La ripetitività del gesto, fino alla noia, per molti artisti è un valore. Non per Gianfranco Pardi, artista fuori dal coro per eccellenza, migrante perenne ma profondamente coerente a uno stile personale, chiaro e inequivocabile, che ha caratterizzato tutta la sua opera, dai “Giardini Pensili” di fine anni Sessanta, ai lavori più recenti. Colto, irrequieto, curioso, mai banale. Sempre alla ricerca di nuove tecniche e nuovi linguaggi per rappresentare la sua passione visionaria. Le opere che per prime emergono all’attenzione della critica e del collezionismo sono le sue Architetture, dove è la pittura a tracciare la superficie attraverso metodologie costruttive che la matericità avvicina alla scultura.
La ricerca di Pardi, sin dagli inizi, si propone coma una continua indagine sullo spazio e la sua rappresentazione. Attraverso una rigorosa pianificazione, l’artista integra le tecniche di pittura, disegno e scultura per rivelare le dinamiche e le relazioni tra forma e materia. Questo processo è uno dei fondamenti della sua opera, così come gli studi di architettura che lo conducono a una rilettura delle avanguardie storiche quali l’Astrattismo, il Suprematismo, il Costruttivismo.
Nel 1967 Pardi inizia la sua collaborazione con lo Studio Marconi di Milano, e per i dieci anni successivi le sue riflessioni sull’architettura sono predominanti. Giardino pensile del 1968 è un lavoro emblematico in questo senso: “l’artista – scrive il critico Bruno Cora presentando un’ampia antologica messa in scena in contemporanea all’inizio del 2018 dalle gallerie Cortesi e Marconi che ha attraversato in modo esauriente tutte le fasi della ricerca di Pardi – ci offre la visione di un luogo che può essere reale ma allo stesso tempo immaginario, nel quale si fondono strutture architettoniche e spunti naturalistici, particolari reali e pittorici”.
Nei primi anni Settanta si concentra sulla serie Architettura. In aggiunta al colore, fanno la loro comparsa sulla tela cavi e superfici di metallo: l’artista segna e supera i confini tra pittura e scultura. Sistema del 1976, con la sua complessa struttura di pentagono inscritto in un cerchio e diviso in tre parti – un rilievo in legno, una tela che rivela le tracce della costruzione geometrica e una scultura che segue la forma del pentagono- si configura, nelle intenzioni dell’artista, come l’analisi di un sistema che mette in relazione pittura, disegno e scultura.
Ai primi anni Ottanta appartengono le serie delle Diagonali, linee rette, il cui ritmo serrato oscilla tra il bianco e il nero, alla ricerca di nuovi montaggi e movimenti. Seguono le Piante e gli Absidi e i cicli intitolati Cinema e Body Building. Negli anni Novanta figurano le serie delle Maschere e della Montagna Sainte Victoire, chiaro riferimento a Cézanne e riflessione totale sulla pittura. Vi sono poi la serie dei Nagjma, che in arabo vuol dire “stella”, nata dai lunghi soggiorni dell’artista a Tangeri, in una sorta di rievocazione del viaggio verso sud vissuto da Paul Klee o Henri Matisse; e i Box realizzati con scatole di cartone, in cui crescente è l’interesse di Pardi per la pittura, pur sempre con elementi geometrici e riferimenti architettonici. Concludono il percorso i più recenti Senza titolo del 2011, una serie di acrilici su tela in cui la gamma cromatica ridotta a pochi toni, bianchi, neri e grigi, sembra voler richiamare la pittura a fresco. “Pardi ha introdotto una serie di forme, modalità, tracciamenti e materiali che mai prima avevano avuto cittadinanza sulla tela», sottolinea Bruno Corà.
Gianfranco Pardi (Milano 1933-2012)
Uscito indenne da qualsiasi omologazione in un periodo (gli anni Settanta) nel quale l’appartenenza a un “gruppo” – teorizzata e lungamente predicata da un dominus come Giulio Carlo Argan e dalla nutrita schiera dei suoi discepoli – pareva essere un vincolo irrinunciabile per entrare a far parte a pieno titolo del Sistema dell’arte, Pardi – ricorda il critico Massimo Mattioli – è rimasto fedele (fino alla fine) al suo credo rifiutandosi di entrare a far parte del “coro”. Come altri artisti, pochi in verità – alla proiezione sociale della sua opera ha sempre preferito il rigore e la libertà della ricerca, che non appaltò a messaggi condivisi da offrire in pasto al mercato né a critici ambiziosi da assecondare.
Sin dall’inizio la sua ricerca è impostata sullo spazio e sulla progettualità costruttiva che dà vita ad opere di grande rigore formale, caratterizzate dall’integrazione di disegno, pittura e scultura in una dimensione spaziale di respiro architettonico. Nel 1959 si tiene la sua prima personale a Brescia, alla Galleria Alberti, mentre l’anno seguente è ospitato dalla Galleria Colonna di Milano. Durante gli anni Sessanta sviluppa uno stile che integra il disegno, la pittura, la scultura e l’architettura. Del 1965 è la sua partecipazione alla mostra collettiva La figuration narrative dans l’art contemporain a Parigi. Nel 1967 comincia la sua collaborazione con lo Studio Marconi di Milano e si dedica alla realizzazione di opere che sono una rilettura delle avanguardie storiche come l’Astrattismo, il Suprematismo, il Costruttivismo e il Neoplasticismo. Negli anni Settanta sviluppa nelle sue Architetture la volontà di costruire e fondare uno spazio attraverso la pittura, poiché ritiene che tale mezzo espressivo possa produrre immediatamente l’idea. Nel 1974, e in seguito nel 1993, partecipa alla XXVII Biennale del Palazzo della Permanente a Milano. Nel 1981 è all’interno di due importanti mostre collettive come Linee della ricerca artistica in Italia 1960/1980, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, e Il luogo della forma, al Museo di Castelvecchio di Verona. Nel 1986 partecipa alla Biennale di Venezia con una sala personale; nello stesso anno è presente alla Triennale di Milano e alla Quadriennale di Roma. Nel 1998 Palazzo Reale di Milano ospita una sua personale. Nel 1999 è in Germania con tre importanti esposizioni in istituzioni pubbliche. Oltre allo storico sodalizio con la Galleria Giorgio Marconi e soprattutto con gli artisti della sua scuderia, a cominciare dal suo grande amico Emilio Tadini, più recentemente un ruolo importante nella promozione e sviluppo del lavoro di Pardi lo ha svolto la Galleria Fumagalli di Bergamo. Intensa anche l’attività di Pardi scultore: un esempio per tutti “Danza” in pazza Amendola a Milano. I suoi lavori si trovano in numerosi spazi pubblici e privati in Italia e all’estero: dal Museo del Novecento alle Gallerie d’Italia a Milano, al Mart di Rovereto alla Galleria Nazionale di Roma alla Gnam di Torino. Membro dell’Accademia Nazionale di San Luca dal 2008, muore il 2 febbraio del 2012 nella sua casa studio di Milano all’eta di 78 anni. Nell’ottobre 2013 si costituisce l’Associazione Culturale Gianfranco Pardi in memoria dell’artista con l’intento di promuoverne e divulgarne la conoscenza e la figura.
Il Mercato
Verso la metà del 2013, anche grazie all’ottimo lavoro svolto dalle sue gallerie di riferimento (Cortesi e Marconi di Milano) le quotazioni delle opere di Gianfranco Pardi hanno iniziato una progressiva e costante ascesa. I lavori sono battuti nelle principali aste internazionali (ad oggi oltre 350 di diverse tipologie sono andati all’incanto), con una percentuale di venduto che supera il 70% e con un fatturato che nel 2017 ha sfiorato i 200 mila euro.
Gallerie: Marconi di Milano e Cortesi Gallery con sedi a Milano, Lugano e Londra. A Parigi i suoi lavori sono trattati da Galerie Balice Hertling.
Prezzi: per i lavori recenti si va da ottomila euro per i formati di medie dimensioni (100×80 cm.) fino a oltre 20mila. Le sculture partono intorno a 15mila euro e possono superare i 100mila per le grandi dimensioni. Molto ricercati dai collezionisti i “Giardini Pensili”degli anni ’60 inizi ’70 e le Architetture degli anni ’70 (sempre più rare) acquistate a più del doppio del valore delle opere recenti. Recentemente l’attenzione del mercato si sta spostando anche sui lavori degli anni ’80, in particolare sulle “Diagonali”.
Top price in asta: “Architetture”, tecnica mista 150×150 cm del 1975, è passata di mano a 40mila euro (diritti compresi) alla Casa d’aste Il Ponte di Milano a dicembre 2016. Nell’aprile dell’anno successivo, da Christie’s a Milano, “Giardino Pensile” del 1969, acrilico su alluminio 160×200 cm ha sfiorato i 50 mila euro (diritti compresi) triplicando il valore delle stime.