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Borse Sudamerica: i mercati preferiscono l’Argentina al Messico, annaspa il Brasile di Lula

Imagoeconomica

Si è chiuso il primo semestre del 2024 anche sui mercati sudamericani, un’area sempre importante da monitorare per le relazioni commerciali e valutarie con gli Stati Uniti d’America e anche la Cina. I segnali nei primi sei mesi di quest’anno, considerando gli indici di Borsa delle principali economie dell’area, sono contrastanti: annaspa il Brasile di Lula e soprattutto il Messico del dopo-Amlo, mentre vola ancora sull’onda della speculazione (ma non solo) l’indice Merval di Buenos Aires.

Messico sotto la lente, ecco perché

Partiamo dal Messico, il mercato più sotto osservazione nelle ultime settimane, da quando cioè, lo scorso 2 giugno, Claudia Sheinbaum è stata la prima donna eletta presidente del Paese centroamericano. La 61enne dal profilo austero non ha finora convinto gli investitori, che forse speravano in una rottura rispetto allo statalismo proposto dal predecessore e compagno di partito Andres Manuel Lopez Obrador. “Sarà un governo di austerità repubblicana”, aveva detto Sheinbaum commentando l’esito delle urne e immediatamente gli analisti avevano espresso un certo scetticismo, scommettendo su una fase di incertezza sui mercati finanziari, proprio per il timore che la nuova presidente, nel segno della continuità col predecessore, possa portare avanti il progetto di riforma della Costituzione, in chiave autocratica.

Non a caso, all’indomani delle elezioni la Borsa di Città del Messico era sprofondata perdendo in una sola seduta il 6% e toccando il minimo del 2024 sotto i 52.000 punti. Poi c’è stato un rimbalzo, ma nel mese di giugno l’indice S&P/BMV IPC è comunque risultato in calo di oltre il 5%. Le perdite da inizio anno superano invece il 9%, pur avendo iniziato il 2024 molto bene, col record di quasi 59.000 punti a inizio febbraio, il massimo di sempre.

In Argentina mercati ancora in luna di miele con Milei

Il primo semestre finanziario coincide di fatto col primo semestre di presidenza di Javier Milei (nella foto, ndr), entrato in carica poco prima dello scorso Natale. E si può dire che, seppur in buona parte grazie alla speculazione e alla maxi svalutazione del peso, la luna di miele tra la Borsa e il presidente della “motosega” sia ancora in corso: da inizio anno, l’indice Merval di Buenos Aires ha infatti guadagnato il 42% ed è tuttora in fase buy, grazie in particolare alla attesissima approvazione al Senato della maxi riforma fortemente voluta da Milei, la cosiddetta legge omnibus che seppur con qualche peripezia aveva già ottenuto il “sì” della Camera dei deputati. Non c’è da stupirsi che un decreto così radicalmente liberista incontri il favore dei mercati, tra privatizzazioni di imprese statali e tagli draconiani alla spesa pubblica, attraverso l’abolizione dei sussidi sociali (bollette luce e gas, trasporti pubblici) e persino la soppressione di qualche ministero.

Ma non c’è solo questo: l’Argentina, che ha un debito monstre col Fondo monetario internazionale, non solo ha ottenuto da quest’ultimo un ulteriore finanziamento, ma pochi giorni fa ha anche trovato l’accordo con la Cina per sbloccare il credit default swap da 5,5 miliardi di dollari concesso da Pechino proprio a copertura dei debiti del partner sudamericano. Meno buone invece le notizie sul Pil argentino, che nel primo semestre di quest’anno ha ceduto il 5,1% su base annua e le previsioni dell’Ocse per l’intero 2024 non sono molto migliori: -3,3%.

Il Brasile non è all’altezza delle previsioni

Infine il Brasile, la prima economia dell’area latinoamericana, che però non sta correndo come sperava Lula, tornato presidente per la terza volta a inizio 2023. Nel primo semestre di quest’anno l’indice Bovespa di San Paolo ha già perso il 6%, ma soprattutto fa notizia il cambio col dollaro, che proprio in questi giorni ha toccato il valore più alto da inizio 2022 a 5,68 reais, non lontanissimo nemmeno dal record di sempre a 5,90 datato marzo 2020, nei primi giorni della pandemia.

Dall’inizio dell’anno, la moneta statunitense si è rafforzata del 16,5%: questo sta inevitabilmente favorendo le imprese esportatrici di commodities – infatti anche se la Borsa ha un bilancio semestrale negativo, da qualche settimana è in fase di ripresa – ma preoccupa non poco il presidente Lula. Il quale tuttavia, secondo gli analisti, ha una parte della colpa, visto che continua a mandare frecciate alla Banca centrale, insistendo sulla necessità di abbassare i tassi d’interesse, che oggi in Brasile sono al 10,5% annuo. A contribuire alla devalorizzazione del real brasiliano (che l’1 luglio ha compiuto 30 anni di vita) è stato anche il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che martedì 2 luglio ha parlato di “progressi significativi per l’inflazione” e di un mercato del lavoro che sta rallentando, allontanando un nuovo taglio dei tassi. Per il 2024 il Brasile si aspetta un Pil in crescita al 2,3%, in rallentamento rispetto al 3% conseguito nel 2023.

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