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Borsino degli artisti: Aldo Mondino, il gusto del paradosso

In ogni suo lavoro, con ogni suo gesto, così come nelle sue fantastiche rappresentazioni, durante tutto il suo quarantennale percorso artistico, Aldo Mondino (Torino, 1938 – 2005)  è sempre riuscito a spiazzarci. “È un gioco complesso il suo – scriveva il critico Alberto Fiz nel saggio del 2002 “Il Paradosso della pittura” –  dove le convenzioni dell’arte sono messe continuamente in crisi. […] L’artista si interroga sul significato recondito dell’immagine cogliendone la natura inconscia, senza rinunciare a una rappresentazione autenticamente decorativa in base a quell’idea che di decorazione aveva Henry Matisse e che spesso la pittura occidentale ha negato. Nessuna deroga nei confronti delle mode, nessuna tentazione concettuale, nessuna necessità di aderire ad un modello estetico, bensì percorso mentale che passa attraverso tela, pennelli e linoleum. […] Ma è bene non dimenticare l’elemento di fondo che sta alla base di tutta la ricerca di Mondino: il paradosso. […] Tutto slitta in una dimensione altra, tesa a cogliere l’aspetto molteplice dell’immagine secondo il percorso aperto dal dadaismo e dal surrealismo”.

Aldo Mondino
Tappeti stesi 1989
acrylic on compressed chipboard in two part (250 x 100cm.)
Courtesy Christie’s London

Mondino è stato indubbiamente uno dei massimi rappresentanti dell’arte italiana del dopoguerra. Ma il suo appartenere allo scenario artistico di quegli anni – scrive Guendalina Belli presentando un mostra alla Galleria Colossi di Brescia nel 2008 – si presenta come un’assoluta ed incontrollabile, inseausta eterodossia di linguaggio, che rifiuta di aderire ai dogmi di qualsiasi corrente artistica coeva. Sia quelli dell’Arte Povera, del Minimalismo e dell’arte cinetica-prgogrammata che da quelli delle Neoavanguardie (Nouveau Réalisme, New Dada e Pop) per elaborare un linguaggio artistico inedito che si esprime, nel corso degli anni, in svariati ambiti: dalla pittura all’installazione, dalle sculture di Caramelle (1968), al mosaico, realizzato con cioccolatini Peyrano prodotti a Torino, per arrivare ad utilizzare i materiali più eterogenei, come i ritratti di Giorgio De Chirico o il Muro del Pianto in zucchero, la Torre di Babele dipinta da Bruegel, ma realizzata con confezioni di torrone nel 1968 all’Arco d’Alibert di Roma, il linoleum, l’eraclite, ma anche la ceramica, il vetro, il marmo e il bronzo (Viola d’Amore, Lobby Star degli anni ’80) in evidente controtendenza rispetto ai materiali utilizzati nell’arte povera. Mondino era un cittadino del mondo, un dandy contemporaneo irriverente (è apparso sulla copertina di Vogue in giacca da camera di velluto), nelle scelte artistiche come nella vita. Il suo animo era più incline ad assorbire, invece dell’influsso dell’astro nascente della Pop Art Newyorkese, le suggestioni della Ville Lumière, dove Braque e Picasso hanno dato origine al cubismo e sede delle esposizioni dei surrealisti Magritte e Masson, durante il primo viaggio a Parigi (1959-1961) così come di un orizzonte di suggestioni culturali che si espande dalle coste del Mediterraneo all’India.

Aldo Mondino, Turcata, 2000 olio su linoleum, cm 60×80 collezione privata

Già nel 1959 si trasferisce a Parigi, alla ricerca di nuovi stimoli, stanco degli esiti manieristi dell’ultima pittura informale, dove frequenta i corsi di Heyter all’Astelier 17 e all’École du Louvre, oltre al corso di mosaico all’accademia con Severini e il suo assistente Licata come maestri. La sua prima fonte di ispirazione è Matta, per la commistione tra astrazione e suggestioni fantascientifiche che lo portano a realizzare opere di ispirazione surrealista, esposte, in seguito alla Galleria L’Immagine dell’amico Antonio Carena; al suo rientro in Italia, nel 1961, Enrico Crispolti presenta le sue Tavole anatomiche, corpi distorti da surreali operazioni chirurgiche, dipinti su masonite, in occasione di una personale alla Galleria Il Punto diretta da Gian Enzo Sperone nel 1963. Diretta evoluzione di questi lavori e primo distacco (solo estetico) dal surrealismo sono le Quadrettature. Nel 1964 espone da Sperone quelle che rielaborano l’immagine emblematica della Maternità con le uova di Casorati appropriandosene con un riblatamentosemantico nel titolo Non calpestar le uova!, e, in seguito, quelle con altri soggetti alla Galleria La Salita di Roma (L’Aeroplano, Il Pittore in erba, Il Serpente, Il Portiere). Le Quadrettature sono una regressione al livello infantile della pittura da manuale da disegno, una riflessione sardonica e ludica a livello concettuale sui suoi strumenti e sulla costruzione estetica del soggetto, già in chiave postmoderna, anarchica, ma senza la furia nichilista e iconocalsta delle avanguardie dei mezzi tradizionali dell’arte, pittura e scultura, ai quali è sempre stato legato. L’ironia, il calembour, il paradosso semantico condotto a livello verbale fanno di Mondino un degno erede dell’Academie du Dérisoire, così come del Magritte delle gabbie linguistiche e delle sfasature logiche; l’artista torinese trasforma l’arte in una sorta di “parodia giocosa di se stessa”, tra rappresentazione e gioco linguistico che ne ribalta il significato, un doppio-gioco, anche sulla duplicità dell’immagine, che ricorda quella dell’amico Boetti, al quale ha dedicato una serie di opere. Un doppio gioco che, mantenendo il segno pittorico come soggetto-oggetto della rappresentazione, viene ripreso, abbandonando la fredezzaconcettuale delle Quadrettature, alla fine degli anni Sessanta-inizio anni Settanta, nella serie delle Bilance, delleCadute e dei Palloncini, esposte alla Galleria Stein di Torino nel 1965. Lo scopo è trasformare la pittura in un’esperienza fisica, utilizzando la pittura come un materiale primario, come fosse il legno, il neon, la paglia o i pellami dell’Arte Povera coeva. Nelle Bilance un’apparente stabilità astratto geometrica viene disturbata da una pennellata. Nelle Cadute, la pittura non attacca sul quadrato di plastica applicato dall’artista sulla tela, sulla quale il colore scivola, come si sfalda verso il basso l’impostazione geometrica dei quadrati nei quadrati di Clyfford Still trasmutandosi in una scalinata tridimensionale (Scala, 1966) o come l’impianto coloristico di Joseph Albers viene ribaltato in alcune parti (Still life, 1965-1966). Altre volte Mondino “può” ribaltare il rettangolo di plastica che applica, dove il segno pittorico non attacca, in una composizione coloristica di segni che ripropongono (specularmente, nel costante “gioco del doppio”) la stessa forma (Può,1968). I Palloncini invece trascinano gli elementi pittorici verso l’alto, in un’altra dimensione, alternativa allo spazio tradizionale dell’inquadramento visivo della tela.

Aldo Mondino
Lave nere di Milo, 2003
mosaico su supporto sintetico flessibile (pietre, smalti e oro) 100 × 150 cm
Collezione privata

Questo lo porta a riflettere anche sulla limitatezza del campo visuale offerto dalla prosepttiva rinascimentale, dove il punto di vista era posto all’altezza dello sguardo, 160 cm da terra, la stessa raggiunta dal livello dell’acqua dell’Arno durante l’alluvione di Firenze, la stessa alla quale l’artista pone il filo rosso che attraversa le strade di Torino, collegando la galleria di Sperone, la Galleria Stein e Il Punto a Torino, nell’installazione del 1966; la stessa altezza al di sotto della quale le 900 lampadine dei raggi disposti su parete del Sole della Galleria Stein (1967) e dell’Immersore(1967) della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, sono spente, a dimostrazione della cecità e della ristrettezza dei paradigmi con i quali viene ricostruita la realtà su una superficie bidimensionale. Come sostiene Alberto Fiz: “L’arte è un’allucinazione che ha le sembianze del vero, un riflesso ottico che contempla la finzione come sua essenza”. Ecco allora che l’iconografia della Torre di Babele di Bruegel può essere ricreata con un dolce quotidiano come il torrone e riportata ad una “dimensione casalinga”; la mappa geografica del corso del Danubio dalla Foresta Nera al mare può essere ricostruita con un mosaico di cioccolatini Peyrano dalle carte di infinite sfumature cromatiche (Danaublau, 2000, non a caso esposto nel 2001 alla Galleria Linding di Norimberga e, nel 2003, in occasione di un’importante retrospettiva al Mar di Ravenna, Aldologica), così come i monumenti bizantini (The Byzantine World, 1999, esposto da Gian Enzo Sperone, a New York), i toreri e altre opere esposte a Mediterranea e alla Gallerie Artscope di Bruxelles.

Aldo Mondino.
Qui c’est moi. Chocolate mosaic. 1999.
Mosaico di cioccolatini 100×82×4 cm.
Collezione privata

La componente aleatoria ed effimera dell’opera d’arte di Mondino supera l’aspetto illusorio delle forme della rappresentazione, ci costringe ad interrogarci sul significato recondito dell’immagine in un percorso di ricerca dove le convenzioni dell’arte sono continuamente messe in discussione tramite abbagli visivi e prospettive ottiche negate che insidiano “l’aura” dell’opera d’arte eterna: le tessere delsuo nuovo mosaico non sono di marmo o bronzo come quelli dei mosaici bizantini, ma son cioccolatini, zollette di zucchero, chicchi di caffè.

Ecco allora che, dopo il soggiorno romano nella casa sopra la Fontana di Trevi che lo porta a realizzare la serie dei King(1969) e a chiudere l’esperienza avanguardista esponendo i suoi pesci attorniati da vero sangue all’Arco d’Alibert di Roma, in occasione della mostra Ittiodromo (1969), nel clima più rilassante della Liguria, nascono i Falsi Collagesdel 1973; questi sono omaggi al cubismo storico di Gris, Braque e Picasso, composizioni di quadrati di colore dipinti su tela e apparentemente applicati ad essa con materiche pennellate di colore, che già contenevano accenni agli spartiti delle composizioni musicali del 1975-1976. Gli strumenti nascono dall’osservazione dei grandi maestri nei musei durante il secondo prolungato soggiorno parigino (1972-1980) e dall’idea di ricomporre ciò che il cubismo aveva spezzato in attesa di un nuovo, rinnovato ordine. Alla Biennale di Venezia del 1976, espone Les quatre quatour à cordes, nati da un parallelismo filologico tra la sua pittura e le composizioni di Schönberg. Si tratta sempre di una discrasia della visione che ci porta a distanziarci dalla rappresentazione delle cose del mondo dove i visi possono essere delineati dallo zucchero, dove la carta del cioccolato rammenta i bagliori bronzei del mosaico, così come la plastica trasparente delle bic poste nel lampadario JugenStilo, esposto per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1993, rammenta le luccicanti decorazioni dello Jugendstildei primi del Novecento, in un lapsus visivo perenne.

Durante il soggiorno parigino, studiando il soggetto della Tour Eiffel, Mondino scopre che può dipingere scomponendo a tratti il soggetto, intervenendo con pennellate di colore chiaro su uno strato di colore scuro che viene sottratto, con una tecnica che ricorda i tratti decisi dell’incisione espressionista tedesca, di Kirchner. Nasce così la serie delle Tour Eiffel rivisitate in chiave costruttivista come una sorta di torre di Tatlin, esposte al Musée d’Art Moderne di Parigi nel 1977 in occasione della mostra Mythologies quotidiennes alla quale segue la serie dei boschi di alberi spezzati in cima, Wood-cut (1980), realizzati sempre con una tecnica che ricorda la xilografia (in inglese woodcut), così come la serie della mani che applaudono (Applausi), esposta allo Studio De Ambrogi di Milano nel 1981, la serie degli Angeli (esposta sempre a Milano nel 1983), il grande mare rosa increspato di onde nere (Sonnenuntergang, 1980) e la serie dedicata ai pi grandi naugragi della storia (Longship, 1980). In questo perpetuato inganno della visione, dove il linguaggio pittorico cita quello dell’incisione come parodia, mondino si sente “libero di inventare” (nuove forme, come sostiene Fiz) senza fare uso del citazionismo tanto amato dai coevi Transavanguardia in Italia e dal Neoespressionismo in Germania.

Risale ai primi anni Ottanta quindi la scoperta di un nuovo media come supporto, il linoleum, con il quale aprire un libero dialogo, una continua interferenza tra il gesto pittorico e lo stampato industriale che funge da supporto attivo determinando l’appiattimento della campitura di colore ed integrando l’immagine di nuova vitalità coloristica. Così la pittura di Mondino, policentrica e ambigua, vive di contaminazioni tra gli elementi visuali e linguistici, oltre che estetici e creati dall’interferenza tra due medium espressivi diversi; basti pensare ai Tappeti stesi della fine degli anni ’80 che ricreano, mediante la pittura, le trame dei tappeti orientali, trovati passeggiando per caso in un Souk di Tangeri, su un truciolato ignifugo usato nell’industria, l’eraclite o tamburato, in un un’iniedito sposalizio di tecnica e materiale. Come avevano già fatto i pittori ottocenteschi, anche Mondino, come Delacroix, si apre alle suggestioni del mondo orientale, con il primo viaggio in Marocco, nella seconda metà degli anni ’80. L’ultimo quadro dipinto prima di lasciare Milano ed andare in Marocco aveva un soggetto bucolico, Millet et une nuit, un gregge blu dipinto a olio su fondo oro, una citazione del realismo ottocentesco spiritualista dei contadini oranti di Millet, ma ammantato di suggestioni orientali, come suggerisce il titolo, il solito calembour che richiama la favola delle Mille e una Notte.

Negli anni ’90, il suo viaggiare lo porta ad espandere il suo panorama culturale dai paesi del Nord Africa, come il Marocco, dove si innamora dalla colorita varietà di colori e profumi dei souk e dei loro mercanti, più volte dipinti ad olio su linoleum nei loro colorismi sfavillanti, dalla Palestina, dove ritrova le fondamenta religiose delle sue origini ebraiche e un parallelismo tra l’intensità della preghiera e il dipingere in modo concettuale, ironizzando con i consueti paradossi sulla tradizione della Schekitah con macchie rosse di sangue e sulle regole alimentari e i motti (MazelTov) della tradizione ebraica.

Durante il viaggio in Turchia si innamora della danza roteante dei dervisci a Konya, ai quali dedica numerose serie di lavori, caratterizzati da vesti bianche su sfondi in linoleum dai colori vivaci. Entrando in estasi i Derviscipregano. Dipingere la loro danza è come pregare attraverso la pittura, esattamente come i musicisti nordafricani della confraternita dei Gnawa incontrati ad El-Fnaa i danzatori equilibristi della Danse des Jarres, con le loro giare impilate in bilico sulla testa rappresentano metaforicamente “un prolungamento della colonna vertebrale, una sorta di incontro con i dinosauri, oppure un baricentro dell’uomo verso la testa”, come affermava Mondino, alla costante ricerca di una prospettiva trasversale per interpretare il mondo in nuove culture.

In queste serie di lavori che li rappresentano, Mondino da vita ad una composizione dinamica di forme dai quali emergono il bianco delle vesti dei dervisci o la varietà dei copricapo dei Gnawa.

La Turchia è anche fonte di ispirazione per i ritratti di 36 sultani vissuti tra il 1200 e il 1920 ed esposti da Sperone Westwater a New York nel 1990 e al Museo Topkapi di Istanbul, mentre i veri Dervisci danzanti vengono presentati alla Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva. Dalla sua collezione di manoscritti autografi di scrittori, musicisti e pittori, nasce l’idea dei ritratti (Delacroix, Ingres, Satie, Mozart), realizzati con soluzioni quasi monocrome, come i busti. Alla fine degli anni ’90, si susseguono le mostre presso la Fondazione Mudima di Milano, Chicago, Ginevra, Parigi, Vienna e Londra.

Passando da Essaouria a Gerusalemme, dai sultani agli ebrei ortodossi, il viaggio di Mondino tra esotismo e memoria, sovrappone gli elementi compositivi dell’immagine, complice la linea pittorica decisa e marcata in un calembour visivo senza limiti, né confini ideologici e temporali, in perenne sommovimento, sempre pronto ad assorbire nuove suggestioni e ibridazioni; pensiamo a quando si è aperto alla scultura realizzando Iniziazione, ideata nel 1969, in occasione della mostra Ittiodromo (ma ripresa come scutlura nel 1988 e in seguito), il pesce del Libro dei Morti egiziano che cammina sugli arti dell’uomo di Giacometti, il Torso Torsolo, un busto di trecento kg, il ritratto di Duchamp, la Mamma di Boccioni con due palle da bowling al posto dei seni. Nel 2000 un viaggio in India, a Calcutta e Benares lo porta a rimanere affascinato dal mercato dei fiori con i suoi mercanti, soggetti delle opere Flovers esposte alla Birla Academy di Calcutta. Nel 2003 saranno i mercanti della Cappadocia, nell’amata Istanbul, ad essere al centro della Galleria di Mercanti che vengono la stessa merce da lui utilizzata come materia pittorica: tappeti in eraclite, pesci, cioccolatini per arrivare al Messico e alla passione per la tradizione spagnola della corrida da dove trae l’immagine epica del torero come “metafora dell’artista, l’uomo che sa dominare la paura con gesti di grande bellezza”, immortalato in una famosa serie di ceramiche, la Tauromachia. (Guendalina Belli)

Aldo Mondino muore a Torino, il 10 marzo del 2005.

Mondino Aldo,
Pinguini, 1963
Tecnica mista su carta
Courtesy galleria il Ponte

Attività espositiva

L’incontro con Gian Enzo Sperone, direttore della Galleria Il Punto, risulta fondamentale per la sua carriera artistica, con l’esposizione delle Tavole anatomiche, serie caratterizzata da tavole su masonite. Importanti personali vengono presentate anche presso la Galleria Stein di Torino, lo Studio Marconi di Milano, la Galleria La Salita di Roma, la Galleria Paludetto di Torino. Risale al soggiorno a Roma la collettiva all’ Arco d’Alibert, nel 1968, poi alla Galleria Torre di Torino. Nel 1969, sempre presso l’ Arco d’Alibert, con l’ Ittiodromo mostra dei pesci veri con sangue. La sua opera Porcòdio, presentata a Roma dopo essere stata esposta in una galleria di Brescia, viene sequestrata e Mondino viene condannato a pagare una multa per blasfemia. Nel 1972 ritorna a Parigi, in attesa che la sua pittura venga rivalutata. Mondino lavora a Parigi dalla fine del 1973 a tutto il 1980; questo impegno si concretizza nella partecipazione alla Biennale di Venezia del 1976. È del 1977 la mostra Mythologies quotidiennes al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. La serie delle Tour Eiffel, sempre nel periodo parigino, con titoli come Le Tout Près War, è realizzata prevalentemente con la tecnica dell’incisione. Nel 1980 realizza due mostre alla Galleria La Salita di Roma e alla Galerie Flinker di Parigi. Nel 1981 e nel 1983 realizza due personali allo Studio De Ambrogi di Milano. Tra 1984 e il 1985, da Franz Paludetto, realizza due mostre. Si avvicina alle suggestioni orientali da artista occidentale, così come avevano fatto i pittori del XIX secolo, ad esempio Eugène Delacroix. Affascinato dalla cultura orientale, presenta nel 1990 da Sperone Westwater a New York una serie che “ritrae” trentasei sultani tutti vissuti tra il 1200 e il 1920. Seguono, tra le altre, la mostra alla Fondazione Mudima di Milano, a Chicago, Ginevra, Parigi, Vienna, Londra. Dell’ambito orientalista fa anche parte la realizzazione di tappeti sovrapposti in composizioni a parete, con colori vivaci e realizzati su eraclite, un materiale industriale utilizzato nell’edilizia. Nel 1993, alla Biennale di Venezia curata da Achille Bonito Oliva, in una sala personale presenta una serie di quadri di grandi dimensioni che rappresentano i dervisci nell’atto di danzare; in quell’occasione, autentici dervisci hanno danzato davanti al pubblico. Nel 1999 espone alla Galleria Marconi di Milano per la Fondazione Maimeri una serie di disegni e sculture sul tema della danza: Arabesque. Due importanti mostre a Milano alla Galleria 1000eventi e una a Roma alla Galleria Sperone dal titolo The Byzantine World. Caratteristica comune di queste mostre è l’aver utilizzato soltanto dei cioccolatini fatti apposta da Peyrano, a Torino. Nel 2000 compie il suo primo viaggio in India e realizza una mostra dal titolo Flovers alla Birla Academy di Calcutta. A cavallo tra il 2000 e il 2001 Santo Ficara presenta a Firenze una prima retrospettiva di Mondino. Nel 2001 la galleria di Norimberga Linding in Paludetto allestisce una piccola, ma significativa, mostra di suoi lavori. Tra tutti, da ricordare Danaublau, un quadro di 6 metri composto da 2000 cioccolatini. Nonostante la salute cominciasse a traballare, nel 2003 espone alla Galleria Carlina di Torino, in cui vengono esposte una serie di sculture in vetro realizzate direttamente a Murano. Nello stesso anno va in scena a Ravenna l’antologica intitolata Aldologica che raggruppa i lavori degli ultimi quarant’anni. Un infarto lo porterà via nel 2005. Due anni dopo Il Museo di Arte Moderna di Bologna allestisce l’antologica Mondo Mondino. Da allora, numerose si susseguono le retrospettive dedicate a questo grande artista, le cui opere emanano ancora oggi la loro potenza espressiva: Mappamondino, a cura di Vittoria Coen, presso la Galleria d’Arte Moderna della Repubblica di San Marino e Mondo Mondino. L’universo artistico di Aldo Mondino, a cura di Marco Senaldi, presso la Villa delle Rose di Bologna, entrambe nel 2007, Calpestar le uova!, a cura di Alberto Fiz, presso il Palazzo del Monferrato di Alessandria, nel 2008, Nuova Antologia, a cura di Mattia e Denise Tosetti a Milano, nel 2011, e, last but not least, Aldo Mondino. Moderno, post-moderno, contemporaneo, presso il Museo di villa Croce e il Palazzo della Meridiana di Genova, nel 2016. Nel febbraio 2018 La galleria Santo Ficara, che ha seguito per molti anni il lavoro di Aldo Mondino, e la galleria Il Ponte, che negli anni ha raccolto un importante nucleo di opere realizzate fra il 1963 e il 1964, hanno messo in scena una bellissima doppia personale in collaborazione con l’Archivio Aldo Mondino.

Aldo Mondino

Le sue opere sono entrate nelle collezioni permanenti dei più importanti Musei nazionali ed internazionali e in numerose collezioni pubbliche e private ( dal Museum di Tokio, alla Galerie Heik Curtze di Vienna).   

Mercato

Artista poliedrico, raffinato, ironico, apprezzato in vita,  dopo la scomparsa avvenuta nel 2005, per alcuni anni le sue quotazioni hanno viaggiato a livelli di sopravvivenza. Proprio mentre l’arte italiana cominciava la sua ascesa a livello internazionale. Opere di scarsa qualità e, in alcuni casi di dubbia provenienza, hanno invaso il mercato, generando un clima di diffidenza. Mentre i lavori ‘storici’ e di qualità restavano saldamente in mano a pochi e importanti collezionisti, molti, troppi, sono finiti nelle aste dove andavano invenduti o passavano di mano a cifre ridicole. Basti pensare che dal duemila ad oggi – secondo Artprice –  sono andati all’incanto, principalmente in Italia, quasi 1400 lavori dell’artista, nelle diverse tipologie. Il lavoro dell’archivio e soprattutto quello di alcune gallerie ha lentamente risollevato la situazione e dal 2015 il mercato di Mondino ha invertito la rotta.  L’uscita nel 2017 del primo volume del catalogo generale, curato da Ilaria Bonacossa e Valerio Dehò, ha messo un punto fermo sulla produzione dell’artista, è stato un ulteriore valore aggiunto che ha messo il turbo alle quotazioni dell’eclettico Maestro. Tanto è vero che nel 2017  il fatturato messo segno nelle aste, sempre più internazionali, è stato di 318 mila dollari e a novembre 2018 ha superato i 584 mila dollari. Secondo l’indice Artprice 100 dollari investiti in un’opera di Mondino nel 2000 oggi valgono 495 dollari.

Gallerie: Isabella Bortolozzi galerie, con sede a Berlino ( www.bortolozzi.com   ), è il nuovo riferimento scelto dall’Archivio dell’artista per la gestione del mercato di Aldo Mondino. Suoi lavori tuttavia si possono trovare in primarie gallerie italiane e straniere come per esempio Tega e Bonelli di Milano, il Ponte e Santo Ficara di Firenze che recentemente gli hanno dedicato importanti personali.

Prezzi: attualmente la produzione dell’artista in galleria ha quotazioni comprese in un range di prezzo che va da 5-7 mila a oltre 100 mila a seconda della tipologia, della data di realizzazione e della qualità dell’opera. I lavori con i cioccolatini e le piastrelle in ceramica dipinte, di piccole e medie dimensioni, richiedono un investimento dai 35 ai 60 mila euro, che può arrivare a 100 mila e oltre per la serie dei Tappeti stesi . Molto ricercate dai collezionisti le opere storiche degli anni ’60 che, a seconda delle dimensioni, possono superare abbondantemente i 100 mila euro.

Top price in asta: Tappeti stesi, 1989, acrilico/compressed chipboard (in 2 parts) delle dimensioni di 250 x 100 cm è stato aggiudicato a  78.203  euro (diritti compresi), oltre il doppio della stima da Christie’s a Londra nell’ottobre 2018.

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