che nel 2017 ha superato i 20 mila euro. Ma già nei primi mesi del 2018 le cifre sono radicalmente cambiate anche grazie all’ottimo lavoro che stanno  svolgendo le sue gallerie di riferimento e  l’Archivio Maria Lai presieduto dalla nipote dell’artista Maria Sofia Pisu e sostenuto da Magazzino Italian Art di New York.  I primi passaggi in asta dell’anno in corso evidenziano infatti quotazioni che partono intorno ai 10/20 mila euro fino a superare i 100 mila euro.

Maria Lai
Paesaggio al vento, 1977
collage si stoffe e filo, 81x102x3cm
foto: Pierluigi Dessì

Le sue opere sono entrate in importanti musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero: dal Moma di New York al Centro Georges Pompidou di Parigi, dal Mart di Rovereto alla Galleria Nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma. Dalla sua scomparsa si moltiplicano i riconoscimenti alla singolare ricerca artistica di Maria Lai da parte di istituzioni italiane e internazionali. Nel 2013 e nel 2017 i suoi lavori vengono esposti alla Biennale di Venezia (a quasi quarant’anni dalla sua prima partecipazione). Sempre nel 2017 è la volta della prestigiosa partecipazione a Documenta Kassel. E via di questo passo con personali al Man di Nuoro, al Musma di Matera e a Palazzo Pitti di Firenze.

Maria Lai
La leggenda del Sardus Pater, 1990
Collezione privata, Monza.

Gallerie: Nuovo Morone e M77 di Milano e Studio Miscetti di Roma. All’estro i lavori di Maria Lai vengono trattati da Marianne Boesky di New York.

Prezzi: I libri con cuciture, se di carta, quotano dai 15 ai 30 mila euro, mentre per quelli in stoffa la richiesta varia dai 50 agli 80 mila euro. Le “geografie” su tela hanno un costo compreso tra 50 e 200 mila euro a seconda delle dimensioni. Per i disegni degli anni ’40 e  ’50 è richiesto un investimento intorno ai 50 mila euro. Particolarmente ricercati dai collezionisti i “Telai” degli anni ’60, molto rari e per i quali le gallerie arrivano a chiedere fino a 300/400 mila euro.

Top Price in asta: “Geografia n.2” del1983, Tecnica mista (couture & fil)/toile non entoilée, 147 x 157 cm. è passata di mano per 104.400 euro (diritti compresi) allo Studio d’Arte Borromeo di Milano nell’aprile 208

“Diario di Renato” 2007, Tecnica mista (lenzuolo cucito, ricamo e filo nero/tela applicata/tavola), 86,5 x 185 cm. è stata battuta a 32.500 euro presso Minerva Auctions di Roma nel novembre 2015

 

Related Post
Categories: Arte